Il mondo che verrà

di Monini Francesco

Le tre del pomeriggio di un giorno di fine estate, sulla spiaggia di Castiglioncello. Lascio la famiglia sotto l’ombrellone e vado al bar per prendere un caffè. Venti persone sono in piedi, gli occhi fissi al televisore. C’è uno strano silenzio. Sul video, passano e ripassano le immagini dell’aereo che si schianta sulla prima torre. Le ipotesi, le voci incontrollate, il collegamento in diretta della CNN, l’altro schianto, il crollo.
Fra dieci, venti, cinquant’anni, ognuno di noi ricorderà quel momento.
Stavo rientrando in ufficio, stavo guardando uno sceneggiato, ero a far la spesa al supermercato…
E ricorderà quella cosa che ci aveva preso allo stomaco, il respiro che smetteva il suo solito ritmo. Il tumulto dei pensieri, ma in cima a tutti la sensazione esatta che il vecchio mondo ­ quello grande di fuori e quello intimo e privato ­ non sarebbe stato mai più lo stesso.
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Forse non basterà evitare i viaggi in aereo. E i negozi marcati USA, le piazze, le pizzerie, i luoghi affollati.
Naturalmente occorrerà diffidare degli arabi. Tenerli a distanza ­ o meglio, rispedirli da dove sono venuti ­ sarà una elementare norma di sicurezza.
«Chi mi assicura che quello non sia un seguace di Bin Laden?».
Bisognerà fare grandi provviste e chiudersi in casa. Non sognarsi nemmeno di aprire la posta, staccare il telefono, cancellare l’indirizzo internet.
Meglio anche fracassare il televisore: i talebani, come i marziani, sarebbero capacissimi di infilarsi nel tubo catodico e sbucar fuori nel nostro salotto.
Che altro? Procurarsi una maschera antigas e antibatteri (diffidare dalle imitazioni made in Napoli!). Procurarsi pala e piccone e scavare in cantina un loculo per future emergenze atomiche.
E poi? Sedersi. Chiudere gli occhi.
Non pensare. Dormire.
Gli scenari apocalittici, sempre nuovi e sempre peggiori, stanno cercando di occupare la nostra vita quotidiana. Bruno Vespa ­ e gli altri a ruota ­ fanno la loro parte con diligenza: fare ascolti, spargendo tonnellate d’ansia via etere.
Nessun Bush ci salverà. Meno che meno il suo cameriere Silvio. Non c’è ­ non ci crede nessuno ­ il Settimo Cavalleria che suona la carica e fa piazza pulita (porca miseria, i seguaci di Maometto sono più di un miliardo!).
C’è un solo modo di salvarci. Uno ad uno. Continuando a parlare.
Aprendo la porta di casa e bussando alla porta del vicino. Non abdicando ai nostri pensieri e ai nostri sogni.
Non aspettando che la televisione ci detti un codice di comportamento o che il governo ci distribuisca un manuale di sopravvivenza.
Come faceva il vecchio slogan? Ora e sempre resistenza.
Ora, soprattutto. Resistere al pensiero che guerra, violenza, controllo sociale siano scelte ineluttabili. Accendere un piccolo lume ad olio. E alimentarlo, ripararlo dal vento, tenerlo acceso. Con ostinazione; sfidando anche il ridicolo: «A che serve una lucciola in una notte così immensa?».
Serve.
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Insomma, è una guerra o non è una guerra? Nelle favole, il re del Perù mandava un messo al re di Spagna con una bella dichiarazione di guerra, con tanto di timbro e di firma in calce. Nella realtà funziona diversamente: prima si muovono le truppe, si invadono gli Stati; poi, con calma, si dichiara guerra: così Alessandro Magno, Cesare, Napoleone, Hitler e tutti gli altri.
Ma nel nuovo millennio le cose sembrano complicarsi. In questa strana guerra, e probabilmente in quelle che seguiranno, manca un ingrediente essenziale: manca il nemico.
Se come tutti ­ proprio tutti ­ sostengono, il nemico non è l’Islam o gli stati islamici; se come tutti ripetono il nemico è il terrorismo integralista con basi logistiche in decine di paesi e fondi miliardari protetti in banche e finanziarie o reinvestiti in borsa, allora cosa c’entrano l’aviazione, i bombardamenti, le truppe speciali? Come se nell’Italia degli anni sessanta e settanta avessimo mandato alpini e bersaglieri contro le cellule eversive di Ordine Nuovo o le colonne delle Brigate Rosse.
Sì, però ­ obbiettano i falchi ­ dobbiamo pur fargliela pagare a Bin Laden e ai suoi amici. Peccato che Osama Bin Laden non sia il re del Perù.
Bin Laden morto sarà promosso santo e martire. Poi, qualcun altro prenderà il suo posto.
Volete far la guerra? Fatela. Ma non venite a raccontarci che la violenza della guerra spazzerà via la violenza del terrorismo. Occorre altro. Prosciugare l’enorme palude di ingiustizia, di fame, di violenza, di sfruttamento che sommerge più di metà del mondo. Solo allora nessuno penserà di far piacere al suo Dio diventando una bomba per vittime innocenti.
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Quando Berlusconi esterna, per l’Italia la figuraccia è assicurata. Come il suo amico Mike Bongiorno, anche il Cavaliere sembra predestinato a inciampare sulle parole. Poi si lamenta di non essere compreso, se la prende con il mondo dell’informazione monopolizzato dalla sinistra (una bella faccia tosta), fa l’offeso e annuncia il silenzio stampa: «Parlerò solo attraverso il mio portavoce!». Ma è più forte di lui: un Grande Comunicatore non può non comunicare. Così, dopo una settimana, ci ricasca.
Ciampi ­ il nostro miglior presidente, passato presente e futuro ­ cerca di risollevare la dignità degli italiani nel mondo. Ma è una lotta impari: Berlusconi è un professionista della gaffe, e nessun presidente galantuomo può frenare una frana.
Forse rischiamo di compromettere alleanze ed amicizie internazionali. Forse l’Italia si avvierà ad avere il peso europeo del Lussemburgo o di San Marino. Nella migliore delle ipotesi assisteremo ad un rigoglioso rifiorire delle barzellette sull’Italia e gli italiani.
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Ha detto, ad esempio una cosa bruttissima, quando ha affermato «la superiorità della cultura occidentale».
Non esistono razze o popoli o culture superiori alle altre. Così il nostro Presidente del Consiglio è stato giustamente bacchettato da politici e commentatori di tutto il globo. Subito dopo, Berlusconi ha aggiunto che la civiltà islamica era ferma a mille anni fa, al medioevo o giù di lì. Anche su questa affermazione si è scatenata la bufera.
Rischio di mio e dico che questa volta il Cavaliere non ha tutti i torti.
Muovendosi come un elefante in un negozio di cristalleria, ha però detto una verità che è sotto gli occhi di tutti. Il movimento delle donne algerine, l’Unicef, Amnesty International denunciano da anni ­ nel generale disinteresse dei governi del mondo ­ le condizioni inumane e la negazione dei diritti fondamentali delle donne, dei bambini, dei carcerati nei paesi arabi e islamici.
Questa idea che per essere progressisti, di sinistra, aperti al dialogo, occorra essere filoarabi ed antiamericani è un’assoluta idiozia. E purtroppo è un’idiozia piuttosto diffusa.
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Le mie nipotine, quindici anni ancora da compiere, sono assai no global.
Al liceo sono indaffaratissime in collettivi ed assemblee. Sono contro il G8 (non hanno idee molto particolareggiate ma hanno capito che è un insopportabile club dei potenti), contro la guerra (tutte le guerre) e, naturalmente, contro la ministra Moratti: la sua formidabile parodia messa in onda da Mai dire grande fratello è più vera dell’originale. Volevano andare alla marcia di Assisi e Carlotta, una delle due, l’ha spuntata (accompagnata da un’amica della mamma). A Carlotta piace Che Guevara (le ho regalato una maglietta) e Tom Cruise (che volete?, nessuno è perfetto).
Ovviamente sono fiero delle mie nipotine. Mi fanno tenerezza. E mi fa tenerezza vedere migliaia di coloratissimi ragazzi riempire le strade e le piazze delle nostre città.
Viva il movimento: è una speranza che cammina. Ma abbasso Vittorio Agnoletto. Il portavoce del Social Forum soffre forse di sovraesposizione ­ un’intervista e una trasmissione dietro l’altra ­ e troppa televisione può dare alla testa. Ugualmente risulta insopportabile. Omologato in tutto ai politici che dice di voler incalzare. Schierato, intransigente, predicante, impermeabile al dubbio, tranciante sulle opinioni altrui. Lui che dovrebbe rappresentare le mille anime del movimento, lui che si proclama un non­violento della prima ora, sembra assolutamente incapace ad ascoltare.
Credetemi, Agnoletto farà carriera.
Qualcuno, magari Bertinotti, gli offrirà un posto in lista alle prossime elezioni.
Intanto il movimento ­ se davvero ci tiene alle sue mille anime ­ farebbe bene a metterlo a riposo.