La grammatica della fantasia

di Monini Francesco

All’inizio si incomincia con lo stampatello maiuscolo; QUESTO, per intenderci. Ma io non lo sapevo; o almeno, non me lo ricordavo. Così, quando Amelia mi chiede di portarle un libro «da leggere» ­ sissignori, perché Amelia è, con sua somma soddisfazione, una primina ­ le dico che non c’è nessun problema. Libri? Quanti ne vuoi. I libri, vivaddio, sono il mio pane.
Ma Amelia non vuole un libro qualsiasi. Lo vuole con molte figure e poche parole. Nessun problema, ribadisco. «Ma ­ precisa Amelia ­ le parole devono essere in stampatello maiuscolo, perché quelle in corsivo non le ho ancora imparate».
Ebbene, non è facilissimo trovare un libro del genere. Ho lavorato per tanti anni in biblioteca e non me ne ero reso conto. Lo scopro telefonando ad amici bibliotecari: al terzo tentativo, Anita mi dice che quei libri sono tutti a prestito, ma mi lascia una speranza: «Deve rientrarne uno entro la settimana». Prenoto. Amelia scalpita. Ritelefono: il libro è arrivato. «Lo vengo a prendere sabato mattina, prima non riesco».
Eccomi a casa, il libro sotto il braccio e il sorriso a fior di labbra.
Amelia? Amelia? AMELIAAA? Amelia non risponde. È immersa nella lettura. Di un libro che aveva in camera sua. Finalmente si degna di dare un’occhiata al libro nuovo venuto, ma fa una smorfia supponente: «Guarda papà che adesso posso leggere anche questo ­ e me lo sventola sotto il naso ­ ieri ho imparato anche le lettere piccole».
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Sarà il metodo globale, sarà che “mia figlia è un genio” (è un sospetto che ha attraversato la mente di tutti i papà), sarà che in una settimana un bambino macina più cose di quante un adulto in un lustro.
Sarà anche ­ forse, probabilmente, in linea di massima, con le eccezioni del caso ­ che la nostra scuola pubblica, le Elementari perlomeno, non è da buttar via.
Io ho fatto la prima elementare dalle suore. Ricordo vagamente Suor Michelangela, la prima maestra della mia vita. Com’era? Giovane, bellissima, dolcissima. E ignorante come una capra.
A giugno, non sapendo né leggere né scrivere, mia madre andò dalla direttrice dell’Istituto Sacro Cuore. Grazie, tanti saluti e arrivederci.
In seconda (perché poi mi hanno promosso?), alla scuola pubblica, eravamo una ciurma assortita di più di trenta bucanieri. Sulla tolda (sarebbe la predella della cattedra) campeggiava (vorrei dire, giganteggiava) una sessantenne di bassa statura avvolta non già in una cappa di raso nero ma in un vecchio grembiule verde chiaro, con bianche aureole di polvere di gesso. Anche ora la vedo nitida ­ come se gli anni non portassero il loro carico di nebbia mentre brandisce con la sinistra la cimosa e riprende a scrivere alla lavagna.
E mentre ci parla e ci racconta del mondo, io ascolto a bocca aperta. Perché è lei: la vecchia, inflessibile, burbera, carissima maestra Guerrini. L’Unica Maestra della mia vita.
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Veramente scrivevo da cani. Con una parola occupavo in diagonale una pagina intera di quaderno.
Bene, molto bene, diceva la mia maestra Guerrini. Non pensare agli altri, mica devi fare una gara. Tu scrivi. Scrivi quello che vuoi ­ “tema libero” ­ scrivi quello che hai visto, quello che ti piace e quello che non ti piace, quello che ti passa in testa e quello che hai nel cuore.
Scrivi tutti i giorni. Vedrai che poi ti piace. .
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Non so ­ non ho strumenti per schierarmi pro o contro ­ se la legge di riforma Berlinguer farà bene alla nostra scuola. So che è una idiozia ­ prima ancora di essere una ingiustizia che un maestro di scuola prenda un terzo o un quarto dello stipendio di un professore universitario o di un medico.
Senza maestri (gli insegnanti mi scuseranno se continuo a chiamarli così) preparati e appassionati, senza una scuola di base democratica e competente, non abbiamo futuro. Né in Europa, ne altrove.
Ma chi è il cretino che può sostenere che insegnare ai bambini piccoli è più facile o meno importante che insegnare ai grandi? Eppure ­ e il magro stipendio ne è la prova indiretta ­ il mestiere dell’insegnante nella scuola pubblica primaria è considerato un lavoro di bassa cucina.
Nella scala sociale, il maestro sta sotto l’idraulico e appena sopra il carpentiere. Se alza gli occhi dal suo gradino non riesce a scorgere la lontanissima vetta della piramide, dove sta comodamente assiso l’internet provider.
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Berlusconi ha detto che, se vince le elezioni, abrogherà subito la legge di riforma scolastica. A lui i cicli non vanno giù. Io, invece, sui cicli non saprei dire.
Mi piacerebbe una scuola dove gli insegnanti assomigliassero, in preparazione e passione, alla maestra Guerrini. Mi piacerebbe una scuola della curiosità, perché come sempre Shakespeare ha ragione: «Ci sono più cose tra cielo e terra di quanto la tua mente possa immaginare».
Una scuola che seguisse alla lettera il motto di Platone: «Non vasi da riempire, ma fiaccole da accendere».
Una scuola dedicata alla “Grammatica della fantasia”.
Sul resto, anche sui cicli, onorevole Berlusconi, sono disposto a trattare.
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Si chiamava “Il mondo è la mia patria”. Era il mio libro di lettura alle elementari, scelto dalla formidabile maestra Guerrini, ed era bellissimo. Pieno di idee e testi moderni, aperti e stimolanti (poco Carducci e molto Palazzeschi, Calvino, Rodari, Rilke), redatto dal maestro Alberto Manzi, il dimenticato autore e conduttore della trasmissione televisiva Non è mai troppo tardi.
A metà degli anni Sessanta, il mio libro era un fiore nel deserto. Tutto intorno ­ a cominciare dal libro di mio fratello ­ era una selva di bandiere che garrivano al vento, guerre sacrosante contro i nemici della patria; e vecchiume assortito, retorica a manbassa, zucchero e melassa.
In quegli stessi anni un maestro prete, insieme alla sua strana scolaresca, scriveva Lettera ad una professoressa.
Molta acqua è passata sotto i ponti.
La scuola italiana non è guarita, ma almeno i libri di testo sono andati avanti, oltre il binomio “T’amo pio bove” e “La piccola vedetta lombarda” .
Troppo avanti? Troppo a sinistra, secondo l’ex missino Storace, “governatore” del Lazio, che ha pensato di istituire una commissione di esperti per purgare i libri di testo egemonizzati dalla ideologia marxista.
Storace l’ha sparata grossa, tanto che gli altri leader della destra hanno preso un po’ le distanze. Ma la proposta di reintrodurre la censura non è una barzelletta, è un segno, tra i tanti, che ci aspettano tempi bui.
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Un altro governatore, quello della prospera Lombardia, si è mosso prima e meglio di Storace. Fatti, anzi: soldi, non parole.
Formigoni ha boicottato scuola e sanità pubblica finanziando massicciamente le cliniche e le scuole private.
Così facendo ha portato alle stelle il deficit regionale, ma ha indicato la strada da percorrere: “schivare” l’Europa e andare direttamente in America. Meglio ancora, portare l’America a casa nostra.
La ricetta è nota: ospedali d’avanguardia e istruzione di qualità per chi se lo può permettere; sanità e scuola pubblica (di infimo livello) per i redditi bassi e per i poveri.
Il modello made in USA l’ho visto operante in Brasile. E ho sentito amici della CUT e del PT confessare la loro contraddizione: «Mi batto politicamente contro il cinismo del sistema americano, ma intanto mando i miei figli alla scuola privata». Alla scuola pubblica si rimane analfabeti, negli ospedali pubblici si va solo per morire.
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È quindi con grande sollievo e solazzo che ho seguito la comica delle elezioni presidenziali che hanno opposto l’insulso Gore al forcaiolo Bush.
A due settimane dal voto sono ancora lì che contano e ricontano i voti della Florida. Alla fine, quando mi leggerete, Bush sarà già stato incoronato, ma intanto la frittata è già fatta.
Il re è nudo. Per settimane l’America ha fatto ridere miliardi di persone; dal centro alle più lontane province dell’impero era un fiorire di battute. La più bella, per me, è stata una perfida vignetta di Vauro, pubblicata da Il Manifesto: due scamiciati commissari di Milosevic che sbarcano in Florida per controllare la regolarità delle operazioni di voto.
La “più grande democrazia del mondo” incomincia a far acqua. Ma no, rispondono alcuni, è solo una fatalità, una imprevedibile catena di coincidenze, il solito granellino di sabbia che manda in tilt il computer più sofisticato.
Sarà, ma in tutti i casi qualcosa si è rotto. L’invincibile Achille ha mostrato il Tallone. E mi piace pensare che questa elezione del Duemila tondo tondo sarà riportata nei libri di storia dei nostri nipoti in un capitolo così intitolato: “Il declino dell’impero americano”.
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Il diario è finito. Salvo il file e guardo fuori dalla finestra. Piove, tanto per cambiare. Guardo la pioggia e penso all’alluvione. Il collegamento è automatico.
Siamo in Italia, siamo nel Duemila e ­ dati quarant’anni di sistematico scempio del territorio e di solerte incuria di chi dovrebbe proteggerci bastano tre giorni di pioggia e incominciano frane e smottamenti. Al quarto giorno, allagamenti e paesi evacuati. Quinto giorno e siamo già all’emergenza: ponti che saltano, fiumi che straripano, strade interrotte, treni fermi. Morti, feriti, paesi distrutti, migliaia di senzatetto.
E il Po? Quando è prevista l’onda di piena? Metto un braccio fuori dalla finestra: adesso piove fitto.
Ma cosa vado a pensare…, magari.