MELQUÍADES
Colloqui diretti ad Abu Dhabi: un nuovo capitolo per la pace tra Armenia e Azerbaigian?
Il 10 luglio, il presidente azero Ilham Aliyev e il primo ministro armeno Nikol Pashinyan si sono incontrati ad Abu Dhabi per quello che ha segnato il primo contatto bilaterale senza mediazioni tra i due leader, segnando un netto distacco dalla tradizione pluridecennale di colloqui di pace facilitati principalmente da attori esterni come l’Unione Europea, la Russia o gli Stati Uniti.
Sebbene i dettagli delle discussioni siano stati in gran parte tenuti segreti, e solo le implicazioni generali siano emerse dalle dichiarazioni dei rispettivi ministeri degli esteri, entrambe le parti hanno affermato che “i negoziati bilaterali rappresentano il formato più efficiente per affrontare tutte le questioni relative al processo di normalizzazione”.
L’agenzia di stampa filogovernativa Azerbaijan Press Agency ha riferito che “si sono tenute discussioni serie e sostanziali su aspetti chiave dell’agenda di pace tra Armenia e Azerbaigian, tra cui la delimitazione dei confini, l’apertura e lo sviluppo del corridoio Zangezur, la sigla dell’accordo di pace e altre questioni”.

Un accordo di principio
L’incontro di Abu Dhabi segue un evento significativo avvenuto a marzo di quest’anno, quando Armenia e Azerbaigian hanno annunciato di aver concordato per la prima volta i termini di un accordo di pace. Questo è avvenuto dopo innumerevoli incontri e cicli di negoziati mediati da attori internazionali dalla Seconda guerra del Karabakh nel 2020, tutti incentrati sul raggiungimento di un accordo bilaterale definitivo e sulla risoluzione di eventuali divergenze residue.
L’area del Nagorno-Karabakh è sotto il controllo della propria popolazione di etnia armena come stato autodichiarato fin dai tempi di una guerra combattuta nei primi anni ’90, conclusasi con un cessate il fuoco e una vittoria militare armena nel 1994. In seguito, è stata istituita una nuova Repubblica del Nagorno-Karabakh de facto, non riconosciuta a livello internazionale, e sette regioni adiacenti sono state occupate dalle forze armene. Secondo l’ International Crisis Group , a seguito del conflitto più di un milione di persone sono state costrette ad abbandonare le proprie case: “Gli azeri sono fuggiti dall’Armenia, dal Nagorno-Karabakh e dai territori adiacenti, mentre gli armeni hanno lasciato le loro case in Azerbaigian”.
Le tensioni persistettero nei decenni successivi, culminando nella seconda guerra del Karabakh nel 2020 e nella successiva operazione militare nel settembre 2023, con quest’ultima l’Azerbaigian si aprì la strada per riprendere il pieno controllo del Karabakh.
Secondo quanto riferito, la bozza dell’accordo di pace includeva importanti concessioni da parte dell’Armenia, come la rimozione degli osservatori dell’Unione Europea dal confine e l’abbandono delle cause legali presso i tribunali internazionali. L’Azerbaigian ha costantemente criticato della missione dell’UE gli osservatori dell’UE sin dal loro dispiegamento nell’ottobre 2022, accusandoli di “creare copertura militare e di intelligence per la parte armena”. L’ espansione nel febbraio 2023, a seguito di un’offensiva azera in Armenia nel settembre 2022, ha ulteriormente teso i rapporti con Baku1 e Mosca, che ne hanno messo in dubbio lo scopo e la legittimità.
Le richieste dell’Azerbaigian includevano anche la modifica della Costituzione dell’Armenia per rimuovere qualsiasi rivendicazione territoriale percepita nei suoi confronti, in particolare i riferimenti nel preambolo alla Dichiarazione d’Indipendenza del 1990. La Costituzione dell’Armenia non fa riferimenti diretti al Karabakh; il preambolo si richiama alla Dichiarazione d’Indipendenza che “fa riferimento alla decisione congiunta del 1989 del Consiglio Supremo della RSS Armena e del Consiglio Nazionale dell’Artsakh sulla riunificazione della RSS Armena e della Regione Montuosa del Karabakh”.
Il primo ministro Pashinyan ha pubblicamente sostenuto l’adozione di una nuova costituzione attraverso un referendum nazionale, con l’intenzione di votare nel 2027.
Gli attori regionali e il corridoio Zangezur
Diverse potenze regionali hanno un interesse personale nel garantire un accordo di pace duraturo. La Turchia, stretto alleato dell’Azerbaigian, si è impegnata attivamente nel processo del Primo Ministro Pashinyan. Nel giugno 2025, la visita a Istanbul per colloqui con il Presidente Recep Tayyip Erdoğan è stata descritta dall’Armenia come un passo “storico” verso la pace regionale, con la Turchia che si è impegnata a sostenere gli sforzi di pace dell’Armenia con l’Azerbaigian.
Un punto di interesse chiave per tutte le parti interessate è il proposto Corridoio Zangezur, un collegamento di trasporto vitale attraverso l’Armenia che collega l’Azerbaigian alla sua exclave2 di Nakhchivan, stretta tra Armenia, Turchia e Iran. Questo corridoio ha un potenziale significativo per facilitare il commercio e il transito tra Europa e Asia, offrendo nuove opportunità economiche per tutte le parti coinvolte.
I negoziati sul corridoio hanno sollevato importanti punti di contesa. Innanzitutto il nome: l’Armenia rifiuta il termine “Corridoio di Zangezur”, considerandolo una minaccia alla sovranità su Syunik, il territorio meridionale armeno al confine con il Nakhchivan. L’Azerbaigian, a sua volta, si oppone al pieno controllo armeno, citando preoccupazioni relative all’affidabilità dell’accesso, mentre l’Armenia si rifiuta di cedere il controllo del percorso di 32 chilometri a terzi.
Gli Stati Uniti hanno proposto una possibile soluzione. In una conferenza stampa dell’11 luglio, Tom Barrack, ambasciatore statunitense in Turchia, ha dichiarato: “Quindi, quello che succede è che l’America interviene e dice: ‘Ok, ce ne occupiamo noi. Dateci i 32 chilometri di strada con un contratto di locazione di cento anni e potrete condividerli tutti'”. Secondo l’analisi di Middle East Eye su questi sviluppi, “i commenti di Barrack segnano la prima conferma ufficiale che l’amministrazione Trump si è offerta di gestire il corridoio tramite un operatore commerciale privato statunitense, che fungerebbe da garante neutrale”.
Nel suo rapporto del maggio 2025, l’International Crisis Group ha sottolineato che la risoluzione delle modalità di tali collegamenti di trasporto, comprese le questioni di sovranità e ispezione, resta centrale per il processo di pace.
La Russia messa da parte?
I colloqui di Abu Dhabi evidenziano un significativo cambiamento negli equilibri di potere regionali, con la Russia –un tempo considerata un mediatore primario– che appare sempre più marginalizzata. Mentre il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha accolto con favore il dialogo diretto, l’influenza di Mosca continua a scemare a fronte del deterioramento delle relazioni diplomatiche con Armenia e Azerbaigian.
Secondo l’analista politico Zaur Shiriyev “l’Azerbaigian non ha più bisogno della mediazione russa, che può creare opportunità per un vero progresso”. Le relazioni tra Armenia e Russia hanno subito un drastico peggioramento dalla fine della Seconda guerra del Nagorno-Karabakh, con Yerevan3 che accusa Mosca e la sua alleanza militare, l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO), di non essere riuscite a difenderla dagli attacchi azeri nel 2021 e nel 2022.
Anche le relazioni dell’Azerbaigian con la Russia si sono inasprite a seguito del controverso incidente aereo del 25 dicembre 2024. Baku ha accusato la Russia di aver erroneamente colpito un volo dell’Azerbaijan Airlines con missili di difesa aerea, un’affermazione fortemente contestata da Mosca. Questo incidente, insieme alla recente morte di due fratelli azeri durante un raid della polizia russa a Ekaterinburg, ha alimentato un battibecco pubblico senza precedenti e un risentimento sempre più profondo, riducendo la capacità della Russia di agire come arbitro regionale indiscusso.
Le sfide restano
Nonostante il segnale positivo trasmesso dai colloqui diretti, permangono ostacoli significativi. Sul piano interno, Pashinyan subisce notevoli pressioni da parte dell’opposizione, della Chiesa e degli ambienti oligarchici, che alcuni analisti ritengono sostenuti dal Cremlino.
Allo stesso modo, la detenzione del miliardario russo Samvel Karapetyan, che controlla la rete elettrica nazionale dell’Armenia e aveva espresso ambizioni politiche sostenendo le posizioni della chiesa (che è in contrasto da tempo con il primo ministro) sottolinea ulteriormente i conflitti interni.
Secondo Richard Giragosian , direttore del Centro Studi Regionali di Yerevan, dei frequenti “tentativi di colpo di stato” contro il governo democraticamente eletto – cinque dal 2018 – “nessuno [è stato] molto grave”. Ha dichiarato a Euronews che queste mosse sono “progettate per ottenere il sostegno russo” più che “guidate dall’attività russa” – anche se la Russia stessa è “sopraffatta da tutto ciò che riguarda l’Ucraina”.
Giragosian ha anche preso atto di due distinte campagne di disinformazione russe. La prima riguarda resoconti inventati di un rafforzamento militare russo nella base di Gyumri, volti sia ad allarmare gli osservatori dell’UE sia a fare pressione su Yerevan, che si sta sempre più allineando all’Europa. La seconda, che Giragosian ha liquidato come “altrettanto assurda”, riguarda le accuse russe di un “impianto di armi biologiche in Armenia orchestrato dagli americani”– un’accusa che Mosca ha già usato contro Ucraina e Georgia. Queste campagne, ha sostenuto Giragosian, paradossalmente “mettono in luce la debolezza della Russia”, nonostante l’incombente “tempesta all’orizzonte” mentre la Russia cerca di riconquistare l’influenza perduta.
Il percorso verso un accordo di pace globale e duraturo è intricato. Se la natura non mediata dell’incontro di Abu Dhabi segna una svolta cruciale, la concretizzazione del risultato dipenderà dalla capacità di entrambi i leader di gestire la complessa politica interna, mantenere lo slancio diplomatico e assicurarsi il supporto coordinato degli attori internazionali interessati, oltre a Mosca. Mentre il Caucaso meridionale continua a ridefinire il suo panorama geopolitico, il mondo osserva per vedere se questo nuovo dialogo diretto possa finalmente trasformare decenni di conflitto in una pace sostenibile.
1 Baku è la capitale dell’Azerbaigian.
2 Exclave è un territorio situato entro i confini di uno stato ma politicamente dipendente da un altro.
3Yerevan è la capitale dell’Armenia.
Pubblicato da Global voices, da noi tradotto.
Arzu Geybullayeva
è editorialista e scrittrice azera
