Lodi, ottobre 2000

di Pase Andrea

Millecinquecento metri quadrati di prato incolto alla periferia di Lodi, tra la tangenziale sud e un centro commerciale, divengono nel giro di pochi giorni una questione di rilevanza nazionale. La giunta di centrosinistra che regge il comune ha infatti deciso l’assegnazione gratuita dell’area alla comunità islamica della città per la costruzione di un luogo di preghiera. La Lega Nord si mobilita contro l’iniziativa, propone un referendum per consultare sul tema i lodigiani e convoca una dimostrazione di protesta.

Padania cristiana
La manifestazione inizia esattamente sul prato conteso, con una messa celebrata sotto un gazebo da un prete mantovano. La funzione, sbrigativa, ha il suo apice nella benedizione del suolo. La sacralità viene chiamata direttamente in causa. (Il cielo nella sua saggezza inonda gli astanti con una pioggia battente e il gazebo non basta a proteggere l’officiante). Gli slogan gridati dai partecipanti sottolineano la contrapposizione tra le religioni: «Padania cristiana, mai musulmana», «l’ombra di un minareto non possa oscurare un nostro campanile», per tacere dei più rozzi ed offensivi. Il richiamo storico è alla battaglia di Lepanto: alle acque dove la Lega sacra ha combattuto e vinto contro i turchi. Ed un’altra Lega tenta di proporsi oggi, ammantata del sacro, come baluardo contro una supposta "invasione islamica", che non passa più con la forza dell’Impero ottomano ma attraverso l’immigrazione. Il relatore ufficiale, nel comizio finale, minaccia di passare se occorre alle vie di fatto pur di impedire la costruzione della moschea, andando di notte a smontarla mattone per mattone. Alla difesa della religione e delle tradizioni si uniscono motivazioni molto più concrete (un sano pragmatismo non è d’altra parte segno di un autentico spirito padano?): «il nuovo insediamento potrebbe far crollare il valore degli immobili» (La Padania).
Millecinquecento metri di terra: benedetti da un prete, calpestati dai manifestanti, ripresi dalle televisioni nazionali, oggetto di interpellanze parlamentari… C’è qualcosa di importante che si gioca sul quel francobollo di periferia lombarda.

Sofismi: i pericoli di una moschea
Don Gianni Baget­Bozzo, nelle sue peregrinazioni politiche imbarcato ora nella comoda nave da crociera di Forza Italia nel ruolo nobile di consigliere del principe, esplicita in una intervista il suo timore: «il terreno su cui viene costruita la moschea diventa territorio islamico, deve essere adibito al culto, è una sorta di extraterritorialità» (Corriere della Sera). Lo Stato quindi perderebbe la sovranità su quella terra e la legge italiana verrebbe sostituita dal diritto islamico. Nel "concedere" la libertà di culto e la conseguente possibilità di costruire edifici religiosi islamici lo Stato laico si svuoterebbe della capacità di controllo su un lembo del territorio nazionale.
Per i leghisti e per i loro alleati, attraverso quei pochi metri di prato incolto si fanno avanti pericoli gravissimi: la sconfitta della cristianità, la perdita di valore economico, il naufragio delle tradizioni (per la precisione del "pane e salame"), la resa al diritto islamico, in un immaginario dove l’Europa è assediata dall’esterno e aggredita dall’interno, con sullo sfondo l’incubo dei minareti svettanti sui tranquilli e produttivi paesotti della pianura padana.

Luoghi di culto islamico
Ovviamente tutto questo non riguarda solo Lodi: negli stessi giorni la Lega raccoglieva firme contro la possibile costruzione di una moschea a Mestre nell’area di San Giuliano e a Milano si discuteva dell’ampliamento di un edificio di culto in via Meda.
Con la crescita numerica dei fedeli islamici nel nostro Paese vanno diffondendosi anche i luoghi di preghiera: un indirizzario dei principali centri islamici in Italia elenca quarantatre realtà, seppur di diversa consistenza, situate tanto nelle grandi città come in piccoli comuni. Questo elenco è dichiaratamente limitato, parziale e vi sono senz’altro diverse altre iniziative minori, stanze attrezzate con poche risorse, locali utilizzati in modo occasionale. È prevedibile che il numero e la visibilità dei centri islamici di preghiera andrà aumentando in Italia. Non solo la società ma il territorio stesso diverrà multireligioso, incorporerà elementi simbolici di fedi diverse da quella cristiana. Certo non è una novità assoluta, sinagoghe e quartieri ebraici sono parte integrante della storia e della cultura di tante città italiane. Ma la percezione, diffusa in alcune forze politiche e sociali, di una alterità "irriducibile" dell’Islam assieme al peso demografico crescente delle comunità di credenti musulmani pongono con particolare urgenza il tema delle forme della coesistenza nello stesso contesto territoriale di plurimi orizzonti religiosi.

Il tempo e lo spazio nelle religioni
Il sacro ha sue modalità di ordinamento del mondo. Una religione interpreta il tempo e lo spazio, elaborandoli attraverso forme di appropriazione simbolica, attraverso "marcatori" temporali e spaziali che si connettono con la storia e l’identità stessa della fede. Il calendario delle feste e delle ricorrenze ritma il tempo ed attualizza i riferimenti religiosi: il calendario cristiano, musulmano, ebraico hanno inizi e contenuti propri, che consentono ai fedeli di vivere in contatto con il tempo del sacro, il cui senso è affidato alle "cose ultime", all’attesa del compimento, al disegno divino sulla creazione e sull’uomo.
Parallelamente le religioni affrontano la dimensione spaziale, dando al mondo un significato, una direzione, un orientamento ben visibile nelle modalità costruttive dei luoghi di culto.
Nelle antiche sinagoghe l’asse principale era orientato in direzione di Gerusalemme: "le preghiere del popolo erano sempre dirette verso il Santo dei Santi di Gerusalemme, il luogo dove il Messia doveva apparire e la diaspora essere infine radunata in una Gerusalemme ricostruita"1 .
La moschea, la cui struttura secondo una tradizione si ricollega alla casa di Maometto a Medina, luogo di raduno dei primi fedeli, ha tra le sue caratteristiche fondamentali la qiblah, l’orientamento della struttura verso la Mecca. Il mihrab, una nicchia in una parete dove sosta chi dirige la preghiera, indica sempre il punto verso il quale i musulmani devono rivolgersi durante il culto.
Le prime chiese cristiane sono anch’esse orientate e precisamente verso il luogo da cui si leva il sole, in direzione quindi dell’oriente geografico. "La nuova Gerusalemme che essi attendono non è una ricostruzione di quella antica", è la Gerusalemme celeste. L’oriente è per i primi cristiani "l’unico simbolo adeguato dell’ultima apparizione di Cristo nella parousia, Sole di giustizia già cantato da Zaccaria"2 .

Territorio consacrato ed esclusione
La costruzione di una sinagoga, di una moschea, di una chiesa è anche l’occasione per rinnovare un determinato ordine del mondo, per ricordare l’orientamento fondamentale dello spazio dei credenti. La compresenza di luoghi di culto di religioni diverse comporta perciò l’accettazione dei molteplici ordinamenti possibili dello spazio e della vita religiosa.
Le difficoltà nascono nel momento in cui il sacro viene travasato direttamente nelle relazioni tra i gruppi umani e si giunge ad interpretare il territorio attraverso una concezione per l’appunto sacrale, che implica l’assolutizzazione del proprio orientamento e il rifiuto della differenza. Se questo territorio è sacro per la mia fede, non posso accettare che altri "si facciano spazio" in esso: sull’assoluto, sul sacro non si media. L’idea sacrale del territorio conduce all’esclusione dell’altro, alla ricerca di una ipotetica "purezza" dell’identità religiosa. Può portare facilmente ad atti di violenza pur di imporre la propria fede, la sua unicità, la sua esclusività in un determinato ambito territoriale.
La messa sul prato di Lodi e la relativa benedizione del suolo hanno questa valenza: dichiarare la sacralità di un territorio per escludere la presenza dell’alterità.
La storia registra purtroppo luoghi e tempi in cui il rifiuto delle altre religioni e la sacralizzazione del territorio hanno portato alla costruzione di ghetti, alle crociate, alle persecuzioni, alla pulizia etnica. Ma fortunatamente vi sono anche esempi ed occasioni di convivenza feconda. Tra questi, in un momento in cui l’Islam viene spesso collegato all’intolleranza, al radicalismo cieco e violento, è bene ricordare le molte stagioni in cui paesi musulmani hanno ospitato e protetto minoranze religiose, in particolare ebrei e cristiani, e non casualmente, per una qualche fortuita congiuntura, ma con motivazioni profonde che trovano riferimento diretto nel dettato coranico.

1 L. Bouyer, Architettura e liturgia, Qiqajon, Bose 1994, p. 19.
2 Ibid. pp. 24­25.