Sicurezza e rapporti con gli altri

di Stivanello Antonio

Analisi dei sistemi di difesa dei codici interpretativi

In uno sperduto villaggio del Marocco, molti anni fa, ho dovuto, per la prima volta, scegliere ed affrontare il dilemma sicurezza e paura nei rapporti con gli altri.

Un the in Marocco
Un giovane arabo mi aveva invitato a seguirlo per andare a prendere un the a casa sua. L’avevo fissato con aria così preoccupata per la mia sicurezza da indurlo a rassicurarmi. L’arabo mi disse: «Certo, capisco cosa stai pensando! Con tutto quello che ti hanno detto sugli arabi, hai paura, temi per la tua sicurezza, non sai cosa ti può succedere…Voglio però farti notare che quando sei passato prima vicino alla fontana, quei due signori anziani, che per altro sono i miei zii, hanno sputato per terra in quanto per loro tu sei solo un cane infedele che sta pestando una terra santa. Il Sommo Profeta insegna che solo se si è appreso qualche cosa di nuovo, il giorno non è trascorso invano ma ciò può accadere solo se culture differenti si incontrano, ora devi scegliere, certamente l’accettare il mio invito può porre a rischio la tua sicurezza ed implica la necessità che tu superi la tua paura ma questo può permetterti di conoscere…». Solo molto tempo dopo ho scoperto che il mio occasionale incontro non era quello che sembrava, con un venditore di tappeti, ma un epistemologo sistemico.

Esemplificando, Luigi
L’individuo, la persona emerge dalla rete di sistemi di cui è parte. Possiamo considerarlo il nodo che unisce più reti di comunicazioni. Vediamo di capirci meglio; Luigi ha 37 anni, è insegnante presso la scuola media, sposato con Laura e padre di Andrea, ala tornante della squadra dei giovani leoni del calcetto. Luigi è contemporaneamente più definizioni ma ciò che accade in un sistema ha influenze sull’altro. Andrea ha la febbre e Luigi si arrabbia più facilmente con i colleghi e, non potendo partecipare alla partita decisiva, i giovani leoni perdono un’importante sfida. La paura per Luigi è legata ai vari sistemi di cui è parte anche se comporta comunque “tremarella”… Ma è anche correlata alla storia sua e di quelli con cui è venuto in contatto. Luigi teme il centravanti delle zebre non perché lo ha visto giocare ma perché anni fa ha segnato due volte. La paura è legata alle aspettative che si fondano su pregiudizi intesi proprio come giudizi espressi in anticipo sugli accadimenti, sulla base delle esperienze avute in occasioni giudicate simili.

La teoria di Won Foester
La teoria dell’osservatore di Won Foester la fa da padrone: chi ha paura è l’osservatore, inteso come colui che farà la previsione di aver paura sulla base delle osservazioni passate che in situazioni analoghe l’hanno convinto ad aver paura. Luigi ha molta paura che Andrea si prenda un altro raffreddore giocando senza il giubbotto al parco giochi e per questo, oltre a farglielo indossare, gli mette la sciarpa e il berretto. Andrea gioca a palla avvelenata con la sua squadra, suda troppo e si raffredda, inducendo Laura ad arrabbiarsi con Luigi che non ha prestato sufficienti attenzioni al figlio. Andrea in questo caso è l’espressione di un sistema che esplode per un eccesso di sistemi di difesa, scatenati ovviamente dalla paura. Il rapporto paura­sicurezza è un rapporto circolare; al crescere della paura crescono i sistemi di difesa, alla riduzione della paura si ha un affievolimento dei sistemi di sicurezza posti in atto. Se la sicurezza cresce non è detto che la paura cali, anzi, più si adottano sistemi sofisticati più è probabile un aumento della paura. Si sviluppa una progressiva sfiducia nei confronti della sicurezza, che progressivamente non è più in grado di controllare la paura, questa aumenta d’intensità fino a ridurre l’attenzione. Se si è solo concentrati sulla paura si tralasciano le procedure di sicurezza e, prima o poi, accadono eventi che giustificano la paura che provavamo determinando una profezia che si autoavvera. Luigi, a furia di prevenire il raffreddore, lo induce.

Perturbazioni e codice di interpretazione
Il mio caso con l’arabo, prima che questi parlasse, era una situazione di omeostasi fra paura e sicurezza; le mie tradizioni, la mia storia personale mi ponevano nelle condizioni di affrontare un viaggio in un paese mussulmano sentendomi sicuro; intrattenere una relazione personale con un arabo era troppo per la mia paura, potevo stare in Marocco senza contatti ravvicinati con i locali ma essendo un viaggiatore, e non un turista, la possibilità dell’incontro, il rischio, era in preventivo, faceva parte delle regole del mio gioco. L’arabo non lo saprà mai, ma era già contemplato nelle possibilità autopoietiche, direbbero Varela e Maturana, del mio sistema. Una delle organizzazioni possibili, fra le molte all’interno della mia unica struttura che mi definisce rispetto agli altri, quello che sono e quello che credo gli altri condividono, prevedeva la possibilità di un the con un mussulmano anche nella sua casa. Le fluttuazioni sono indotte dalle perturbazioni del mondo fuori di noi, fuori dal sistema, ma generano riorganizzazioni, solo se queste sono fra quelle possibili previste dal sistema. Il cambiamento è tutto interno, autopoietico (che si fa da sé) appunto.Gli accadimenti diventano fluttuazioni solo quando l’osservatore, il destinatario, che cambia, decide che gli avvenimenti sono informazione e non rumore. L’attribuzione di significato ad un evento è una azione che si può compiere solo quando si possiede un codice di decodificazione che contenga il significato e che questo sia in qualche modo accoppiabile con il fatto stesso. Sputare per terra è per me mancanza di educazione e scarsa igiene, una cosa da non farsi, per il giovane arabo è la comunicazione che io non sono ben visto lì e che quell’atto esecrabile è rivolto a me. Il suo spiegare, metacomunicarmi, non fa altro che esplicitare l’intenzionalità di un atto. Nella mia visione del mondo si può usare lo sputo per mancare di rispetto e quindi può essere intenzionale, l’arabo può spiegarmelo solo perché questo atto è già previsto fra le possibili mie descrizioni. Alcuni studiosi hanno verificato che paure diffuse, ancestrali, come la paura dei serpenti sembrano inscritte nel nostro corredo cromosomico, ma si sa che un accadimento, per essere inscritto nella memoria genetica, impiega milioni di anni; ecco perché noi avremmo ancora comportamenti adeguati alla preistoria, quali ad esempio la paura dei serpenti e un’avversione per i cibi verdi, non ancora maturi o troppo maturi, che spinge i nostri figli a non gradire la verdura. Le paure ancestrali ci tengono lontani dal non conosciuto, dall’insolito, dal diverso. La nostra ritrosia nei confronti dei disabili fisici potrebbe essere legata alla paura della contagiosità della malattia. Altri aspetti sono legati a codici analogici, non linguistici, ai quali noi siamo legati.

Codici analogici, diversità di culture
Quando parlo con qualcuno tendo a fissarlo negli occhi e a valutare le sue espressioni che utilizzo per continuare a ritararmi. Da questo nascono espressioni come: occhi lo specchio dell’anima, perché non mi guardi quando parli, con gli occhi non si mente. Da tutto questo bagaglio d’interazioni, che ognuno di noi applica, nasce la difficoltà di parlare con un cieco che non ti guarda e se lo fa ha uno sguardo fisso e inespressivo. Le difficoltà, le paure legate al rapporto con l’altro, risentono molto dei codici analogici che sono molto condizionati dalle differenti culture, molti di voi sono stati in Brasile e hanno provato l’imbarazzo, primo stadio della paura, quando hanno incontrato i primi brasiliani che si sono profusi in toccamenti, stringimenti, vere e proprie intrusioni nella nostra intimità corporale. Solo la presenza di qualche interprete ha permesso di far capire all’amico brasiliano che la nostra ritrosia non voleva essere offensiva nei loro confronti e questo ha spinto i nostri ospiti ad un altro assalto di toccamenti per metterci a nostro agio. Nessuno di noi ha partecipato alle crociate, e probabilmente non le condivide, ma il saladino è ricordato da tutti come il feroce saladino, non è importante precisare il falso storico, ciò che ci rimane è l’idea di paura verso il mondo arabo. Fa impressione considerare che oggi la paura verso il modo arabo, che affonda le radici al tempo delle crociate, vede il mondo arabo come arretrato culturalmente e tecnologicamente, mentre la paura dei franchi crociati era dovuta a ragioni opposte, infatti quei rudi guerrieri, dediti alla pastorizia, erano sconvolti e avevano paura della raffinatezza,della tecnologia e del divario culturale che riconoscevano nel mondo arabo.

Il diverso: pericolo e risorsa
La sicurezza è sempre messa a rischio dal diverso e dal non conosciuto. A Parigi, dopo la messa, si accompagnavano i bambini a vedere i folli rinchiusi nei manicomi e questo rassicura, io per quanto sia bizzarro e strano mi riconosco come normale confrontandomi con i pazzi. Come insegna Bateson, si apprende per differenze, ma ci si aggrega anche per differenze dall’altro. Io non conosco tutte le sfumature del cattolicesimo, non conosco tutti i santi, posso non conoscere le preghiere ma so dove sta il padre nostro e questo mi avrebbe evitato la pallottola che ha centrato la fronte dell’ebreo amico di Perlasca fuori il ghetto di Budapest. Le tradizioni, la cultura permettono di differenziarci dagli altri verso i quali innalziamo diversità, barriere, steccati per proteggerci. La contraddizione è che un sistema più è rigido, difeso e protetto, più è probabile muoia, imploda, finisca. Ha ragione il sommo profeta: solo l’incontro permette di acquisire conoscenza, solo la predisposizione alla fluttuazione tra stadi differenti permette al sistema di riequilibrarsi, mantenendo un’integrità rispetto alle spinte del mondo esterno. Il non fare all’altro quello che non vorresti fosse fatto a te, aiuta molto nell’incontro, in quanto suggerisce la possibilità di vedermi nell’altro ma forse non basta, si dovrebbe tentare oltre e affermare che esisto solo nel rapporto con l’altro. Un albero non fa rumore cadendo nella foresta se un ascoltatore non l’ha potuto udire, nessun uomo esiste di per sé ma solo se fatto emergere dal confronto con gli altri. La paura è incontrare nell’altro ciò che non voglio, la fame, la desolazione, la solitudine, lo scoraggiamento.