Brasile: oltre i luoghi comuni

di De Vidi Arnaldo

Ho lavorato come missionario in Brasile per vent’anni.
Al mio rientro in Italia mi chiedono: – Come va in Brasile?.
Rispondo: – Va male: fame e violenza.
Cercano di consolarmi: – Era così anche in Italia cinquant’anni fa. Bisogna aver pazienza. Vedrai che tutto migliorerà anche lì. Non accetto la pietosa consolazione: – In Brasile cinquant’anni fa non c’era fame. Quindi semmai bisogna dire: pazienza che tutto peggiorerà ancora. La fame è arrivata con gli aiuti del primo mondo.
– Ma le immagini comuni del Brasile mostrano un popolo che gioca al pallone, balla la lambada, sfila nel carnevale. Insomma il Brasile forse va male, ma i brasiliani stanno bene; un po’ come in Italia.
– No. Salvo questi momenti trasformisti di calcio, ballo e carnevale, il Brasile va bene e i brasiliani stanno male; è il contrario dell’Italia.

Nessun brasileiro avrebbe parlato con me
D’un tratto m’accorgo: ho risposto con la mentalità di uno del primo mondo. Nessun brasileiro avrebbe parlato come me. Ora mi chiedono ancora: – Come va in Brasile?. Mi viene spontaneo rispondere: – Va male: fame e violenza. Ma dico: – Va bene, grazie. Se l’interlocutore è una persona amabile, mi obietterà:- “Ma io ho saputo che la situazione è critica. Io stesso sto portando avanti una adozione a distanza.
– Lei fa bene: la solidarietà è un valore. Ma il Brasile è ricco, ha la vocazione di essere il granaio del mondo. Se l’interlocutore è un intellettuale mi obietterà: – Ho letto che con la globalizzazione ancorata al Mercato (con la emme maiuscola perché è il dio del sistema) c’è oltre un miliardo di inutili, condannati a morire di inedia. Di questo miliardo qualche centinaio di milioni sarebbe di latino-americani e qualche decina di brasiliani.
– Ebbene, essi sopravvivranno! La loro vita non sarà molto peggiore di quella dei primomondiali programmati.
– In Brasile è possibile sopravvivere senza terra e senza un buon lavoro stabile?
– È possibile.

Mistificazioni religiose
E lo è davvero. Per esempio, c’è un gruppo di poveri che hanno dato vita alla Confraternita del Servo Sofredor, praticano la condivisione e abbracciano la fame, misticamente, come sorella fame. C’è una pagina di Dostojevski che può aiutare a capire. Gesù torna sulla terra nel Medio Evo, ma è preso e buttato in prigione. Di notte il Grande Inquisitore, lanterna in mano, curvo, lo va a trovare e gli comunica che sarà di nuovo condannato a morte. Gesù non parla, ma poi, d’improvviso, bacia le labbra fredde, spietate e sterili del vecchio. I fratelli della Confraternita del Servo Sofredor, che si ispira ai profeti Isaia e Daniele, sono relativamente pochi, ma col bacio che danno alla miseria, in loro la globalizzazione è vinta.
C’è un gruppo ben maggiore i crentes, cioè i cristiani credenti delle nuove chiese indipendenti, o sette, di ispirazione evangelica e pentecostale. Loro non accettano il consumismo: consumano solo Bibbia, consumano Spirito Santo (ne parlerò più a lungo in uno dei prossimi mesi).

Gli inutili sfuggiranno alle spire del male
C’è poi il popolo delle grandi periferie. Non si può neanche dire che si ostinano a vivere: vivono e basta. La loro strategia è l’assenza di strategie. Hanno un impegno naturale con la vita. Questo lo sentono molto di più le donne, perché la maternità le mette direttamente in relazione con la vita.
Un blues americano canta: “Quando un uomo è triste e disperato, prende il treno e se ne va. Quando una donna è triste o disperata, piange”… e rimane: si fa carico della famiglia, cuoce frittelle e le vende sul marciapiede. Così riesce ad alimentare i figli.
Questo popolo delle periferie non è politicizzato. Neanche le Comunità Ecclesiali di Base (CEB o CdB) sono riuscite a coscientizzarlo bene. Un piccolo incidente può aiutare a capire. Un giorno durante una celebrazione alla periferia di San Paolo, ho denunciato i ricchi come responsabili della situazione miserabile del popolo, perché “Dio Padre non può desiderare la sofferenza di noi suoi figli”. Per me era una spiegazione di una logica elementare, facile da capire, ma non per le buone mamme che mi ascoltavano. Le assalì uno spavento nuovo davanti alla mia rivelazione che i ricchi sono così malvagi e così potenti da dare scacco matto a Dio e da riuscire a mettere in atto un piano contro i disegni misteriosi della Provvidenza di Dio. Dissero: – Questa è una pessima notizia! Se dobbiamo soffrire, preferiremmo soffrire sotto la mano di Dio che sotto la mano dei potenti di questo mondo.

Non è decisivo sapere chi produce la fame
In quel momento ho capito: non è così decisivo sapere chi causa la fame; decisivo è che per mezzo della condivisione non si lasci morire nessuno di fame.
Allora, spezzando insieme il pane – ogni tipo di pane – si vincerà la legge di morte del mercato e si avrà motivo per ringraziare, cantare e lodare Dio.
Questi poveri non vogliono neppure l’uguaglianza con i ricchi. Cosa ci farebbero di una villa? Quando hanno il necessario: pane, acqua, casa, vestito, mezzi pubblici di trasporto, birra per la domenica e un’ora per la preghiera, è sufficiente: Dio sia lodato! Il superfluo datelo ai ricchi!
Questi poveri delle periferie, decine di milioni, mi ricordano gli schiavi neri dei secoli passati, i quali istintivamente avevano capito che non conveniva fare rivolte. Essi rallentavano il ritmo del lavoro (col banzo), sopportavano delle frustate e… vincevano così i loro padroni. Dobbiamo dire che la strategia dei neri ha avuto successo dal momento che oggi metà dei brasiliani sono neri: alcuni hanno cento per cento di sangue africano, gli altri sono meticci. (Nota bene: si deve evitare il termine mulatto/a che deriva da mulo/a, incrocio tra cavalla e asino, che da prole sterile!)
Ebbene mentre la globalizzazione prevede un olocausto di oltre un miliardo di inutili, noi scommettiamo che questi inutili impegnati con la vita e non col mercato, non soccomberanno. Sono imprendibili perché nudi. Sorprenderanno così le macchinazioni dei grandi. Alla malora le statistiche catastrofiche!
Per essere fedele al suo Signore Gesù, la Chiesa dovrà convertirsi a questi ultimi.