La salute nell’agenda mondiale

di Missoni Eduardo

Le promesse mancate

Cosa è la salute

Nello statuto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, creata nel 1948 nell’ambito delle Nazioni Unite, per «condurre tutti i popoli al più alto livello di salute possibile», nel ribadire che la salute è un diritto fondamentale di ogni essere umano, essa è indicata come «uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale» e non solo come «assenza di malattia». La salute di tutti i popoli, è riconosciuta come una condizione indispensabile alla pace e alla sicurezza del mondo, dipendente dalla più stretta cooperazione tra gli individui e tra gli Stati; mentre la disuguaglianza in termini di salute tra i diversi Paesi è riconosciuta come «un pericolo per tutti». La salute è dunque indivisibile, e globale ne è la responsabilità.

La salute per tutti (1978)

Trent’anni dopo la “Salute per tutti entro l’anno 2000” diviene l’obiettivo della comunità internazionale e, ad Alma Ata (1978), con solenne dichiarazione tutti i governi del mondo individuano nella “Primary Health Care” la strategia per il raggiungimento dell’obiettivo. Quale parte integrante di ogni sistema sanitario, ma allo stesso tempo dell’«intero sviluppo sociale ed economico», quella strategia si sarebbe dovuta fondare sull’equità, la partecipazione comunitaria, la prevenzione, l’adozione di tecnologie appropriate ed un approccio intersettoriale ed integrato allo sviluppo. Un’impostazione che avrebbe richiesto il riorientamento dei sistemi sanitari, in quanto a politiche, strategie ed allocazione delle risorse, e che fu dunque ben presto interpretata con approccio riduttivo, centralista e verticale denominato “Selective Primary Health Care” basato sull’applicazione selettiva di misure «dirette a prevenire o trattare le poche malattie responsabili della maggiore mortalità e morbosità nelle aree meno sviluppate e per le quali esistano interventi di provata efficacia». L’attenzione si allontanava dalla salute, per focalizzarsi su “campagne” per il controllo di alcune malattie, un approccio di grande convenienza economica e mediatica, in alcuni casi anche più consono alle esigenze politiche o amministrative dei Paesi donatori e degli organismi internazionali e che non avrebbe messo in discussione l’organizzazione sociale e la distribuzione delle risorse.
Quell’approccio selettivo, risultò confacente anche ai cosiddetti “Piani di aggiustamento strutturale”, sistematicamente riproposti dalle istituzioni di Bretton Woods (Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale) alla maggior parte dei paesi del Terzo Mondo, condizionando ogni sostegno economico alla liberalizzazione del mercato, alle privatizzazioni e ai tagli della spesa sociale. La necessità di associarvi “reti di sicurezza” e “ammortizzatori sociali” per ridurne gli effetti, era il riconoscimento implicito della prevedibilità delle conseguenze di quelle misure sulle condizioni di vita della maggior parte della popolazione. Ad uno “Sviluppo” inteso come sinonimo di crescita economica e accumulazione di capitale, veniva così sacrificato ogni altro aspetto dell’esperienza umana.

Le deviazioni interessate del mercato

Con l’orientamento al mercato dell’intera società, anche i sistemi sanitari dovettero essere assoggettati alla “Riforma” secondo i criteri dettati da quelle organizzazioni finanziarie internazionali e, di fatto, dai dicasteri finanziari dei Paesi più ricchi che le governano – poco democraticamente – in virtù della loro prevalente partecipazione al capitale.
Il diritto universale alla salute è stato così progressivamente negato; l’intervento pubblico limitato all’assistenza ai poveri e delegato preferibilmente al privato; le spese sanitarie pubbliche, ridotte e trasferite a carico dei singoli soggetti, stimolando sistemi di assicurazione privata, che tendono ad escludere i soggetti a rischio elevato e non coprono rischi collettivi; l’assistenza sanitaria di base sostituita dalla tendenza a privilegiare l’offerta di servizi specialistici, basata sulla redditività piuttosto che sul bisogno. Il mercato ha preso il sopravvento sulla programmazione pubblica delle priorità, con conseguente lievitazione della spesa sanitaria.
Il mercato ha condizionato la crescita ed il consolidamento di strutture sociali ed economiche ingiuste, che creano masse crescenti di esclusi, la perdita dei valori fondamentali di riferimento e la diffusione di una cultura di morte, con i bambini e gli adolescenti a pagare il prezzo più elevato.

Si riduce la speranza di vita nei paesi poveri

A più di cinquant’anni dalla costituzione dell’OMS e oltre vent’anni dopo Alma Ata, in molti paesi – soprattutto dell’Africa sub-sahariana – la speranza di vita si riduce, la mortalità infantile aumenta e masse crescenti di popolazione in condizioni di estrema povertà, sono del tutto escluse dai potenziali benefici di un aumento della ricchezza globale senza precedenti, sempre più concentrata nelle mani di pochi. Il 20% più ricco della popolazione possiede l’86% del reddito mondiale e il 20% più povero della popolazione solo l’1%. La distanza tra Nord e Sud del mondo, si è triplicata nel giro di trent’anni e continua ad aumentare. La metà della popolazione mondiale vive in condizioni di povertà esasperante, con meno di 2US$ al giorno, 1,2 miliardi di persone, nella miseria totale con meno di un dollaro al giorno. La metà sono bambini. Persino nei Paesi più ricchi del mondo il 17% dei bambini vive al di sotto della soglia nazionale di povertà; con conseguenze permanenti sul loro sviluppo e la condanna all’esclusione sociale in età adulta. Almeno un terzo dei bambini alla nascita non è registrato, con il conseguente rischio di essere esclusi, tra gli altri, dai diritti di assistenza sanitaria e d’istruzione.

Infanzia: governi sotto accusa

Nel suo rapporto del 2002, riferendosi agli obiettivi fissati nel 1990 in occasione del Vertice mondiale sull’infanzia, l’UNICEF accusa la maggior parte dei governi di non aver rispettato le promesse. La mortalità nei minori di 5 anni che ci si era proposti di ridurre di almeno un terzo entro il 2000, è passata dal 102 per mille nati vivi al 90 per mille, una riduzione di un misero 12%. Più di 10 milioni di bambini minori di cinque anni muoiono ogni anno per cause prevenibili. Il tasso di malnutrizione che si voleva ridurre alla metà, si è ridotto solo del 15% e 150 milioni di bambini, un terzo dei bambini del mondo, soffrono ancora di malnutrizione: solo nell’Asia Meridionale ogni anno nascono ancora 11 milioni di bambini di basso peso (inferiori a 2,5 kg.), e 3,6 milioni nell’Africa sub-sahariana, dove il numero è in aumento; solo la metà dei neonati sono alimentati esclusivamente con latte materno per un periodo sufficiente (4 mesi). Circa 30 milioni di bambini continuano a non essere vaccinati. Di pochi punti percentuali la riduzione delle persone senza accesso all’acqua potabile e senza servizi igienici, che nel 1990 ci si era proposti di rendere universalmente accessibili entro il 2000. Oggi ancora 1,2 miliardi di persone (19%) non hanno accesso a sistemi di acqua sicura e 2,4 miliardi (40%) mancano di servizi igienici. La mortalità materna che si voleva ridurre del 50% potrebbe essere addirittura in aumento. Infine, quasi 900 milioni di persone non hanno accesso ai servizi sanitari essenziali.

La nuova epidemia: HIV/AIDS

L’avvento dell’epidemia di HIV/AIDS ha posto la comunità mondiale di fronte a nuove sfide, riflettendo tra l’altro il quadro della disuguaglianza: nei paesi ricchi, anche le persone affette da HIV/AIDS hanno a disposizione gratuitamente farmaci efficaci, mentre nei paesi poveri quelle cure sono inaccessibili e ancora una volta sono i bambini a sopportare il peso maggiore: oltre a poter contrarre l’infezione, possono soffrire le conseguenze dell’epidemia sulle loro famiglie e comunità e rimanere orfani.
Dei 36,1 milioni di persone infette con HIV/AIDS, il 95% vive nei PVS, 16,4 milioni sono donne e 1,4 milioni bambini minori di 15 anni.
Alle crescenti disuguaglianze si associano fenomeni migratori, instabilità politica, conflitti sociali e guerre. Con regolamentazione e controllo internazionali insufficienti, si moltiplicano i traffici illeciti. Milioni di bambini sono vittime di sfruttamento sul lavoro. Si stima almeno 300.000 bambini siano coinvolti nei conflitti come soldati. La tratta dei minori e la prostituzione infantile sono commerci fiorenti: il commercio sessuale riguarda circa un milione di minori, soprattutto bambine, con le ovvie conseguenze sulla loro salute.

Slitta ancora l’obiettivo salute per tutti

Nel giugno del 2000 su richiesta dei G8, ONU, OCSE, FMI e Banca Mondiale elaborando per la prima volta congiuntamente un documento, hanno prodotto “A better world for all” nel quale come ostacoli allo sviluppo si riconoscono tra l’altro «il fallimento nell’indirizzare le iniquità di reddito, educazione e accesso alle cure sanitarie e le disuguaglianze tra uomini e donne, [nonché] limiti imposti ai paesi in via di sviluppo e, a volte, inconsistenze nelle politiche dei donatori che impediscono un progresso più veloce».
Ma già un paio di anni prima, all’avvicinarsi della scadenza pattuita, nel 1998, anticipando il fallimento, senza troppo interrogarsi sulle cause, la comunità internazionale aveva apportato una piccola modifica ai termini temporali dell’impegno assunto ad Alma Ata: con il nuovo “Salute per tutti nel XXI secolo”, del tempo ne rimane.

 

Eduardo Missoni
Esperto di cooperazione internazionale
Presidente dell’Osservatorio italiano
sulla salute globale