I bambini torneranno a giocare?

di Fantini Francesco

Il Brasile è un paese dove la ricchezza è appannaggio di poco più del 2% dell’intera popolazione. Il lavoro rimane uno dei più grandi nodi da sciogliere, non solo per la strutturale carenza, ma soprattutto in virtù di un salario minimo drammaticamente inadeguato alla possibilità di sopravvivenza, costringendo la struttura familiare allo sfruttamento di tutte le risorse possibili, compresi i figli.
Per meglio comprendere questa realtà, evitando giudizi approssimativi, è necessario ricordare che il concetto di famiglia in questo paese è diverso dal nostro e trova origine nella particolare storia del Brasile.
Cento anni or sono il popolo brasiliano viveva ancora in schiavitù. Gli uomini e le donne erano costretti ad una vita separata, le donne dovevano partorire per legge una volta l’anno ed i figli erano immediatamente tolti alle madri. Gli schiavi provenivano da paesi diversi ed erano accuratamente selezionati, in modo da essere destinati in posti dove non trovavano connazionali. La babilonia di lingue rendeva impossibile una comunicazione diretta, tanto che un paese così grande a tutt’oggi non possiede una lingua autoctona, ma parla il portoghese.
Nel tempo si sviluppò una cultura basata sulla comunità, che sostituiva la struttura della famiglia. La chiesa fortemente insediata, usava la religione come strumento di dominio ed in questo accettava deroghe ai propri principi, tanto che le prime tracce di matrimoni celebrati dai francescani, risalgono a 78 anni fa.

Le favelas, la famiglia,
la comunità

Questi cenni storici possono farci intuire il significato che ha un figlio per una donna brasiliana, e di come la comunità sia comunque un elemento fondamentale, prima ancora della famiglia, o per meglio dire come il concetto di famiglia sia allargato a quello di comunità. È più facile anche comprendere quel fenomeno incredibile rappresentato dalle favelas, dove lo spazio pur suddiviso e comunque promiscuo, è in funzione della comunità prima ancora che della famiglia; come il favo per le api.
Paradossalmente il primo problema nella piaga del lavoro minorile in Brasile, sono proprio le famiglie, costrette ad impiegare i propri figli, sfruttandoli come forza lavoro fin dalla più tenera età, per garantirsi e garantire a loro la sopravvivenza.
Stiamo parlando di un problema che tocca almeno sette milioni di minori e certamente queste sono stime per difetto.
La prima immediata conseguenza del lavoro minorile, al di là degli aspetti morali, è la mancanza d’istruzione che perpetua una situazione d’analfabetismo diffuso e la conseguente impossibilità d’evoluzione generazionale.
Può anche diventare più comprensibile il fenomeno della violenza, laddove bambini privati dell’infanzia concepiscono il mondo degli adulti come fonte di sofferenza e sfruttamento che spezza il sottile filo della crescita come speranza, legata indissolubilmente al concetto positivo di affettività.
Proprio la partenza dalle favelas di Rio de Janeiro rafforza le problematiche che poi diventeranno costanti per capire la condizione della creanza, l’infanzia, l’adolescenza.
In questa realtà non vive solo il povero, nelle favelas vive anche il ceto medio, dalle baracche si vedono uscire persone dall’aspetto e dal comportamento assolutamente "dignitosi". Persone che poi ritroviamo al lavoro in banca, o negli uffici del centro.
Passando ai centri più rurali, la realtà non cambia poi di molto. La congenita mancanza di lavoro, soprattutto il salario troppo basso, costringe le famiglie ad impiegare i bambini nel lavoro dei campi, nei mercati, ovunque e a qualunque condizione pur di aiutare il bilancio familiare.

La carvoerja

Da Rio passiamo allo stato di Espirito Santo. Le grandi piantagioni d’eucalipto divorano tutta la vegetazione, piegano anche la natura alle necessità del mercato della cellulosa. Non esiste metodo, integrazione, solo l’esigenza del profitto più sfrenato. L’eucalipto non è una pianta originaria di questi luoghi, ma importata. È una pianta invasiva e non serve a nulla, dal punto di vista ambientale, ma dove vive l’eucalipto non cresce più nulla.
È su questa base che si sviluppa il fenomeno della "carvoerja", i carbonai. Famiglie intere che da generazioni non conoscono altro che la realtà del tremendo lavoro derivato dallo scarto della lavorazione dell’eucalipto. Con questi scarti di legno si riempiono dei forni di terra che bruciando lentamente producono carbone dolce.

Il lixon

Dall’interno della foresta di eucalipto, si prosegue verso la costa, per arrivare alla capitale dello stato di Espirito Santo, Vitoria. Al di là della consueta situazione del lavoro minorile legato all’accattonaggio, alle fatiche dei mercati, per arrivare alla prostituzione, alla droga, colpisce a circa sei chilometri dalla città la grande discarica di Vilha Velha.
Nella discarica vivono famiglie intere dove lavorano bambini e minori in genere, un lavoro legato alla raccolta, alla selezione dei rifiuti della città. Un tipo di riciclaggio, dove la selezione è fatta direttamente a mano. Pensate alle lotte per accaparrarsi l’arrivo dei rifiuti più pregiati, quelli dei quartieri ricchi, agli scarti dei supermercati, via via fino a scendere ai rifiuti dei bairo, i quartieri più poveri, dove il rifiuto è già il risultato di riciclaggio.
Ancora una volta una vita degradata, senza possibilità di istruzione e perciò senza speranza, legata alla sopravvivenza quotidiana, dove vivere giorno per giorno, rende impossibile che un giorno possa cambiare.

Bahia, lavorazione
dei camarao

Proseguiamo ancora, arriviamo al mitico stato di Bahia, conosciuto per le feste, il colore, la musica. Una piccola cittadina, Alcobaça, diciassettemila abitanti e una media di dodici omicidi al mese, un posto tranquillo con una bellissima spiaggia. La vita è legata alla pesca, all’interno il lavoro nei campi, la povertà diffusissima. Tutte le attività sono controllate da grandi società, o dai latifondisti che possiedono terreni che si perdono oltre l’orizzonte. Il lavoro è concesso come un dono che non necessita di riconoscimento economico. Qui i bambini scartocciano con le mani i gamberetti, piegati per ore al giorno. Un chilo di gamberetti pulito è pagato cinquecento, mille lire.

Il sisal

Ancora proseguiamo verso l’interno, altri settecento chilometri verso nord. A Conceiçào do Coité prevale la lavorazione del sisal. Una pianta grassa, caratterizzata da una grossa spina sulla cima, che serve alla fabbricazione delle corde. Queste grandi foglie sono tagliate e subiscono un primo processo di sfibratura direttamente sul campo. La foglia è infilata in una rudimentale macchina con lame taglienti, prive di protezione, ad una velocità impressionante. L’effetto più evidente sono le mutilazioni alle mani che colpiscono larghissima parte della popolazione e naturalmente l’uso dei minori è massiccio. Si prosegue la raccolta, l’essiccazione, per poi avviare il prodotto alla "batedera", la fabbrica dove sarà prodotta la corda. Nella fabbrica l’ambiente è infernale, la polvere mista al calore insopportabile e i minori lavorano a ritmi incredibili, naturalmente senza alcuna protezione, per un salario da miseria.

La pedreira

Ancora più all’interno, a Teofilandia, una piccola cittadina, troviamo la "pedreira", pietraia. Un posto che traduce in realtà quello che si può immaginare di un girone dantesco. Intere generazioni, dal bisnonno, i figli, i figli dei figli, tutti impegnati per ore ed ore a scavare, trasportare le pietre per poi sminuzzarle a colpi di martello fino a farle diventare ghiaia. Bambini dai tre, quattro anni, fino ad ottanta impiegati in questo lavoro massacrante e pericoloso, senza speranza, senz’altro futuro.

… e il gioco dei bambini

Ma, oltre a questo, come in tutte le città brasiliane, conosciamo anche l’aspetto positivo. L’impegno di tanti e tanti brasiliani, quasi tutti volontari, che inventano progetti per aiutare i minori. Progetti che vivono grazie all’autofinanziamento, piccoli contributi statali, strappati per lo più ad ogni tornata elettorale, in alcuni casi con aiuti della comunità europea o di associazioni non governative. Si organizzano scuole, si cerca di strappare dalla strada i bambini, di permettergli l’apprendimento di mestieri e soprattutto ricucire un qualche rapporto affettivo con il mondo degli adulti.
In queste attività, negli ambienti stessi, anche i più degradati, emerge sempre un’esuberanza gioiosa, incontenibile, il gioco dei bambini, la vitalità prorompente che scatta ad ogni minimo pretesto e nello stesso tempo la sofferenza latente nel comprendere che più che di una manifestazione di vita, si tratta della presenza costante di morte.