Spogliarmi di tutto l’odio, di tutta la rabbia. Un compito difficilissimo. Mi si chiede di scrivere e descrivere quello che ho già scritto e descritto e che altri lo hanno fatto molto meglio di me. Mi si chiede magari di comprendere e di proporre soluzioni… Io so solo che ormai non ho più forze, che lottare contro avversari così potenti è impossibile, so che ormai per il nostro lavoro è finita. Non è uno sconforto momentaneo, è una certezza acquistata in anni di batoste. Non ce la facciamo più. In una eterna auto analisi, una volta a settimana scriviamo agli amici lontani le nostre avventure, le nostre riflessioni. Raccontiamo di un mondo impossibile che invece vediamo e tocchiamo ogni giorno, un mondo creato e generato con fini precisi e determinati, un mondo di oppressione, umiliazione e morte. Hanno vinto loro.
Potrei raccontare il fatto con ironia, con sarcasmo, sarebbe facile e magari anche divertente da leggere. Ma la gravità degli avvenimenti impone silenzio. Potrei scrivere sotto forma di denuncia l’ennesima lettera, l’ennesimo articolo. Chi lo leggerebbe? A chi arriverebbe la mia voce? Forse i momenti peggiori sono quelli quando qualcuno cerca di giustificare l’ingiustificabile volendo trovare “buone ragioni” in azioni mosse dalla più assoluta turpitudine. E io, e noi, veniamo di conseguenza trasformati, visti, considerati come intolleranti, saccenti, e magari, perché no, anche violenti. Lo abbiamo scritto migliaia di volte: la miseria della nostra gente è il più grande affare del secolo. Sulla sofferenza altrui ci speculano in molti e in molti ci guadagnano. Guadagnare significa trovare in essa – la miseria – una risposta a quello che si cercava: c’è chi è mosso da aneliti spirituali, religiosi, c’è chi si muove considerando le possibilità di un enorme giro di affari, c’è chi lo fa esclusivamente per prestigio personale e futuro tornaconto. La miseria è la più grande fonte di soddisfazione altrui. Veniamo ai fatti, crudi, spogliati di ogni commento: un gruppo di deputati federali arriva a São Paolo con l’intuito di visitare la cracôlandia, il quartiere in cui il traffico e l’uso di droga avviene liberamente in ogni angolo in ogni palazzo. Il quartiere che descriviamo da anni come il pozzo nero senza fondo di una delle più violente città del mondo. Compresa tra la sede della polizia federale e il terzo distretto di polizia, la zona abbandonata a se stessa è palco di una onda speculativa che vuole “rivitalizzarla” attraverso demolizioni degli antichi edifici e la costruzione di centri culturali e uffici. Un affare di miliardi bloccato dalle lungaggini burocratiche e dalla mancanza di reale interesse anche da parte degli stessi speculatori. Gli antichi edifici demoliti formano montagne di macerie che servono da nascondiglio e abitazione per migliaia (ripeto: migliaia!) di persone ridotte in stato di degradazione. I meninos de rua espulsi dal centro nobile trovano rifugio in quelle strade convivendo con le peggiori violenze di ogni genere. Dunque, un gruppo di deputati federali da mesi riunito in commissioni di studio con gli “esperti del problema”, arriva in città per visitare il quartiere. Nella sede del terzo distretto vengono illustrati sui metodi di repressione al traffico di droga dai responsabili. In pullman, seguito da una scorta armata, percorrono i punti in cui si consuma la tragedia. Passano adagio attraverso la folla, nascosti da vetri scuri e protetti dalle armi della polizia. Il pullman rallenta, i deputati fotografano e commentano. I deputati fotografano. Fotografano. I deputati fotografano. I deputati federali fotografano e commentano, commentano come comari al mercato, fotografano come turisti allo zoo. Lo zoo degno del loro disprezzo, della loro commiserazione, della loro falsità. La mancanza totale di comprensione, di compassione, di empatia, di umanità. Il potere non ha compassione, il potere stritola. La finalità del potere è mostrarsi potente, perpetuarsi, garantirsi la continuità nello spazio e nel tempo attraverso l’uso strumentale della persone umana, della sua sofferenza, spogliandola di ogni dignità. Ecco il potere, il loro potere.
Noi? Che forza possiamo avere noi? Che voce possiamo avere? Qual’è la nostra battaglia, dove indirizzare le nostre forze?
Spogliarmi di tutto l’odio e la rabbia che sento è difficilissimo. Mi hanno chiesto di scrivere e di raccontare, magari di commentare questa storia. Non ci riesco. Lascio la parola alle immagini
Laudato sie, mi’ Signore cum tucte le Tue creature…
L’inferno è di ghiaccio
Il ghiaccio della superbia
Il ghiaccio delle relazioni perdute, dei legami disfatti
Il ghiaccio della solitudine definitiva
Circontado dall’orrore, il ghiaccio è esclusivamente umano
Le mie mani ferite, Signore,
non sanno più come trattenere
la richiesta della lacrime dei meninos
Sono stanca, e Tu sei così lontano…
I miei piedi contorti dal tanto camminare
non più sostengono il peso del mio vivere
Mi sto fermando, Signore, esausta, mi sto fermando
Abbiamo costruito l’inferno su misura
e ce lo siamo cuciti addosso
Abbiamo trasformato la tua casa in un covo di ladroni
Abbi misericordia, Signore, dei miei figli più deboli,
dei miei meninos abbandonati,
Abbi misericordi della loro paura
della rabbia, della delusione
Abbi misericordi dell’oscurità, della solitudine di ogni sofferenza.
Abbi misericordia di chi ci uccide tutti i giorni un po’,
perché sa molto bene quello che fa
Abbi misericordia della mia debolezza
del mio pianto, della mia poca fede
Ho freddo, Signore, tanto freddo, e tu sei così lontano…
Edith Moniz, São Paulo, Brasil, Sec. XXI
Laudato sie, mi’ Signore cum tucte le Tue creature…
O inferno é de gelo
O gelo da soberba,
O gelo das relações perdidas, dos laços desfeitos
O gelo da solidão definitiva
Rodeado pelo horror, o gelo é exclusivamente humano
As minhas mãos feridas, Senhor,
não tem mais como segurar
o pedido das lagrimas dos meninos,
estou tão cansada e Tu estas tão longe…
Os meus pés retorcidos de tanto andar,
não conseguem mais agüentar o peso do meu viver
Estou parando, Senhor, exausta, estou parando
Construímos o inferno à nossa medida
e agora está pregado em nós
Fizemos da Tua morada um covil de ladrões.
Tenha misericórdia, Senhor, dos meus filhos mais fracos,
dos meus meninos abandonados,
Tenha misericórdia do medo que eles sentem,
da raiva, da decepção,
tenha misericórdia da escuridão, do abandono, de todo o sofrimento
Tenha misericórdia de quem nos mata cada dia um pouco
porque sabe muito bem o que está fazendo.
Tenha misericórdia da minha fraqueza
do meu pranto, do vacilo da minha fé
Estou com frio, Senhor, com tanto frio, e tu estás tão longe…
Edith Moniz, São Paulo, Brasil, XXI século