Aspetti culturali della lotta per la terra nel Maranhão

di Di Felice Massimo

La vita degli abitanti del Brasile, prima della colonizzazione, viene
descritta dai cronisti dell’epoca come una vita di “paz e
sossego” (pace e tranquillità).

“La terra era un bene comune, apparteneva a tutti, e mai i suoi
abitanti immaginavano che qualcuno avrebbe potuto trasformarla in
proprietà privata.

Questi ultimi disponevano di grandi case e di ottimi terreni di gran
lunga superiori alle loro necessità.”

Così Jean de Lery, uno dei primi storici a registrare le condizioni
di esistenza trovate dai conquistadores nel nuovo continente, ci
descrive la vita dei nuovi brasiliani.

Da quanto detto appare evidente come le nuove terre abbiano
immediatamente posto dei problemi ai colonizzatori,soprattutto in
relazione alla necessità di creare delle infrastrutture e dei
rapporti sociali capaci di organizzare la produzione di tutti quei
generi che potevano interessare il commercio.

MODELLO EUROPEO

Le popolazioni native si scontrano subito con il modo di produzione
agricolo impiantato dagli europei, basato sulla monocoltura e
sull’estensione della proprietà della terra, il quale si rivelò
fortemente contrastante con il loro universo culturale e la loro
economia di sussistenza, caratterizzata, soprattutto, dalla caccia e
dalla raccolta.

La produzione per il commercio, inoltre, richiedeva degli intensi
ritmi di lavoro ai quali le popolazioni indigene non si abituarono
neanche con il passare degli anni.

L’ introduzione del sistema della schiavitù, basato sulla
importazione della mano d’opera dall’Africa, e contemporaneamente la
diffusione del costume, della cultura, e della religiosità europea
nel continente, furono i mezzi attuati dai portoghesi per superare le
difficoltà sorte in seguito al conflitto culturale.

L’evoluzione della società brasiliana non apporterà modifiche
sostanziali nelle campagne, così l’abolizione della schiavitù,
avvenuta nel 1822, e la legge della terra del 1850, non costituiranno
delle limitazioni allo “strapotere” dei grandi
latifondisti, i quali troveranno nel “nuovo” mondo
industriale e nel settore finanziario internazionale degli alleati ”
fedeli”.

Il conflitto all’interno della società agricola brasiliana ha
mantenuto nella sua storia, sia pure in modi diversi, una particolare
struttura espressa nella contrapposizione tra il proprietario della
terra e il lavoratore del campo.

Il latifondo ha assunto forme diverse, a secondo dei periodi sociali
e delle esigenze del mercato internazionale, le sue caratteristiche
principali si sono così, nel corso degli anni, dovute adattare alle
tecniche e ai tipi di produzione più diversi, ma all’interno di tale
mutevolezza è possibile scorgere una linea di continuità che può
essere a mio avviso identificata proprio nelle relazioni sociali
generali della produzione agricola su larga scala.

SCONTRO CRUENTO

A tutt’oggi lo scontro è cruento ed appare difficile pensare a delle
soluzioni che tengano conto contemporaneamente delle esigenze dei
contadini e dei proprietari terrieri.

Infatti il conflitto tra le due classi è profondo e ha le sue radici
non soltanto nelle relazioni di forza e negli interessi contrapposti,
ma anche nel diverso modo di concepire il lavoro e la produzione.

In altre parole ritengo che il conflitto sia culturale e che avvenga
tra due gruppi espressioni di altrettanti mondi diversi; uno
occidentale, il latifondo appunto, formatosi nella cultura europea
coloniale e approdato a forme di produzioni capitalistiche: l’altro
quello contadino, figlio diretto del mondo indigeno e caratterizzato
da tipi di produzione agricola strettamente limitati alla
sussistenza.

Muovo la mia riflessione basandomi sulla realtà contadina del
Maranhão – stato del
Nordest del Brasile – che è stato l’oggetto di studio di una ricerca
sociologica da me svolta quest’anno.

Il conflitto nelle campagne del Maranhão oppone, come in tutto il
Nordest, i lavoratori del campo – soprattutto i “posseiros”,
ossia nuclei familiari che praticano l’agricoltura di sussistenza –
ai grandi proprietari terrieri.

I “fazendeiros”, spinti dalla necessità di assicurare
nuovi pascoli per il bestiame o dall’esigenza di espandere il loro
latifondo, guadagnano terra palmo a palmo espellendo i piccoli
agricoltori che incontrano nell’area.

A quest’ultimi non restano che due possibilità: emigrare in città o
occupare nuovamente il terreno perduto.

Una grande metropoli quale Rio, São
Paulo si ricopre di numerose favelas (nel caso opposto, invece, la
prospettiva è quella di una lunga lotta, preceduta da una
organizzazione lenta e faticosa, il cui esito è incerto a causa
dell’enorme disparità militare esistente tra le parti contrapposte).

La lotta dei lavoratori rurali deve confrontarsi da un lato con gli
eserciti privati dei latifondisti, e dall’altro con la repressione
della polizia federale che ha il compito di intervenire nel caso
d’invasione di una proprietà.

IL MONDO CONTADINO

Possiamo considerare il mondo contadino come un’identità culturale a
se stante che si esprime nei gesti quotidiani del lavoro dei campi e
trova i suoi punti di riferimento principali nella cultura indigena e
in quella negra.

Il lavoratore del campo vive con la sua famiglia a ridosso della
foresta (mato) dalla quale dipende quasi completamente; la sua
alimentazione , infatti, è costituita da riso, fagioli, mandioca che
pianta in aree disboscate mediante la tecnica della “rotazione”.

Il contadino maranhense lavora la terra come la lavorano i suoi
antenati, gli arnesi usati per le varie fasi dello intero ciclo
produttivo sono fatti a mano e non hanno subito con il passare del
tempo nessuna modifica.

Nel corso degli anni i tipi di produzione sono rimasti gli stessi; la
diversificazione produttiva, infatti, non è un costume diffuso tra
loro anche se spesso si rivelerebbe utile al miglioramento della
poverissima dieta alimentare.

Allo stesso modo le loro forme di lotta e la loro organizzazione
politica risultano di difficile comprensione agli occhi di noi
occidentali e molto spesso le nostre categorie si rivelano inadatte
ad esplicare la loro visione del sociale.

A tal proposito sembra assai eloquente il diverso atteggiamento
assunto dai contadini e dalle entità politiche e religiose nei
confronti della lotta per la terra.

Questa ultima per il lavoratore del campo, in genere è soprattutto
una ” lotta per la sussistenza”, ossia per la conquista del
“pezzo di terra” nel quale piantare il riso ed i fagioli
che serviranno, almeno per quell’anno, a sfamare la sua famiglia.

Viceversa per il sindacato rurale, i partiti e le altre entità
politiche coinvolte nel conflitto, essa è solo un mezzo per ottenere
un cambiamento delle condizioni di vita degli agricoltori;
l’occupazione nella loro ottica non è che il momento iniziale, che
trova senso e significato nella lotta per la “riforma agraria”.

Concretamente, nella realtà vi è un’unica lotta, quella contro il
latifondo; ma lo spirito che anima i suoi protagonisti è diverso.

La spiegazione di tale diversità va a mio avviso, ricercata nel
significato dato dai contadini alle relazioni sociali, al concetto di
proprietà e quindi all’organizzazione generale della struttura
sociale.

L’analisi delle caratteristiche culturali delle popolazioni
contadine, alle quali abbiamo solo brevemente accennato, può
rivelarsi assai utile a coloro che si occupano delle problematiche
dei senza terra . Infatti la loro considerazione oltre che salvarci
dalla formulazione di facili giudizi etnocentrici, renderà il nostro
modesto contributo alla lotta dei contadini più efficace ed, in
ultima analisi, potrà generare un confronto, dal quale possiamo
aspettarci una salutare relativizzazione del nostro universo
culturale.