La lettera circolare del presidente di Macondo agli amici e soci dell’Associazione.

Pove del Grappa, 17 febbraio 2021

 

«Oggi non ci si volta indietro. E c’è il Covid a sdoganare l’indifferenza.
Degli Ultimi sappiamo storie a lieto fine.
Delle altre, poco o nulla.
Dei maschi cui la polizia croata spezza le gambe. Dei paramilitari che organizzano battute di caccia all’uomo. Dei dispersi nel gelo. Delle polizie in combutta con le mafie. Dei manganelli elettrici dei Bulgari. Dei respingimenti in furgoni senza finestre. Di quelli che hanno tentato trenta volte di passare.
Della speranza che muore.
Non è roba che vedi in tv.
Nei campi alle porte dell’Italia ora c’è la neve, e la neve fa notizia.
Ma poi verrà il fango, e dopo il fango i bucaneve, e allora non se ne parlerà più.
Dei campi greci sappiamo degli incendi, ma pochi sanno dei giovani poliziotti (quattro, cinque?) che l’anno scorso si sono suicidati in quei campi perché non potevano resistere all’orrore.
Temo che non ci sarà nessuno Spielberg a raccontare questa tragedia.
Forse, il vento è la sola voce onesta della storia».
[Paolo Rumiz, Memoria e oblio. Dove sono i sommersi e i salvati, Robinson, La Repubblica, 23/01/21]

 

«Esiste un solo bene, la conoscenza,
e un solo male, l’ignoranza».
[Pippo Morelli]

 

Carissime Amiche e Carissimi Amici,

Epaminonda, forse qualcuno di voi lo conosce, sabato 23 gennaio è entrato nel cortile della Villa Angaran-San Giuseppe, è sceso da cavallo, ha legato il destriero alla colonna che dà sul porticato, poi lentamente ha premuto la mano sulla maniglia della porta a vetri; ha attraversato la prima sala, la seconda, poi è salito lungo la scala fino alla ex cappella, in attesa dell’incontro ventilato, ma non ancora programmato, dell’Assemblea generale dei soci. È rimasto lì, aspettando, poi non vedendo nessuno arrivare, ha rifatto a ritroso la scala di accesso, attraversato in silenzio le due sale, ritornato in cortile, sciolto il cavallo, ed è sparito sotto la pioggia.

Certo, Epaminonda siamo noi, che desideriamo incontrarci, vederci, toccarci, stare, che teniamo l’occhio alle date. La pandemia ci mette in prudenza, ne riceviamo le avvisaglie, ma senza dimenticare le nuove opportunità: il rispetto dell’ambiente e la solidarietà.

In questi giorni con il gruppo di Piovene Rocchette abbiamo partecipato alla raccolta di medicinali, viveri indumenti, organizzata a Schio dal Collettivo Rotte Balcaniche in solidarietà del campo di Lipa in Bosnia che raccoglie migliaia di profughi, intrappolati nel ghiaccio, vittime del freddo e della violenza della polizia croata e dell’indifferenza dell’Europa e dell’Italia.

In precedenza avevamo partecipato alla raccolta fondi per il Libano – promossa da padre Abdo Raad, nostro ospite alla festa nazionale 2019 – in occasione della deflagrazione causata dall’incendio di un deposito di nitrato d’ammonio, situato presso il porto di Beirut, che ha causato la morte di duecento persone e centinaia di feriti e l’ulteriore sfascio delle organizzazioni politiche e sociali del Paese.

 

Voglio ricordare il lutto che ha colpito alcune nostre famiglie a causa della pandemia, ma anche la morte improvvisa di persone care, in particolare ricordo la recente scomparsa di una delle figlie di Alessandro Bruni e Giovanna Cavallari, la Gabriela, originaria dell’Argentina, morta a 49 anni, farmacista a Porto Corsini (Ravenna) e madre di quattro figli.

Macondo resta vigile. È facile in questo tempo perdere i contatti, sentirsi isolati e spersi dentro le nebbie della pianura o su per le valli montane che il tempo rigido invernale ha ricoperto di neve abbondante. Per questo abbiamo mantenuto le regolari scadenze della rivista Madrugada e delle circolari e restiamo sempre in attesa di tempi migliori per incontrarci e dialogare sul futuro di Macondo e per il rinnovo delle cariche, che era in calendario per lo scorso gennaio 2021. E che ha deluso il nostro amico Epaminonda, che rientra lentamente sul suo destriero o sul paziente ronzinante.

In queste ultime settimane, tre compagni di viaggio di Macondo ci hanno lasciato: Ideo Agitu Gudeta, padre Arnaldo de Vidi e don Gianni Gambin.

Tutti abbiamo seguito la notizia della morte della nostra cara amica Ideo Agitu Gudeta, donna etiope, presidente dell’associazione “La capra felice”, un’azienda di allevamento delle capre a Frassilongo (Tn), in valle dei Mocheni. Una morte violenta, che ha commosso la città tutta di Trento, che per lei ha celebrato nel cimitero cittadino l’ultimo congedo, prima del suo ritorno in Etiopia, dove sarà sepolta nella terra dei suoi antenati. Nel maggio 2019 Agitu era stata ospite e relatrice al convegno di Macondo.

L’ultima sosta di padre Arnaldo de Vidi è stata la parrocchia di Abaetetuba, nello Stato di Parà. Aveva ottenuto una specializzazione in lingua e cultura cinese a Taiwan nel 1969. È stato direttore della rivista saveriana Cem Mondialità, attraverso la quale abbiamo conosciuto lo scrittore Rubem Alves e il suo grande amore per la scuola e la nuova didattica.

Qualcuno di noi lo ricorda mentre scende giù dalla gradinata della sala di Spin di Romano, era una delle prime feste di Macondo, con un’anfora tra le mani che poi rompe in fondo alla scala, come aveva fatto Geremia davanti agli anziani minacciando sventura su Gerusalemme. Una metafora per l’Occidente consumista e distratto.

Padre Arnaldo teneva con gli amici dell’Italia una corrispondenza frequente, che toccava i temi della pastorale che diventavano temi sociali e politici, con riferimento costante al vangelo dei poveri.

Scrittore e poeta, amava la terra dove ha vissuto gran parte dei suoi anni, il Brasile. Sapeva leggere la condizione di abbandono e di violenza del Brasile, ne indicava le cause e manteneva sempre la speranza attiva e collettiva di potere svolgere un’azione umana utile tra la popolazione di Abaetetuba.

A luglio dell’anno appena trascorso scriveva: «A fine maggio ho compiuto 80 anni. Come dicono qui, è ora di “pendurar as chuteiras” (appendere al chiodo le scarpe da calcio). Ho dato le dimissioni da parroco, ma mi è stato chiesto di continuare (e per la verità mi sento come un sessantenne). Avevo agendato (fissato) le mie ferie in Italia per metà luglio; a motivo della pandemia ho dovuto rimandarle (a quando non so). Per ora il virus mi ha risparmiato. Passo il mio tempo rispettando l’isolamento, leggendo, scrivendo, pregando; la pigrizia, che era un mio vizio, è diventata virtù.

Qui abbiamo due virus: il covid-19 e Bolsonaro. Covid-19 sta falciando specialmente i poveri delle periferie e gli indios. Bolsonaro col suo governo filo-fascista e militare sta svendendo il paese (agli USA); privatizzando le imprese statali e i servizi sociali; uccidendo la foresta e i giovani (ci sono poliziotti ovunque). Io pubblico un giornalino settimanale con due temi: religione e politica (!) per evitare che i miei parrocchiani siano analfabeti politici: come cristiani devono conoscere la congiuntura e impegnarsi socialmente!».

Ho risentito padre Arnaldo a Natale 2020, prima che si ammalasse. Ci ha lasciato in Belem il 2 febbraio, dopo due settimane di terapia intensiva. I suoi funerali sono stati celebrati il giorno successivo ad Abaetetuba, l’ultima stazione del suo viaggio, dove svolgeva con i poveri una pastorale di speranza attiva, generosa.

Don Gianni Gambin era amico di don Giuseppe Stoppiglia, che lo aveva incrociato la prima volta come co-relatore di un incontro sulla classe operaia a Piove di Sacco, organizzato dal dott. Mario Crosta, sposato con Ornella, che per molti anni ha curato la rubrica di economia su madrugada.

Don Gianni diventa sacerdote nel 1967 e nel 1968 frequenta all’università Gregoriana di Roma la facoltà di filosofia e torna nel ’72 a Padova con la licenza in filosofia, di cui terrà la cattedra al Seminario Maggiore di Padova fino al ’90.

Nel 1990 diventa parroco a Deserto d’Este (Pd), dove scoprirà una nuova vocazione al servizio di una classe di uomini, donne e famiglie abbandonate, di cui si farà servo fedele, fino al suo ritiro nella casa del clero, donde ha continuato la sua attività pastorale collaborando con don Albino Bizzotto in “Beati i costruttori di pace” e accompagnando con il suo tratto umano, discreto e ironico i malati terminali.

Amava giocare al paradosso con le parole, come paradossale era la sua vita attiva, dentro un corpo molto fragile. Varie volte ospite nella nostra dimora, scherzando mi scriveva: «Ti auguro crampi di serenità per fare fronte a quanto ti mette a dura prova».

E continuava con un linguaggio scherzoso la gioia, la festa di essere amato in ogni relazione personale, nonostante tutto: «Non riesco a capire NIENTE, sono entusiasta di TUTTO; riesco a fare QUALCOSA, molto faccio A METÀ; mi frantumo nel SUPERFLUO, e ciononostante QUALCUNO MI VUOL BENE; l’incredibile è POSSIBILE, pardon è REALE».

Poi a gennaio, mentre fatica a percorre il tratto di corridoio che lo conduce al refettorio, appoggiandosi alla parete, scrive:

« C arramba

I l virus

A ttacca da

O gni parte».

Ed era un CIAO perpendicolare, bastone di bandiera, prima dell’ultimo suo passo incerto, audace e ironico. Ora intona l’Ave verum accanto a don Giuseppe, in cima al monte, con la sua voce limpida di tenore, come fece mille anni fa, al termine di una conferenza condotta da Giuseppe per una coppia che partiva per il Brasile, mentre l’assemblea torcendo il collo a ritroso, applaudiva la voce melodiosa di don Gianni.

Don Gianni Gambin era nato a Casale di Scodosia (Pd) ed è deceduto nell’ospedale di Padova l’8 febbraio del corrente anno 2021.

Sul sito di Macondo abbiamo segnalato tre libri, importanti per la loro storia e per lo scopo che illustrano. Sono libri cui Macondo in parte ha collaborato.

Ve li ripresento. Eccoli per ordine:

1) Il libro “Alborada” racconta una avventura che nasce in Italia tramite la ISCOS, una ong della CISL, che ha organizzato in Cile nel 1988 una tipografia, assieme all’esperto meccanico tipografo Tarcisio Benedetti e la collaborazione attiva del sindacato cileno, una storia che ha partecipato alla vittoria della democrazia in Cile durante la dittatura di Pinochet. Alborada. La tipografia della libertà di Tarcisio Benedetti è edito da Edizioni Lavoro e Macondo Libri.

2) Il secondo libro, scritto da Andrea Gandini, affronta un argomento attuale per una scuola che viva il presente culturale, sociale, politico e un nuovo rapporto con il mondo del lavoro. Il titolo del libro è Per una scuola di relazione, edito da Edizioni Lavoro e Macondo Libri, che abbiamo presentato a Villa San Giuseppe di Bassano del Grappa il 5 dicembre 2020 (sul nostro sito è visibile il video integrale dell’incontro di presentazione).

3) C’è un terzo libro: Sapere Libertà Mondo, di Francesco Lauria, racconta la vita di Pippo Morelli, che si è spento nel 2013 a Reggio Emilia, vent’anni dopo l’ictus che lo aveva colpito di ritorno dal Brasile nel 1992 e che aveva fermato la sua vita pubblica. Quello in Brasile era uno dei numerosi viaggi fatti assieme al nostro fondatore e presidente Giuseppe Stoppiglia, per costruire un rapporto organico con il sindacato brasiliano di Lula. Favorendo la costruzione di una scuola sindacale brasiliana, per il sindacato della CUT (Central Única dos Trabalhadores, Centrale Unica dei Lavoratori) a Belo Horizonte.

Pippo è stato un grande sindacalista, con lui dal sindacato è nato il progetto per il diritto alle 150 ore di studio e cultura per gli operai, che è stato occasione di una proposta alla scuola italiana per una nuova metodologia attiva e presente nel sociale e nel mondo del lavoro. Pippo, che molti di noi hanno conosciuto e amato, è stato socio attivo in Macondo, protagonista con Pierre Carniti della primavera sindacale della Fim e della Cisl di Milano negli anni sessanta, formatore presso il Centro studi nazionale Cisl di Firenze. «Pippo è stato un sindacalista sempre con la schiena dritta, un uomo forte e resistente, talmente trasparente e vero da diventare scomodo, come tutti i profeti. Sì, perché Pippo è stato ed era un profeta, anche nel sindacato, per la sua genialità e la sua capacità di leggere i segni dei tempi, con l’occhio innocente di un bambino scanzonato» (Giuseppe Stoppiglia, Pippo Morelli, un Maestro del nostro tempo, in madrugada n. 91, settembre 2013).

La mia lettera si è fatta lunga, voleva essere solo un abbraccio; ma a volte gli abbracci si attardano per commozione e/o per tenerezza. So che ciascuno di Voi continua a lavorare e operare nel suo ambito, piccolo o grande, pubblico o privato. Portando con sé lo spirito di relazione e comunicazione che anima il mondo dei vivi, uomini e donne che costruiscono, giorno dopo giorno, pace e giustizia.

Vi raccolgo in un grande abbraccio,

Gaetano Farinelli,
presidente di Macondo