Fugge dalle guerre un popolo in rotta

di Stoppiglia Giuseppe

Accogliere il futuro

«Il silenzio è il mistero del mondo futuro,
mentre la parola è lo strumento
del mondo presente».
Isacco di Ninive

«Quando si diventa forti?
Quando imparerai a non fare del male a
nessuno».
Alejandro Jodorowsky

Guardare, in silenzio

Nel momento in cui un sacerdote buddista si disponeva a predicare davanti a un gruppo di monaci, un uccello cominciò a cantare sui rami degli alberi dietro le mura del monastero. Il maestro tacque e tutti ascoltarono il cinguettio, sino alla fine, in rispettoso silenzio. Allora il maestro annunciò: la predica è finita. E se ne andò. I monaci capirono che per ascoltare il suono della natura occorre essere educati al silenzio.

Il figlio di Giovanni e di Adriana fu battezzato in Valsugana – nella chiesetta di San Pietro – appena due giorni dopo la sua nascita. Nel battesimo lo istruirono circa il sacro, con un intervento, pacato, del parroco don Beniamino.

Ricevette in dono un pesciolino, perché imparasse ad amare il mare.
Liberarono un uccello in gabbia, perché imparasse ad amare l’aria.
Gli diedero un fiore di mandorlo, perché imparasse ad amare la terra.
Gli consegnarono una bottiglia chiusa: con l’ordine scritto di «non aprirla mai», perché imparasse ad amare il mistero.

Si può camminare in libertà solo imparando ad amare il mistero.

A sei anni Giuseppe non conosceva ancora le cime del Massiccio del Grappa. Il padre Bernardo lo accompagnò in vetta, perché le scoprisse.

Viaggiarono per ore su un sentiero ripido e scosceso. Le cime erano al di là delle montagne maestose, che lui, bambino, aveva visto e chiamato per nome da sempre.

Quando finalmente raggiunsero il Col del Gallo, dopo aver camminato a lungo, si stagliò davanti ai loro occhi tutto il massiccio con le sue cime, e fu tanta l’immensità dell’orizzonte e tanto il suo fulgore che il bambino rimase muto per la bellezza. Quando finalmente riprese a parlare, tremando e balbettando, chiese a suo padre: «Aiutami a guardare». Imparare a vedere, imparare a guardare. Sperimentare l’attesa. Scoprire la contemplazione. Bellezze del cuore.

Viaggiare, cercando

Oggi, noi occidentali non camminiamo tanto; sono sempre gli stessi i luoghi dove ci muoviamo e camminiamo: sia donde partiamo, sia dove arriviamo. A volte ci muoviamo come dentro un labirinto, con passaggi che non portano a nessuna uscita, ma, forse, questo ci rivela che siamo viandanti in cerca di senso.

Il cammino è simbolo della vita, perché la vita è un cammino che ciascuno deve percorrere e far proprio. In questo cammino ci sono delle fermate per rivedere il tratto percorso. A volte, addirittura, ci si perde per strada. Magari si inizia un viaggio verso un luogo che non c’è, poi alla fine ci si troverà prigionieri in «paradisi artificiali».

Chi non ama i muri e i confini, ma preferisce la libertà e l’apertura mentale, gli spazi aperti, la libertà e l’infinito, incontrerà, camminando, chi ama le porte e le finestre aperte, per fare entrare luce, calore, vita e preferirà abbattere i muri e costruire ponti. Cercherà persone che preferiscono l’apertura mentale, la diversità, il dialogo, il reciproco rispetto e la solidarietà… e per far questo il nostro spirito interiore ha bisogno di storie che illuminino e alimentino il nostro cammino!

Non c’è nulla di più gratificante che offrire una mano amica e ricevere il calore di un amico.

Può essere, quindi, una mano vicina, ma anche una storia lontana, arrivata da strade e paesi diversi, storie affascinanti e non facilmente comprensibili.

Perché dividere, rimuovere l’umano?

Le migrazioni sono un fenomeno strutturale irreversibile, e qui sono tutti d’accordo. Ma se, oggettivamente – e ogni giorno la cosa è più evidente – i cosiddetti primo e terzo mondo fanno parte di un’unica storia, soggettivamente si afferma la tendenza a separare le storie dei popoli in sviluppati e sottosviluppati. Se, infatti, oggettivamente, s’impongono sempre più rigidamente le leggi spietate del mercato totale, perché sembra legittima la distinzione e la contrapposizione tra il capitalismo selvaggio e sottosviluppato del sud e il capitalismo civilizzato sviluppato del nord? Viviamo nello stesso sistema.

Se oggettivamente le minacce di distruzione e morte pesano su tutta l’umanità, perché si afferma, nelle impostazioni politiche ed ecologiche, la preoccupazione di salvare le minoranze «più avanzate» abbandonando la «massa sottosviluppata» a un destino di morte? Questo atteggiamento è un meccanismo psicologico di massa, che consiste nel rimuovere l’altro o, meglio, nel rimuovere l’unità della storia e del mondo, e pertanto il sentimento di comunione fra tutti gli esseri umani. Si elabora una visione del mondo e della storia fondata sulla superiorità e centralità di un popolo, di una cultura, rispetto agli altri. Riducendo la storia del mondo a quella dei popoli «più avanzati» (la superiorità economica e tecnologica dei paesi del nord), si nega il ruolo degli altri popoli e l’importanza delle nostre relazioni reciproche.

Il valore della diversità

Inevitabilmente tra di noi crescono xenofobia e pregiudizi razziali. Così gli immigrati si trovano appiccicati addosso i peggiori stereotipi della società moderna, fino a essere considerati terroristi tutti quanti, in blocco. La realtà dolorosa molte volte è fatta di esseri umani ridotti a cose, spogliati della loro dignità, privati di affetti e di parole.

Qualunque persona democratica dovrebbe reagire davanti all’abisso in cui inevitabilmente ci sta conducendo il disprezzo dell’altro, l’odio del diverso, l’intolleranza, il fanatismo, l’oscurantismo, il dogma della disuguaglianza.

Si può reagire partendo anche dalle piccole cose del nostro quotidiano. Così continuiamo a cucinare la pasta, tagliare il pane, conservare la frutta, apparecchiare la tavola, perché ogni atto legato al cibo – anche il più semplice – porta con sé una storia ed esprime una cultura complessa della civiltà umana. Ognuno è diverso dall’altro. Ed è sul riconoscimento delle diversità che si fonda il riconoscimento dell’uguaglianza dei diritti di cui ogni essere umano è portatore. Del resto, io che sono diverso da mio padre e da mio fratello, come posso pretendere di essere identico a una persona di un altro paese, di un’altra lingua, di un’altra tradizione culturale? Rivendico certamente e sempre la mia diversità: se non lo facessi perderei un’altra occasione per migliorarmi.

Ma una cosa è rivendicare il diritto di essere diversi, un’altra cosa è arrogarsi il privilegio di sentirsi i migliori. Semplicemente, quando capiremo che siamo tutti diversi, nessuno sarà più diverso. Come scrive Julia Kristeva: «Lo straniero comincia quando sorge la coscienza della mia differenza e finisce quando ci riconosciamo tutti stranieri, ribelli ai legami e alle comunità».

Misericordia e accoglienza

Viviamo, purtroppo, in un’epoca alimentata dalla paura di non farcela e dalla consapevolezza che la crisi ha piegato certezze e sicurezze economiche di tanti e ha scalfito valori su cui per decenni le nostre comunità hanno costruito il loro modo di esistere. Attraversiamo un tempo in cui la disperazione può diventare la nota del nostro agire, pensare e riflettere. Dobbiamo investire sull’idea che la speranza non è affidarsi al cielo quando la terra frana, ma è il punto di forza che innesca quei meccanismi personali cheàgenerano comunione e comunità.

Vorrei vivere tutto il mio tempo per imporre l’accoglienza come grande virtù religiosa, forse la più grande…

Accogliere l’altro è la sfida di ogni civiltà e la sfida di ogni persona che voglia essere umana. Un’identità accogliente è disponibile ad aprirsi alle necessità altrui senza immaginare quale sarà la propria ricompensa o il proprio tornaconto. Accoglienza che presuppone il fatto che non ci riteniamo gli unici depositari della verità. La verità ci trascende, trascende le nostre chiese, le nostre comunità, i nostri movimenti e le nostre associazioni. Non potremo essere felici se la vita è una gara a chi arriva primo. La mia paura non deve cercare rivali, ma solo quiete per vincere il nemico che è in me. Non si lotta per essere il migliore, perché si diventa migliori quando si cerca pace.

La religione cristiana contemporanea spesso chiede poco all’uomo. È pronta a offrire conforto, ma non ha il coraggio di provocare. È disposta a fornire edificazione, ma non ha l’ardire di spezzare idoli. È diventata abitudine, rituale, senza rischi e senza tensione. Parla in nome dell’autorità invece che con la voce della misericordia e della compassione.