La scelta preferenziale dei poveri

di Colmegna Virginio

Farsi prossimo

Tra i tratti per cui il Cardinale, amico e maestro, mi è indimenticabile – ricordo vivo che riposa nel più profondo del cuore e presenza santa che prego ogni giorno – c’è l’efficacia di messaggi brevi e abbondanti, originali e incisivi. Essere direttore di Caritas ambrosiana negli anni del suo episcopato è uno dei doni inestimabili che sento di aver ricevuto nella mia vita. Sulla sua lettera pastorale Farsi prossimo, redatta nel 1985, ho incentrato numerosi percorsi formativi e spirituali per operatori della carità e, soprattutto, ho avviato una serie di opere oggi ancora vivissime, autonome, segni di valida imprenditoria sociale nel milanese, raggruppati in un consorzio di cooperative che porta intatto il profetico nome corrispondente al titolo della lettera. Nel solco della stessa riflessione ha presoàvita, nella città di Milano, la Casa della Carità, il luogo bello e familiare nel quale anche i più sventurati devono sentirsi a proprio agio, amati e voluti. Non dimentico la domanda limpida che allora l’Arcivescovo si era posto: «Qual è l’aspetto nuovo e specifico che intendo trattare in questa lettera pastorale?» (Farsi prossimo, lettera pastorale 1985-86) e poi l’efficace breve risposta: «è l’aspetto della concretezza storica» (ibidem). Carità chiama concretezza, che per Martini è tutt’altro che affanno operativo o moltiplicazione di letti, sportelli, raccolte e distribuzioni. «L’unione degli uomini con Cristo voluta dal Padre, compiuta nella Pasqua, attuata storicamente nella Chiesa, è un evento di libertà e di amore. Chiama in causa la concreta decisione dell’uomo che, affascinato dall’immenso amore di Cristo, rinuncia a vivere nell’orgoglio, nell’egoismo, nell’affermazioneàprepotente di sé e si dispone, invece, a celebrare l’amore di Dio, ad assecondare i desideri di Dio, a testimoniare l’amore di Dio a ogni uomo» (ibidem). Ecco come spiegava la concretezza storica della carità e, proprio per il suo coraggio di essere sempre radicato nella fede profonda in Dio, richiamando dolcemente tutti a farlo, riusciva ad avere un’efficacia impagabile anche con le persone più lontane dalla Chiesa cattolica, sia con gli intellettuali che con i semplici, se sapevano essere anzitutto uomini e donne in ricerca, interrogati dalle domande dense della vita e soggetti pensanti, non superficiali.

La forza della parola

Si è talvolta propensi a ritenere che l’annuncio della fede avvenga facilmente attraverso la carità intesa come gesti universali di accoglienza e accudimento, perché le azioni sono più efficaci delle parole, si dice. Martini invece non temeva mai di richiamare il valore alto dell’amare perché amati dal Signore e a cogliere il potere comunicativo e trasformativo di questo messaggio. L’amore preferenziale per i poveri inizia dal riconoscersi come tali, come tutti poveri, come tutti preferiti dal Padre. Era efficacissimo il Cardinale quando traduceva questo concetto con parole semplici e legate alla vita quotidiana, rifacendosi a categorie antropologiche nelle quali le persone si sentivano riconosciute e interpretate. Lo dimostra ad esempio il brano di un commento che il Cardinale ha proposto via radio in una delle catechesi quaresimali ascoltate da tanti nella diocesi. Diceva commentando la beatitudine sulla povertà nello Spirito: «So accettare qualche segno della mia povertà e fragilità? Segni semplici, come quello di perdere tempo per altri, per servizi che sembrano inutili, quando per esempio si aspetta a lungo la metropolitana o l’autobus stando al freddo; quando si fa la coda agli sportelli degli uffici; quando il treno è in ritardo, quando in ospedale si deve attendere per ore il proprio turno di visita. Talora può essere giusto irritarci per le lentezze della burocrazia; ma non dobbiamo permettere che dentro di noi si instauri una situazione diàamarezza, di scontentezza che alla fine rode il cuore. Piuttosto impariamo a dire: Signore, in qualche modo sto partecipando alla tua povertà, entro nella logica del non poter avere tutto e subito, comprendo che ho bisogno di tanto, ho bisogno di tutto da te» (pubblicato in Carlo Maria Martini, Beati voi! La promessa della felicità e In Dialogo, 2012).

Povertà, condivisione, giustizia

Il magistero di Martini mi ha insegnato a non dimenticare mai la giustizia ogni volta che si parla di povertà e si opera per capirla, incontrarla, coglierne il mistero, superarla nel segno dell’amore reciproco. E anche ad andare oltre la giustizia, in un itinerario che l’uomo può compiere se contemporaneamente si impegna e si affida. In un intervento che io sento come l’architrave della riflessione che ha sostenuto la Casa della Carità, raccolti a Gerusalemme attorno a Martini che da poco aveva lasciato Milano, ci parlava dell’eccesso come categoria sulla quale porre attenzione, sia l’eccesso di male che l’eccesso di bene. «L’eccesso di bene si ha tutte le volte che si compiono dei gesti che non sono di puro do ut des, cioè di pura giustizia: ti dò tanto, mi dai tanto: si ha tutte le volte che si supera con gratuità questo livello rigoroso del dare e avere. Il vangelo è questo eccesso, il vangelo è squilibrio, non è equilibrio» (da V. Colmegna, Misericordia all’opera, e In Dialogo, 2015). «In ogni luogo e circostanza i cristiani sono chiamati ad ascoltare il grido dei poveri» oggi ci ricorda il Papa in Evangelii Gaudium (n° 191) e il percorso con il quale Francesco ci accompagna a scoprire la povertà come luogo teologico, ovvero segno della presenza di Dio, scatena in me un’emozione entusiasta e grata, come quella che nutro nei confronti di Carlo Maria Martini, il pastore amico che ha saputo segnare così profondamente la Chiesa e in essa la mia vita.

don Virginio Colmegna
già direttore della Caritas ambrosiana,
presidente della «Casa della Carità»