Martini e il mondo moderno

di Monaco Franco

Una piccola testimonianza

Ho avuto il dono – tra i più grandi della mia vita – di collaborare intensamente con il cardinal Martini per tutto il tempo del suo episcopato milanese. Ciononostante non ho la presunzione di disegnare uno dei profili cruciali di lui e della sua opera, ossia il suo rapporto con il mondo moderno. È compito da affidare ormai agli studiosi, ai suoi biografi, agli storici e ai teologi. Più modestamente posso fissare qualche impressione, offrire una piccola testimonianza.

Dove si gioca l’ultima sfida

Innanzitutto Martini è stato un uomo moderno. Un uomo libero e aperto, presente al suo tempo,àcon un respiro universale, grazie alla estesa rete di relazioni nel mondo che egli vantava. Relazioni intrecciate prima da biblista di fama internazionale e da membro della prestigiosa Compagnia di Gesù e poi da vescovo e cardinale di Santa Romana Chiesa che – pur senza volerlo – si impose a riferimento, con i suoi scritti e con la sua predicazione, nella Chiesa universale anche quando, in quel di Roma e soprattutto in Italia, non tutti gli resero la vita facile. Un solo ricordo: sulle questioni teologicamente ed eticamente più controverse e spesso rimosse nella Chiesa, egli frequentava più volentieri la letteratura teologica internazionale, meno soggetta a condizionamenti e autocensure della teologia nostrana. In breve, era uomo di mondo, nel senso buono e largo della parola. Egli alimentava tale sua sensibilità e conoscenza della Chiesa universale portandosi, ogni estate, a dettare gli esercizi spirituali in qualche Chiesa lontana: in America, in Asia, in Africa. E tuttavia, rientrando a Milano, confidava un pensiero controcorrente: con tutto il bene che si può e si deve dire delle giovani Chiese extraeuropee, con la retorica cui talvolta si indulge nel sostenere che a esse è affidato il futuro della Chiesa, notava, la sfida ultima e decisiva, quella condensata nella celebre domanda «quando il Figlio dell’uomo ritornerà, troverà ancora la fede sulla terra?» (Lc, 18, 8), ebbene quella sfida, diceva, si gioca qui. Nell’occidente sviluppato, nel cuore appunto della modernità. A testimonianza di un giudizio per nulla ingenuo e irenico verso di essa.

Testimonianza evangelica e dialogo fiducioso

Intendiamoci: Martini fu uomo, cristiano, pastore tutto interno alla modernità. Starei per dire: un religioso e vescovo decisamente «laico», l’opposto di clericale. Ma, ripeto, lucidamente consapevole dell’ambivalenza del mondo e della cultura moderna di matrice illuministica, delle sue luci e delle sue ombre, che esigono un’opera di maturo discernimento.

A una tale acuta intelligenza critica lo conduceva anche il suo habitus da studioso. Una tensione inesausta alla ricerca della verità. Lui, pur così diverso da Montini (meno tormentato, dotato di una solidissima struttura psicologica, imperturbabile anche nelle situazioni più difficili e avverse, di alcune delle quali conservo un vivido ricordo), tuttavia riscontrava un’affinità con Montini sotto il profilo appunto della ricerca mai appagata della verità degli uomini e delle cose. Specie nell’incontro con il moderno.

Il mondo moderno, infatti, fu la sua dimora; senza incertezze o illusioni, il campo della sua testimonianza e del suo ministero. Anche per questo, il suo paradigma fu il cristianesimo delle origini, la comunità apostolica situata dentro la società pagana. Ove i cristiani sono minoranza lieta e forte. Quella rappresentata nella lettera a Diogneto, documento antico del secondo secolo d. C. eppure attualissimo, per chi, come Martini, aveva abbandonato ogni illusione o nostalgia per il tempo della cristianità. E di riflesso ogni pretesa di egemonia nella società. Una cura per la radicalità/differenza evangelica rispetto alle logiche del mondo (in senso giovanneo) che semmai abilita i cristiani alla mediazione dell’etica delle Beatitudini dentro le procedure e le regole della città dell’uomo. Mediazione affidata in particolare ai laici cristiani. L’opposto dello scambio negoziale tra potere ecclesiastico e potere politico, una scorciatoia fallace con cui ci si illude di fare cristiani gli uomini e la società. Magari imponendo per via legislativa supposti «principi non negoziabili». Dunque, un rapporto con la società secolarizzata moderna per nulla incline al facile concordismo, ma che semmai conosce il doppio registro della testimonianza spinta sino al martirio e del dialogo fiducioso con gli uomini di buona volontà.

Notte e nebbia in occidente

Ma, come accennato, anche verso il concetto di modernità, Martini si pose criticamente. Quando l’amico Giuseppe Dossetti, in una celebre meditazione in ricordo di Giuseppe Lazzati, sviluppò una severa lettura critica della decadenza della civiltà occidentale moderna, evocando la metafora della notte («Sentinella, quanto resta della notte?», un versetto del profeta Isaia), Martini osservò con finezza che forse, per rappresentare la modernità o la post-modernità, la metafora più appropriata fosse semmai la nebbia. Subito tuttavia precisando che la nebbia è più insidiosa della notte per due ragioni: perché non è sicuro che all’alba si dissolva e perché essa trae in inganno, dando l’illusione di vedere. Una notazione rivelatrice di una visione del mondo moderno non certo irenica e compiacente.

Del resto, le pagine dell’ultimo Martini, le parole da lui affidate a un confratello gesuita sotto il titolo di «conversazioni notturne», nelle quali risuonano giudizi taglienti sulla Chiesa («in ritardo di due secoli») che pure tanto amò, sono lì a dimostrare che il suo amore per essa non inibiva ma semmai acuiva la sua lucida intelligenza e una onestà intellettuale, anche con sé stesso, cui non faceva alcuno sconto. Quelle proprie di un eminente uomo di Chiesa, ma, prima e soprattutto, di un uomo libero. Non mi sorpresi nell’apprendere dal giornalista e amico Aldo Maria Valli che, a suggerirgli il titolo del libro Un uomo, dedicato a Martini ed edito poco prima della sua morte, sia stato proprio Martini. Che c’è di più grande, di più bello, di più cristiano? Che c’è di più moderno, considerato che il portato migliore della modernità può essere raccolto appunto nell’esaltazione della grandezza dell’uomo? del quale Dio, in Gesù Cristo, non ha disdegnato di assumere la natura e di condividerne la sorte?

Franco Monaco
deputato, presidente dell’Azione Cattolica ambrosiana
dal 1986 al 1992