1992-1492 a ritroso per intendere

di Stoppiglia Giuseppe

UNA FAVOLA PER CAPIRE

Ero andato mendicando di uscio in uscio lungo il sentiero del villaggio, quando il tuo occhio dorato apparve in lontananza come un magnifico ragno e mi chiesi chi fosse questo re dei re!

Le mie speranze crebbero e pensai che i brutti giorni fossero passati, e rimasi in attesa di doni non richiesti, di ricchezze profuse da ogni porta.

Il tuo occhio si fermò vicino a me. Mi guardasti e scendesti sorridendo. Sentivo che alfine era arrivata la fortuna della mia vita. Poi d’improvviso mi stendesti la mano chiedendo: «Che cosa hai da darmi?»

Quale gesto regale fu il tuo! Stendere la mano a un mendicante per mendicare! Rimasi indeciso e confuso, Poi estrassi dalla mia bisaccia il più piccolo grano e te lo offersi. Ma quale sorpresa fu la mia quando finito il giorno, notai la mia bisaccia per terra e trovai un granellino d’oro nel mio povero mucchio.

Piansi amaramente e desiderai di aver avuto il coraggio di donarti tutto quello che avevo.

Tagore

IL CAMMINO DEL MENDICANTE

Oh dio, perfino noi, poveri stolti, piccolo gregge di Macondo, abbiamo la presunzione di scrivere e di parlare sui 500 anni della scoperta dell’America? Ebbene sì! Ma…

Voglio dire che i criteri con i quali sviluppiamola nostra riflessione sono altri, diversi da quelli celebrativi. Sono puntigliosamente critici e perciò moralmente doverosi.

Il nostro è come il tentativo di un mendicante, che raccogliendo voci, lamenti, sussurri e magari maledizioni, pretende di unificarlo nel ricordo di un incontro.

Di quale incontro? Fra popoli? Fra amici? O invece l’occultamento della piaga non risarcita dell’abbandono?

La nostra mentalità è stata segnata da secoli di retorica; e apologie altisonanti ci hanno rappresentato la scoperta dell’America come una tappa della storia dell’umanità. Ma è proprio vera questa lettura della storia? Non è stata viceversa una conquista?

I “vincitori” hanno piegato le ideologie e le culture, costringendole a servire gli ideali di “libertà”, e scopriamo che dopo 500 anni la “nostra democrazia” ricopre con il manto della libertà un lento e silenzioso genocidio.

Capisco il fastidio e la ribellione di molti per questo modo provocatorio ed eccessivo di presentare la scoperta dell’America. Me ne scuso, amici. Anche perché so bene che una rivista, un libro servono a chi li scrive, raramente a chi li legge, perciò le biblioteche sono piene di riviste e di libri inutili. Nel mio caso queste riflessioni sono soltanto un espediente per riordinare nella fantasia dei calcoli che non mi tornano.

La conquista continua, dilaga anche oggi. In Sud-America come in Africa. In Medio Oriente, ma anche in Europa: cambiando forme, metodi, ideologie, ma con gli stessi obiettivi.

Vorrei prestare orecchio ai segnali ammonitori che giungono dai quattro punti cardinali, ravvivare la sensibilità, ritrovare la rotta.

In Jugoslavia si combatte una guerra fratricida. In Somalia la lota fra etnie dilania un tessuto umano e culturale secolare. In Russia si fanno chilometri di coda per avere il latte, a Detroit, negli USA; la polizia dichiara che ci sono 8000 crack houses (case in cui si spaccia droga), una ogni cento abitanti.

In Italia nelle nostre comunità, nelle nostre organizzazioni, nelle nostre chiese, la critica è sgradita se non rispetta le convenzioni e se varca la soglia proibita, oltre la quale ogni pensiero è abusivo.

BLOCCATO SULLA SOGLIA DELLA TEORIA

Nella nostra società neoliberale la persona non esiste, diventa un soggetto creato dalle stesse relazioni mercantili.

Friedman, sociologo ed economista abbastanza noto, afferma che l’uomo è soggetto solo se è riconosciuto nella produzione mercantile. Sparisce il concetto di necessità ed è sostituito da quello della domanda. Se l’uomo non è in condizione di domandare il minimo necessario per vivere, deve sparire: la teoria economica lo elimina.

Se si afferma, se affermo che l’economia è al servizio della persona, vado incontro all’ostilità delle platee, alle censure degli apparati, al biasimo dei superiori. E rimango come travolto e sbigottito; anche perché non indosso nessuna lucente armatura, e non ho nello zaino il bastone del maresciallo.

Perciò non riesco ad avanzare e cadenzare accuse sulle responsabilità storiche in America Latina, se non apro l’attenzione critica a una posizione di denuncia e a una proposta di sostegno di nuovi progetti umani e politici.

Oggi in Italia ci si appassiona, per lo spazio di un giorno, a questioni poste solo per il loro aspetto conflittuale e polemico.

Buona parte della stampa non tenta nemmeno di andare al centro del problema, di capire il vero senso dei termini, L’unica cosa che le interessa è l’aspetto del contendere, della contrapposizione. Ci si schiera, più o meno emotivamente da una delle due parti, senza domandarsi che cosa sia in questione , di che cosa si disputi, quali siano le ragioni di una parte e dell’altra.

La disinformazione sciupa i residui di un progetto autentico di trasformazione.

Giovani con vuoto spaventoso di valori, ridotti a degli autentici robot consumistici, Messi in ginocchio davanti agli idoli muti e fatti di vuoto, completamente succubi della pubblicità e delle mode.

Mass-media che tentano di plasmare la personalità di questi giovani spingendoli a credere che ciò che fa più comodo alla società, è il modo migliore di vivere e lo scopo stesso della vita.

Vuoto che porta molti di questi giovani a un senso profondo di scontentezza, di disgusto della vita, di individualismo, di disinteresse nei confronti della società… e amica redentrice e consolatrice a questo punto, non sembri cosa strana, può diventare per molti proprio la droga.

CHI APRIRÀ UN VARCO?

Anche se chiudo gli occhi continua a danzare nella mia mente l’immensa distesa di prati, di colori, di case che riempie la mia valle. I boschi si arrampicano lungo i fianchi dei monti, si allungano verso il cielo e nella loro corsa si scompigliano rami e foglie, si intrecciano, si piegano al vento, come un mare agitato.

Non so perché sia tanto pacificante questo paesaggio. Forse perché è realtà viva, palpitante e vorrei anch’io essere parte del bosco per sentirmi animato, reso vivo dal paesaggio danzante del Creatore.

So che Lui c’è e si muove in qualche modo nella storia. Allora come passa su questa montagna, in questi boschi, danzando nel vento, dal cielo al prato, passerà nelle case, nelle piazze, nelle chiese, per rinnovare la creazione.

La grande minaccia della fede oggi, non è un’ideologia, ma la morte delle ideologie, è la scomparsa improvvisa di progetti politici.

BErger dice che la fede diviene risposta a un bisogno puramente personale, a un vuoto interiore che si fa tanto più acuto quanto più la società economica si perfeziona e offre cibo a tutte le bocche dell’animale umano.

E per dare ragione a Berger, basta osservare la produzione di iniziative religiose cattoliche e protestanti che hanno in comune l’amputazione della dimensione politica.

Viviamo il paradosso di una chiesa assolutamente necessaria e, per questo, centro della società, e assolutamente esclusa dalla storia della società politica. Non perché qualcuno la escluda, ma resa inutile dalla visione economica del mondo.

L’uomo edito, stampato, è spinto verso la totalità e afferma che ha la risposta a tutto. Non ascolta, parla: non propone un nuovo avvenimento, impone il già sperimentato.

Tutte le culture hanno sempre condannato i barbari (extracomunitari, negri, mussulmani…). Barbaro, parola che indica colui che viene a rompere la mia cultura, colui che viene a rompere ciò che noi abbiamo deciso essere buono… e perciò il barbaro è il negativo. Allora le culture, non accettando la sovrapposizione di un’altra, inventano le guerre.

L’unico che ha accettato il barbaro, il negativo come positività, è stato Cristo, ma l’hanno ucciso. Ma il “negativo” era positivo nel rapporto con Lui.

LA MANO DELL’ERETICO

L’eretico Samaritano, che non poteva entrare nel tempio, è entrato di forza nella Chiesa. Eppure chiunque di noi violi questa sufficienza della cultura verrà condannato a morte. La responsabilità per il povero, esterno al sistema, espone l’uomo giusto agli attacchi del sistema stesso, che si sente minacciato e reagisce con logica implacabile.

L’alienazione ha coperto il volto dell’altro come una maschera fabbricata dal sistema per nascondere la sua provocazione… e perché possa rivelare il suo volto storico è necessario smuovere le funzioni del sistema dominatore.

Dopo 500 anni occorre togliere quella maschera, resa brutta da tanto uso e sofferenza, deformata dal vento, dal sole e dal lavoro e farle riacquistare la bellezza popolare. Così le rughe e i solchi del volto riprenderanno la propria umanità, come i tratti del vecchio campesino riveleranno la profondità del saggio, la pazienza dei coraggiosi, i secoli di cultura e il mistero dei suoi simboli.

Ogni uomo ha in sé l’impulso di una rivelazione, tanto è immenso quello che possiede. L’azione liberatrice che si rivolge all’altro (fratello, donna, extracomunitario, terzomondiale) è simultanea a un lavoro in suo favore.

Non esiste liberazione senza un’economia e tecnologia umanizzanti, senza partire da una formazione sociale, storica.

Non so e non oso parlare dei 500 anni dalla scoperta dell’America al di fuori di questa critica e di questo impegno. La tecnica economica continua a spianare la vita trionfale del progresso, passando sopra milioni di corpi, rendendo superflue le indagini dei difensori dei diritti umani.

I lamenti delle vittime non arrivano al mercato, che è al di là del bene e del male. La terra americana contiene nelle sue viscere uranio e oro: la sua superficie ospita un valore più importante. il segreto della comunicazione. L’umiltà e il silenzio sono le condizioni per entrare dentro il segreto. Ce la faremo?

Tutto questo ripenso, guardando la maestosità solenne della Valsugana e lo scorrere lento del fiume Brenta.

Mi consola un pensiero di Teihard de Charden. “Una verità espressa nel punto più remoto del mondo, senza un testimone, non muore e, a suo tempo, porterà frutto”.