Lucciole
In una scena del film Il grande silenzio vediamo, su un fondo totalmente buio, la luce rossa di una lampada di chiesa. L’immagine è fissa. Oscilla in alto a destra soltanto la fiammella della lampada. La scena dura alcuni minuti. Nel film viene ripresa due volte. Fatta eccezione per la piccola fiamma, tutto è buio. Eppure intuisci con immediatezza due cose: la prima che ti trovi in una chiesa e la seconda che in quell’oscurità c’è un uomo che prega, che brucia dentro un mondo che solo il buio, l’assenza delle cose può rappresentare.
Lo stesso avviene con le lucciole d’estate e le stelle in cielo. Esse hanno il potere di indicare al cuore strade nascoste, l’esistenza viva di un mondo che non vedi. Brillano per un istante e ti risucchiano in una realtà che suscita dentro di te rispondenze sconosciute. Noi non vediamo chi sia a emanare quella luce. Sono creature che per un istante si fanno per noi pura luce.
John H. Newman, che poi sarà cardinale, nel suo viaggio in Sicilia, quando arriva a Leonforte, viene aggredito e atterrato da una fortissima febbre. Nell’oscuro gorgo della febbre in cui avverte di precipitare, si affaccia a lui, inattesa, «una piccola luce gentile» che lo guida lontano da sé e allo stesso tempo nell’intimo di sé, fino alla conversione. Non è la grande luce meridiana della rivelazione, ma il piccolo dono di una intuizione del cuore che illumina una strada mai percorsa.
Non vi è alcun dubbio che anche noi oggi siamo sprofondati in una notte oscura, che vaghiamo nella nebbia fitta priva di strade. In questa nostra profonda oscurità talora si accende per un istante la luce breve di una lucciola. È dono inatteso, piccolo spiraglio sulla speranza di futuro. Di queste intuizioni ne ho registrate alcune, cogliendole dalle cronache dei giornali.
Una nuova speranza
Per primo, vorrei, riproporre il discorso pronunciato da Barack Obama, dopo l’annuncio della vittoria nel caucus dello Iowa. In quella circostanza Obama ha dichiarato che la sua vittoria poteva far rinascere la speranza, «la fede che il nostro destino non è scritto per noi, ma da noi, da tutti gli uomini e le donne che non sono soddisfatti di come va il mondo, che hanno il coraggio di volerlo cambiare», che esiste ancora la possibilità di realizzare i propri sogni.
Per Obama, il Partito democratico, scegliendo un candidato di colore, aveva scelto «la speranza, non la paura; l’unità, non la divisione»; aveva scelto di restituire la politica alla gente, sottraendola «ai lobbisti che pensano che i loro salari e il loro potere parlino con voce più alta»; aveva dato agli americani che non si sono mai interessati alla politica una ragione per alzarsi e occuparsene.
Di speranza ha parlato anche Nicolas Sarkozy nel discorso tenuto nella basilica di San Giovanni in Laterano a Roma, definendola una delle questioni più importanti del nostro tempo. Dal secolo dei Lumi, l’Europa ha sperimentato molte ideologie, ma «nessuna di queste è stata in grado di rispondere al bisogno profondo degli uomini e delle donne di trovare un senso all’esistenza» e al mistero della morte. Citando Eraclito, Sarkozy ha affermato che «se non si spera l’insperabile, non lo si riconoscerà mai». «La mia profonda convinzione – ha proseguito – è che la frontiera tra fede e non credenza non passi tra quanti credono e quanti non credono, ma attraversi ciascuno di noi». E, dopo avere distinto tra aspirazione religiosa e fede, ha detto ancora: «Un uomo che crede è un uomo che spera. E l’interesse della Repubblica è che ci siano molti uomini e donne che nutrono speranza. […]
«Vorrei dire che, se esiste incontestabilmente una morale umana indipendente dalla morale religiosa, la Repubblica ha interesse a che esista anche una morale ispirata alle convinzioni religiose. Anzitutto perché la morale laica rischia sempre di esaurirsi e di trasformarsi in fanatismo quando non è appoggiata a una speranza che colma l’aspirazione all’infinito.
«Poi e soprattutto perché una morale sprovvista di legami con il trascendente è maggiormente esposta alle contingenze storiche e in definitiva all’arrendevolezza». Il pericolo vero, secondo Sarkozy, è che il criterio dell’etica non sia più quello di cercare di fare ciò che si deve fare, ma di fare tutto ciò che si può fare, come rivendicano la scienza, la tecnica e la filosofia sottesa alla globalizzazione.
Per questo il presidente francese si augura l’avvento di una laicità che non considera la religione un pericolo, ma piuttosto un punto a favore e quindi capace di dialogo. E, concludendo il suo discorso, ha affermato che il mondo oggi ha nuovamente voglia di politica, ma si aspetta anche spiritualità, valori, speranza. Il mondo ha bisogno di credere di nuovo che non deve subire l’avvenire, ma costruirlo. «È per questo che ha bisogno della testimonianza e del coraggio di quanti, condotti da una speranza che li sorpassa, ogni giorno si rimettono per strada per costruire un mondo più giusto e più generoso».
La fede può aiutare il mondo
Su questi temi ha insistito anche Tony Blair in un recente discorso tenuto nella cattedrale di Westminster.
Egli riconosce che nella cultura europea avere fede conduce a una serie di supposizioni, nessuna delle quali è a beneficio di chi fa politica. Anzi, chi ammette di credere è considerato spesso stravagante. Ci si aspetta che una persona normale impegnata in politica non «si occupi di Dio». La convinzione di Blair è, al contrario, che lo sviluppo della fede religiosa, nell’era della globalizzazione e della interdipendenza politica, è destinato ad avere un profondo impatto. «Le forze che cambiano il mondo d’oggi – dice l’ex premier britannico – spingono tutte in una direzione, quella di aprire il mondo, sempre di più. Dico spesso che nella politica moderna la linea divisoria non è più fra destra e sinistra, ma fra chi vuole una società più aperta e chi vuole una società più chiusa. Ed è in questo contesto che il ruolo della fede è particolarmente importante, non solo perché la religione era un fenomeno globale molto prima che lo fossero la politica e l’economia. Se le persone di fede si tendono la mano a vicenda, imparando a coesistere, possono giocare un grande ruolo nel ridurre la paura e la tensione che la globalizzazione ha scatenato nel mondo. Se persone di fede diverse possono convivere pacificamente, in reciproco rispetto e solidarietà, allora può riuscirci anche il nostro mondo. E se la fede assume il posto giusto nelle nostre vite, possiamo vivere con uno scopo che va oltre soltanto noi stessi, sostenendo l’umanità nel suo viaggio di realizzazione e di progresso».
E infine, brevemente, una luce che viene dall’interno del cattolicesimo. Si tratta delle linee programmatiche del nuovo superiore generale dei gesuiti Adolfo Nicolas. «La nostra missione è verso gli ultimi», afferma il «Papa nero». «Abbiamo il compito di servire Dio, la Chiesa e il mondo senza mai dimenticare che oggi ad annunciare la salvezza non sono le nazioni geografiche, ma quelle umane e cioè i poveri e gli emarginati». La grande scuola per il terzo millennio cattolico viene dall’Asia «lungo i tracciati del dialogo interreligioso, dello sviluppo, della pace, della trasparenza». Perché «se sei trasparente ciò che è cattivo passa senza lasciare traccia, mentre ciò che è buono rimane».
«it is happening now»
Sono soltanto alcune voci, alcune pietre che muovono appena le acque della grande palude che è il mondo odierno. Sono tutte straniere e gettano anche per questo una luce tagliente sulla pochezza della cultura e della politica del nostro paese. Sono voci che in qualche parte del mondo, dentro alcuni cuori stanno già accendendo una speranza. Lo dice un cartello grande come una casa apparso a Pittsburg, Kansas: «It is happening now». Sta succedendo adesso. Si riferisce ovviamente al cambiamento portato tra i giovani dal ciclone Obama.
Attraversa l’America una strana euforia. «Sta succedendo qualcosa che ci manda fuori di testa» dice una studentessa. E un’altra: «Sono andata a ogni comizio di Barack nel mio Stato. Ne sono uscita sempre con una sorta di energia che mi premeva lo stomaco. Inspiegabile. (…) Forse non andrà fino alla Casa Bianca, ma Obama ha cambiato la nostra prospettiva». E un altro ragazzo, tra quelli intervistati da Riccardo Romani per iO donna del Corriere della Sera: «La politica siamo noi, perché adesso siamo qui e facciamo la storia. E non ce ne frega niente se sei bianco, giallo, oppure nero. Questa è una partita dove giocano tutti».
Certo, sono piccole luci come quelle delle lucciole in una notte d’estate. Non illuminano il mondo. Ma ti fanno capire che un mondo diverso può esistere, dall’altra parte del buio.