Come contrastare il declino demografico e favorire lo sviluppo

di Gandini Andrea

Allarghiamo l’orizzonte.
Uno spettro si aggira per l’Europa, anzi due: il declino demografico e l’immigrazione. Due fenomeni che fanno paura ma, se ben governati, possono portare a un nuovo sviluppo per tutti (com’è stato per molti paesi in passato), perché una ripresa della natalità unita a un’immigrazione regolata e programmata può porre fine al declino trentennale dell’Italia.
C’è chi dice: «prima degli immigrati pensiamo a fare più figli». Va anche bene, ma se guardiamo a chi ha avuto prima di noi questo problema (USA, UK…), si scopre che ha inserito lo ius soli nella Costituzione e da allora non ha avuto più problemi demografici. Anche la Francia nel 1880 era spopolatissima dopo le guerre napoleoniche e così introdusse il divieto di espatriare (se non nelle proprie colonie) e il principio che chi nasce in Francia da immigrati è francese. Altri tempi si dirà, ma contaminarsi fa bene e infatti furono solo i francesi ad andare a salvare gli armeni dal genocidio.
Così occuparsi della scuola oggi è importante perché è il solo laboratorio culturale di contaminazione. Poi noi siamo per l’Arte nella scuola perché è trasversale nell’apprendimento e per una scuola all’aperto perché se non si mantengono vivi la curiosità e il desiderio ti sei giocato il 50% delle possibilità che il bambino si affezioni a quello che stai facendo come maestra/o.

La sorte dei piccoli comuni tra le montagne.
Come sta avvenendo negli oltre tremila comuni italiani in via di spopolamento sugli Appennini, sulle Alpi e nelle aree interne (10 milioni di abitanti), il declino demografico trascina con sé la chiusura di negozi, servizi, scuole elementari, asili, in una spirale perversa. In molti piccoli comuni piccoli si stanno facendo acrobazie per mantenere asili e scuole (bonus ai genitori fino a duemila euro perché iscrivano i loro figli e non li portino nelle scuole di città, finanziamenti straordinari distolti da altre spese…). Ma senza residenti che vivono e lavorano in loco sarà quasi impossibile risolvere tali problemi.

Nuovo modello di sviluppo.
Si prevede un potenziamento delle scuole d’infanzia specie al sud che speriamo siano fatte senza ulteriore consumo di suolo (vedi madrugada n. 121), ma puntando su una didattica all’aperto presso aziende agricole bio che comporterebbe meno edifici e una didattica più legata alla natura, che favorisce l’apprendimento nei bambini 1 . Per una ripresa della natalità bisogna però cambiare radicalmente il modello di vita e di lavoro. Questa è la grande differenza col dopoguerra: non si tratta solo di ricostruire un paese ma di cambiare come produciamo e consumiamo e creare le condizioni perché una giovane coppia possa avere figli ed entrambi lavorare. In tal senso la prima priorità è l’ingresso dei giovani e delle donne al lavoro. La Germania è diventata un “modello”; silenziosamente i tedeschi hanno ridotto l’orario in modo che oggi il giovane marito lavora 2835 ore e la moglie 20-30, hanno così molto più tempo libero e possono avere più figli, essendo sostenuti da un buon welfare. Mentre da noi il modello è quello del marito che lavora a tempo pieno, della moglie casalinga e di bonus una tantum. La Germania ha oggi lo stesso monte ore di lavoro di 20 anni fa, ma 8 milioni di occupati in più e ha quindi ripartito l’orario su più persone: si può fare anche da noi. Se non cambiamo, le previsioni (anche nel 2021) sono di un ulteriore calo dei nati per via della depressione giunta col virus.

L’Europa ha bisogno di manodopera esterna.
Nonostante i miglioramenti della natalità che hanno riguardato 12 paesi europei, va detto che gli altri 15 sono in peggioramento, per cui la media UE è in lieve diminuzione. Le previsioni indicano, pertanto, una perdita entro il 2030 di un milione di abitanti all’anno e, a causa dell’esiguo numero di nati in passato, ci sarà un drastico calo dei giovani che si presenteranno nel prossimo decennio sul mercato del lavoro. E anche se la natalità dovesse aumentare (poiché ci vogliono 20 anni per formare un lavoratore), si stima che il fabbisogno di manodopera esterna in Europa supererà i due milioni all’anno per tutti i prossimi 10 anni.

Vantaggi di un’immigrazione regolare.
L’Unione Europea può programmare e regolare l’immigrazione meglio di quanto possa fare il singolo paese, in quanto è un negoziatore più forte e autorevole con i paesi terzi. Se sono i singoli paesi che possono indicare le quantità e professionalità degli immigrati, è l’Europa che può fare accordi con i paesi di origine anche per il rimpatrio assistito dei clandestini o di chi vuole ritornare in patria. Nel momento in cui i flussi sono regolati è più facile raggiungere accordi con gli Stati terzi. Ci sono città tedesche, inglesi, del nord Europa, dove la quota di stranieri è tre volte quella italiana, ma dove tutti lavorano e sono integrati, nessuno vaga per le città e nel complesso c’è buona convivenza e scarsa criminalità.

1 Andrea Gandini, Se la scuola si sposta in giardino, www.lavoce.info, 19/05/2020.

Altro che “baby boom” da confinamento!

Tutti gli studi e le indagini indicano nel mondo un calo della natalità nel 2020 che proseguirà anche nel 2021. Gran parte delle giovani coppie ha perso il lavoro o ridotto la speranza di migliorare, anche per il clima di paura che si è creato per cui hanno deciso di non avere figli o di posticipare il loro arrivo, accelerando quindi il declino demografico e inasprendo le disuguaglianze già esistenti.
La chiusura delle scuole e la riduzione (o la chiusura) dei servizi di cura per i bambini unitamente al telelavoro richiedono alle donne (soprattutto) e agli uomini di sopportare il peso di tali attività e dei lavori domestici in misura ancora maggiore di quanto già facessero, accentuando i divari di genere.
Le conseguenze sono molte e di sicuro c’è la diminuzione della fecondità. In tale direzione va anche l’aumento della povertà che ha colpito i giovani e le fasce più marginali e la necessità di ricostruire i mezzi di sussistenza economici (per la classe media) che avrà effetti sulla natalità.
Chi invece è stato meno colpito dalla crisi economica come pensionati e lavoratori adulti non avendo incidenza sulla natalità, non può controbilanciare gli effetti negativi sulla natalità subiti dalle giovani coppie.
Ci si potrebbe quindi trovare con una specie di frattura generazionale nel numero di nascite che potrebbe portare a numerose conseguenze, specie se protratta, come una riduzione di studenti / classi, un numero minore di offerta di giovani al lavoro nel lungo termine (con conseguente aumento degli immigrati), nonché aspetti legati alla salute (aumento delle gravidanze in età avanzata).

Andrea Gandini

economista, già docente di economia aziendale, università di Ferrara

con la quale collabora per la transizione al lavoro dei laureandi