Un dono di Dio

di Piccardo Hamza R.

Scritture a confronto: il Corano

Nella difficoltà/necessità di dare una definizione quanto più sintetica ed esauriente del concetto, i dizionari ne parlano come dello stato di chi «avendo soddisfatto una necessità o un desiderio, se ne sente pago e sereno».

Definizione fuorviante in quanto trascura una caratteristica peculiare della natura umana, che dalla fugacità della soddisfazione terrena ha tratto e trae la speranza di un appagamento duraturo, perenne.

Se, infatti, investigassimo sul fondamento di questa ricerca, non potremmo non considerare il dato di partenza, e cioè la memoria antica di un tal stato. Iddio disse alle prime creature: «O Adamo abita il Paradiso tu e la tua sposa. Saziatevene ovunque a vostro piacere» (Cor. II,35).

La condizione di assenza di sofferenza determinata dall’appagamento di ogni desiderio e dalla pacificazione di ogni tensione è quindi una possibilità iscritta nel nostro essere, di cui abbiamo una recondita memoria e ci spinge a ricercarla.

Al contempo, è questa la destinazione finale (I Giardini): «E annuncia a coloro che credono e compiono il bene, che avranno i Giardini in cui scorrono i ruscelli» (Cor. II, 25); e chi pensasse di accontentarsi dell’effimero di questa vita viene serenamente avvertito: «Ma voi preferite la vita terrena, mentre l’altra è migliore e più duratura» (Cor. 87, 16-17).

Il cammino da compiere è nella fedeltà e nella preghiera, attraverso vicende liete e tristi, nell’abbandono fiducioso al Misericordioso: «Vi metteremo alla prova con la paura e la fame, con la perdita dei beni, della vita e dei frutti della terra; tu però dà il lieto annuncio della felicità eterna ai pazienti i quali, quando sono colpiti da una sventura, dicono: ‘In verità, a Dio apparteniamo e a Dio ritorniamo’» (Cor. 2, 155-156).

La felicità, quindi, è qualcosa donato da Dio, è una conseguenza del camminare per la via giusta.

Conosciamo il sapore della felicità nelle esperienze di questa vita, nell’essere con gli altri, nell’essere nel mondo, nel rapporto col Misericordioso: queste esperienze sono il seme di ciò che fiorirà, si espanderà completamente solo nel Giardino. C’è dunque una continuità tra le esperienze di gioia di questa vita e quelle future, ma non una completa identificazione: «Ogni volta che sarà loro dato un frutto diranno: ‘Già ci era stato concesso!’. Ma è qualcosa di simile che verrà loro dato» (Corano II, 25).

 

O Dio,

ci hai donato e ci doni tutte le gioie della nostra vita.

Il sole, la luna

e il sorriso di chi amiamo,

un cuore capace di battere anche nella nostra incoscienza,

occhi che vedono la bellezza e spirito che l’apprezza.

«ma l’Altra vita è migliore»

Non lasciarcelo dimenticare

 

[da Luci prima della luce di Hamza R. Piccardo,

di prossima pubblicazione]

 

* Segretario nazionale dell’Unione delle Comunità e Organizzazioni Islamiche in Italia (Ucoii)