Siamo soli, ma ci siamo salvati perché vivevamo insieme

di Alfier Cecilia

Alla veneranda età di 31 anni l’unica solitudine che mi fa paura è quella di Laura Pausini. Quando parte la canzone, sento l’istinto di sbattere la testa contro il muro, tutte a piangere per questo Marco con cui, verosimilmente, sarebbe finita dopo un mese. A me non importa niente. E in un certo senso sono orgogliosa, ma non del fatto che sarebbe finita col finto Marco, di un’altra cosa.
Da adolescente scrivevo molte pagine di diario, non tanto per ricordarmi gli eventi, ma le emozioni. Ero convinta che crescendo le avrei banalizzate, rese ridicole, eppure non è successo.
Mi sono resa conto della mia stupidità in certe situazioni, ma non mi sono quasi mai mal giudicata per ciò che provavo da bambina e da adolescente: le emozioni non vanno mai guardate dall’alto in basso. Banalizzare le emozioni dei bambini è la cosa più sbagliata che si possa fare, è sbagliato banalizzare le emozioni in generale, come ho appena fatto con le ragazze che piangono per Marco.
La paura della solitudine nei bambini è una problematica complessa. Da quanto emerge dai biglietti, la paura viene esorcizzata dal ritorno dei genitori nel campo visivo, com’è normale che sia, entro una certa età. Eppure l’allontanamento dei genitori è necessario per crescere. C’è la variante di «ho paura della solitudine, pur non essendo da solo/a»: infatti, può capitare che un bambino abbia paura di rimanere da solo con un fratellino o una sorellina di cui prendersi momentaneamente cura, una creatura vulnerabile per definizione.
Quindi la solitudine può mutarsi in paura della crescita, delle responsabilità. E io non ho ricette magiche, non ho una laurea in psicologia, non sono genitore. Ho soltanto avuto paura e anche adesso ce l’ho. Non è male avere paura, è una cosa che ci ha permesso di sopravvivere, che ci apre verso gli altri e al contempo ci permette di non ferirli. Se non avessimo paura della solitudine, nemmeno un po’, finiremmo trincerati in una torre d’avorio, perdendoci molte relazioni che rendono la vita degna. Il problema è il dilagare della paura, come sempre.
Da adulti si può vivere con la paura di un gatto, di un serpente, del formaggio caldo sulla pizza, ma l’eccessiva paura della solitudine è una condizione paralizzante. Porta a circondarsi di persone sbagliate, pur di avere qualcuno da frequentare.
Chi ha troppa paura della solitudine ha pochi amici veri e moltissimi cortigiani, perché non sopporta la compagnia di sé stesso. Molto spesso la paura all’eccesso della solitudine porta ad accontentarsi, anche nelle relazioni sentimentali, della prima persona che ricambia un interesse, anche se noi magari non siamo così presi. Allora alla meglio sposi un clone di tuo padre, uno da lasciare in diretta nazionale davanti al falò di Temptation Island; alla peggio finisci con una persona che ti farà del male. L’amore, quando è cercato solamente per paura di stare da soli, non è amore e non cura la paura della solitudine. Per non avere paura della solitudine la cosa migliore è comprendere quanto la solitudine sia una parte integrante e bella della condizione umana. Quanto bello è tornare a casa e respirare, togliersi la maschera che bisogna indossare per forza in mezzo agli altri ed essere sé stessi, senza essere visti da occhi indiscreti. E le relazioni più importanti della nostra vita funzionano se, grazie all’altra persona, riesci a toglierti la maschera meglio di come te la toglieresti se fossi solo/a.
Aristotele dice che l’uomo è un animale politico, sociale. Eppure è anche straordinariamente solo. Il bilanciamento delle due condizioni, in apparente contrasto, è difficile quanto azzeccare le dosi della ricetta di un dolce, sotto lo sguardo di Iginio Massari. Ma se ci riesci è come vincere alla lotteria.
Un esempio perfetto è Giuseppe Stoppiglia e Gaetano Farinelli. Beppe diceva sempre: «Ci siamo salvati, perché vivevamo insieme». Una relazione perfetta, che è possibile solo se le due solitudini si incastrano bene.
In conclusione, la paura della solitudine equivale quasi alla paura del vero sé. Se non ti stai simpatico, se non senti di essere una brava persona e non ammetti di avere un problema, allora sì che la solitudine diventa un ostacolo insormontabile.
Con sintomi che vanno dal finire in una mezz’ora mezzo chilo di Nutella a quell’insopportabile voglia di invadere la Polonia, mentre i baffetti ti prudono.
P.S.: La solitudine l’ha cantata anche Gianni Morandi, ma stranamente quella canzone non è molto citata.

Cecilia Alfier

laureata in scienze storiche, aspirante giornalista, giocatrice di scacchi e di bocce paralimpiche, vive a Settimo Torinese (To)