Lockerley, 2000

di Pase Andrea

Non è tanto il luogo geografico che stavolta ci interessa.
Campagna inglese dell’Hampshire, orizzonti bucolici: per carità, niente in contrario, direi perfino molto piacevole, il luogo adatto per un bel weekend.
Ma quello che conta è ciò che lì accade e che peraltro potrebbe succedere in tanti altri luoghi, ovunque si elaborano le tecnologie future dell’informazione digitale e della comunicazione.
Un giovane ingegnere sta mettendo a punto una sfera di tre metri e mezzo di diametro, che servirà come supporto per l’immersione nei molteplici mondi della realtà virtuale (per chi fosse incuriosito il sito internet è www.ndirect.co.uk/~vr­systems/sphere1.htm).
Sulle pareti di questa sfera verranno proiettati infatti gli ambienti che è possibile creare con il computer.
Per molti versi non si tratta che di una soluzione alternativa ai caschi, agli occhialini, agli schermi, alle proiezioni attualmente impiegati per “navigare” nelle ricostruzioni virtuali di case, città, automobili, aerei, paesaggi…
La differenza sta che, al posto di utilizzare una qualche protesi visiva o una proiezione su pareti esterne, in questo caso il “viaggiatore” entrerà nella sfera e quindi parteciperà con tutta la sua persona all’immersione virtuale: camminando all’interno della “palla”, che ruota su alcuni meccanismi, si avrà l’impressione di percorrere lo spazio all’interno degli ambienti virtuali.
Se funzionerà e quale grado di realismo sarà possibile godere da parte dei fruitori della sfera ovviamente non sono in grado di dirlo.
Pare comunque che “giri” e probabilmente la ritroveremo fra poco tempo impiegata nelle simulazioni militari o per l’architettura o nei parchi giochi.
Al di là del successo che potrà incontrare o delle applicazioni che avrà, è possibile riflettere su questa cybersfera per indagare i cambiamenti di prospettiva che stanno sconvolgendo ai nostri giorni il rapporto tra l’uomo e lo spazio.
In età moderna, a partire dallo sviluppo delle tecniche prospettiche e dalla nascita della cartografia “scientifica”, l’uomo si è dotato di strumenti che gli hanno permesso di riprodurre il mondo esterno in rappresentazioni sul piano.
La carta geografica, costruita attraverso i diversi metodi di proiezione via via affinati, riporta le fattezze del territorio stabilendo un rapporto di scala tra la realtà e la rappresentazione e sviluppando un linguaggio simbolico che definisce un nesso univoco tra oggetto e segno (ad esempio il segno ][ per indicare un ponte).
L’uomo moderno si pone quindi di fronte al mondo (fig. 1), lo coglie con il suo sguardo e ne costruisce quindi una rappresentazione.
Questo disegno del mondo viene pensato come oggettivo, ovvero in tutto corrispondente alla realtà: la mappa dichiara di riprodurre il territorio così com’è.
È questo l’inganno: una rappresentazione che vuole nascondere la sua relatività e così facendo impone come unica quella che invece è solo una tra le molte interpretazioni possibili.
La costruzione della carta implica infatti un grande numero di scelte: la scala da adottare, il metodo di proiezione, le tipologie di segni, soprattutto la selezione degli oggetti, dei fatti da inserire e quelli invece da dimenticare.
Ogni carta è quindi la raffigurazione di come un determinato attore politico o sociale vede il territorio ed è quindi determinata dagli interessi che lo guidano.
Non per niente la cartografia è stata ed è spesso affidata ad organi militari, che assicurano la segretezza delle informazioni riservate: è così che scompaiono dalle carte caserme, basi e altri possibili obiettivi “sensibili”, almeno finché le foto aeree o da satellite non hanno fatto diminuire il valore della cartografia quale principale fonte di conoscenza sul territorio.
La carta ha quindi una notevole capacità persuasiva: convince chi la guarda che ciò che è rappresentato è il territorio, tutto il territorio o quanto meno gli aspetti più significativi di esso.
Se la carta mi permette di orientarmi in un viaggio e ritrovo i paesi e le strade nell’ordine che essa mi propone, ecco allora che la carta mi convince della sua aderenza alla realtà, anzi della sua piena corrispondenza con il mondo.
E così mi persuade che l’ordine pensato, voluto, desiderato da chi quella carta ha costruito o commissionato sia effettivamente l’ordine del mondo.
C’è un motivo quindi se tanti potenti hanno amato la cartografia, fino a farla affrescare nei palazzi del governo.
Questa può essere l’estrema sintesi del rapporto con lo spazio nella modernità: l’uomo (l’uomo che ha potere) guarda il mondo e lo riproduce e su questa rappresentazione disegna poi le sue trame, definisce gli obiettivi, organizza i mezzi per conseguirli.
La rappresentazione diviene mezzo per agire sul mondo, quasi prefigurazione di ciò che poi verrà realizzato.
Ma oggi, nel tempo della rete, siamo oltre la modernità, in qualcosa che ancora riusciamo a definire solo nel suo essere dopo (la post­modernità, il post­fordismo…) o nel suo essere nuovo (la new economy, i new media).
In questo “essere­dopo” da un lato continua e si approfondisce ciò che viene dalla modernità, dall’altro però si assiste alla nascita del nuovo, dell’inatteso.
Ed è così anche nel modo di vedere e vivere lo spazio.
La rappresentazione moderna del mondo, la carta (ovviamente innovata, digitalizzata, informatizzata), è ancora essenziale per orientarsi e per guidare l’azione, per impostare la costruzione del territorio, per stabilire il controllo su quanto in esso avviene.
Continuano perciò ad essere disegnate carte, ad essere lanciati satelliti per il telerilevamento, con “occhi” sempre più penetranti per indagare fatti naturali ed umani.
Si elaborano anzi strumenti sofisticati che illudono i potenti di riuscire a vedere tutto, a controllare tutti, ad intervenire istantaneamente ovunque.
Lo sguardo della modernità non passa, permane, ed anzi viene portato alle sue estreme conseguenze grazie alle crescenti possibilità tecniche.
Ma la novità, il continente appena scoperto che viene di giorno in giorno esplorato è quello dei mondi virtuali e del gigantesco ipertesto costituito da internet.
È un mondo in cui perde valore la distanza fisica dei luoghi, ora tutti compresenti e simultaneamente disponibili, ed anzi visibili con le webcam che trasmettono sul nostro video quanto sta accadendo adesso in mille angoli del pianeta: dove tramonta il sole e dove sorge, nei deserti e nelle metropoli, nelle case e nelle piazze, nel pubblico e nel privato.
La cybersfera ci può raccontare allora di come si stanno strutturando le nuove relazioni tra l’uomo e lo spazio.
Nella cybersfera l’uomo è completamente immerso in mondi virtuali costruiti attraverso le macchine: l’uomo non si pone più di fronte al mondo ma genera il suo mondo, che lo attornia, lo avvolge, lo separa dal mondo di fuori (fig. 2).
La cybersfera può essere interpretata allora come l’emblema di un punto di vista assolutamente diverso da quello della modernità: lo sguardo interno all’immaginazione umana piuttosto che lo sguardo sulla realtà esterna, la molteplicità dei mondi digitali piuttosto che l’unicità della rappresentazione cartografica, la soggettività di chi costruisce e di chi poi vive gli ambienti virtuali piuttosto che la ipotetica oggettività della carta.
I mondi virtuali non sono limitati: né nel numero, né nel contenuto che essi propongono.
Non devono seguire le leggi della fisica: si può passare attraverso i corpi, si può viaggiare più veloci della luce…
Non seguono neppure il filo della storia: Napoleone può vincere a Waterloo e gli africani colonizzare l’Europa…
E addirittura le regole fondamentali della vita possono essere disattese: si può morire e poi riprendere il gioco, si può invecchiare e poi ringiovanire…
Alla creatività umana, nel generare e nel creare i mondi digitali, si aprono orizzonti amplissimi, territori immensi da percorrere in libertà.
Certo, immersi nella sfera o forse rinchiusi, isolati, soli.
Di fronte alle possibilità e alle speranze si stagliano anche i dubbi e le inquietudini: ci si può chiedere quale rapporto si instaurerà tra la realtà virtuale e il mondo materiale, quale tipo di comunicazione potrà esservi di esperienze che si fruiscono nel chiuso di un grembo protettivo, e ancora ci si può domandare chi avrà accesso alla libertà dei mondi digitali, chi saprà farlo, chi avrà le risorse per farlo.
Intanto la cybersfera ha iniziato a girare e l’uomo al suo interno cammina nel tessuto dei suoi sogni.