Non fare politica è omissione di soccorso

di Stoppiglia Giuseppe

“L’uomo contemporaneo ascolta
più volentieri i testimoni che i maestri,
o se ascolta i maestri lo fa perché sono
testimoni”.
[Paolo VI]


Mendicante di cioccolata

Il ragazzino mi bloccò all’ingresso di Piazza Bra, nel centro di Verona, tendendomi il solito pezzo di carta con aria implorante. Lo lessi di sfuggita e concentrai la mia attenzione su di lui: non denutrito, né malvestito, anche se albanese e profugo, come recitava il biglietto (con quattro fratellini, ecc.).
Si attaccò subito a me, evidentemente esperto dell’indifferenza e della diffidenza con cui le sue suppliche venivano accolte dai passanti. Cercai di fargli capire che l’insistenza eccessiva (tipica delle zingare) finisce con l’infastidire anche le persone ben disposte e che era meglio per lui contentarsi dell’obolo che gli veniva dato, senza far spazientire la gente con reiterate richieste.
Intanto l’avevo preso per mano, facendomi indicare sui cartelloni pubblicitari il film che aveva tanta voglia di vedere; e, in mancanza di questo, che non era ancora in corso di proiezione, gli presi il biglietto per un altro che mi parve più adatto e lo accompagnai all’ingresso della sala, dove il personale di controllo lo squadrò da capo a piedi, in modo poco benevolo.
“Guardi se ha ancora il portafoglio” – mi disse il bigliettaio, vedendomi ripassare diretto all’uscita. “Questa è gente pericolosa, non bisogna fidarsi…”. “Ma è ancora un bambino” – protestai.
Non tentai di convincerlo, sarebbe stato tempo sprecato: conosco le resistenze di molti italiani nei confronti dei rifugiati; e posso capirne i motivi, perché “questa gente” crea problemi, sono dei “diversi” che si è obbligati ad ospitare ed assistere, come se non bastassero i connazionali disoccupati!
Ma riflettiamo: fosse stato anche un accattone di mestiere, non è triste che un bambino sia spinto a chiedere l’elemosina (e magari anche a rubare), che sia sfruttato dagli adulti (come ancora accade)? Non è da giustificare un bambino povero catapultato in un ambiente ricco, dove viene aggredito ad ogni passo da stimoli e allettamenti irresistibili?


Dilemma tra morale e politica
(cultura e fede)


Che cosa c’è di più innocente di un bambino che ha voglia di cioccolata, di caramelle e di cartoni animati? D’accordo: i bisogni primari sono fame, freddo, ecc. Ma la società del benessere, con i suoi invadenti messaggi pubblicitari, fa leva su un’infinità di altri bisogni o desideri, senza andare tanto per il sottile. Chi pensa, infatti, al rispetto che sarebbe dovuto al bambino sotto i cui occhi giganteggia il violento cromatismo delle porno-reclame e di questa o quella marca di sigarette in qualsiasi stazione ferroviaria?
È vero: invece di andare a scuola o di imparare a lavorare, questi ragazzini imparano dalla strada ad arrangiarsi per avere denaro e partecipare all’orgia dei consumi: qui come a Rio de Janeiro e a New York. Ma è lo sfoggio impudente delle merci, l’appello sfacciato al consumo che corrompe chi è povero e senza difese culturali sufficienti.
Una grande intuizione di don Milani risiedeva nella percezione “che annunciare all’uomo la salvezza proposta da Gesù Cristo non ha significato se non c’è innanzitutto una ricostruzione delle condizioni antropologiche, in base alle quali quell’annuncio ha senso”. Una verità accettata da una coscienza inerte non è più una verità.
Il primato della coscienza, dunque, per tutti.


Nuova inculturazione

Ricorre all’interno delle “chiese” una frase che suona per me un’intuizione profetica: “nuova evangelizzazione è uguale a nuova inculturazione”.
Parlare di una nuova inculturazione, significa dichiarare, senza dubbio, vecchia e inattuale la cultura nella quale è arrivato a noi il messaggio evangelico.
Ma cos’è che rende inefficace questa inculturazione? Non penso sia una corrente di pensiero, ma piuttosto la schiavitù che pesa sull’umanità intera, che ha il suo centro nel mondo cristiano. R. Garaudy conclude un’analisi della società occidentale cristiana con un’espressione nettamente pessimista: “Di fronte a questo dramma che stiamo vivendo, si presenta incapace di dare una soluzione sia la chiesa dominante dei dominatori, sia la religione dominante dei dominati (l’Islam)”.
Il progetto di Gesù di liberare gli schiavi è come scomparso nella società dei dominatori che si vanta di essere cristiana. Pensare ad una nuova cultura nell’area degli oppressori e con la loro collaborazione, è per lo meno ingenuo. Sarebbe come se Gesù fosse andato a pensare ed elaborare il suo progetto missionario alla corte di Erode o nel Sinedrio.
Mi suonano all’orecchio le parole cariche di sdegno e di tristezza con cui Gesù conclude un dialogo coi dottori del tempio: “Se foste ciechi non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane” (Gv 9,41).


Formazione cattolica
e vita politica


Non mi stanco di ribadire che il fenomeno più triste è scoprire che la nostra formazione cattolica non ci ha dato gli strumenti per identificare le grandi menzogne sociali, condizione per trovare il cammino di verità dentro la nostra storia concreta. Le omelie domenicali e i programmi di approfondimento della spiritualità cattolica, concorrono ad allontanare i credenti dal terreno reale dove verità e giustizia vengono combattute, negate e difese. Solo lì nascono “i violenti del regno”.
La politica comincia solo quando si dà il primato al bene comune. Comincerà con quella mutazione antropologica, dalla competizione alla collaborazione, di cui Ernesto Balducci ha indicato i termini. La vita pubblica è un dovere verso i miei simili. Non fare politica è omissione di soccorso.
Eppure fare politica è tanto difficile. Proprio perché il suo luogo è la vita pubblica, la sua legge l’apparenza e non la verità, la quantità e non la qualità.
Oggi, poi, la politica attraversa un’inquietante e pericolosa crisi culturale e di credibilità. Appesantita da un apparato burocratico parassitario, la classe politica si presenta autoreferenziale, chiusa nel suo gergo per addetti e nelle manovre di potere, parolaia, litigiosa, tanto costosa quanto inconcludente, ricca di privilegi e di alti stipendi, lontana dai problemi che angustiano la gente, priva di progetti anche a medio termine, di idee innovative e di modi per canalizzarle.


Economia e politica

Questo nel nostro paese, ma la crisi riguarda, con livelli diversi di gravità, le democrazie dell’Occidente.
Una situazione desolante, che spiega la disaffezione crescente della gente, sempre più irritata e delusa, sentendosi tradita e abbandonata.
Questa crisi è ancor più grave e preoccupante quando si pensi alla complessità e alle urgenze incalzanti dell’oggi, in primo luogo al predominio dell’economia, ormai globalizzata: questa la fa sempre più da padrona e alimenta un utilitarismo che diventa mentalità collettiva, fondata sulla ricerca del proprio particulare e sul denaro. Il rischio è che la politica diventi subalterna al potere economico, invece di assolvere un ruolo se non di guida, almeno di contrattazione permanente con il mondo economico per sollecitarne decisioni nella direzione del bene comune.
Ecco, allora, il nodo drammatico: proprio nel momento in cui occorre una politica forte e progettuale, essa si trova in crisi, disorientata, spaesata dai rapidi mutamenti in atto.
Che fare, quindi, per contribuire al suo rinnovamento? Domanda da capogiro, eppure essenziale.
È insieme indispensabile: prima, un atteggiamento di resistenza allo scoraggiamento, al senso di impotenza e alla seduzione della mentalità del profitto, e poi un lungo, paziente lavoro di rinnovamento culturale alla base, rivolto all’acquisizione, allo sviluppo, alla diffusione di valori alternativi, come quelli di solidarietà e giustizia.


I protagonisti della storia

Sotto la coltre mortuaria del neoliberalismo, appaiono dei germogli di vita e i credenti devono implorare dallo Spirito di Dio lo sguardo profetico per poterli vedere. Credo che la misura della nostra fede, oggi, sia in questa capacità di vedere la presenza del Dio vivente in questi segni di vita.
“Il vento soffia dove vuole, e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va…”. Lo Spirito non tradisce il suo metodo, quello di trasmettere la vita con la mediazione della terra. Nel film della Cavani, mentre la piccola folla dei frati chiede a Francesco un programma, un progetto di vita, Francesco, prostrato a terra, raccoglie intorno alla sua bocca la terra, e sembra mangiarla: è la sua risposta.
Non è la risposta dell’incarnazione senza parole? È lo Spirito che apre la prigione della storia e la rimette nel tempo, e come sempre, si fa presente fra i poveri.
Sono i piedi scalzi dei senza terra, e non le teste del primo mondo gli incaricati a rimettere in cammino la storia nell’occidente cristiano senza storia.
Perché è assolutamente falso chiamare storia i bollettini delle borse, le riunioni per decidere se fare la guerra, i progetti di clonazione: la storia è solo storia di libertà. La libertà non esiste finché non diventa energia nei piedi che si muovono alla sua ricerca.


Fare politica

Non è vero che politica e potere coincidono. C’è una politica, grande e vera, fuori dal potere. Il potere segue la società ovunque vada (specialmente in democrazia), non la guida. Possono orientare la società, sui tempi lunghi, i grandi esempi umani, i santi, i poeti, non i potenti. Il potere, persino quando è dominio, dipende dal consenso, almeno passivo.
Forse è meno pericoloso, moralmente, controllare il potere (col dargli o negargli il proprio consenso, fino a bloccarlo con la disobbedienza civile, se occorre) che esercitarlo.
Io faccio politica come so. Faccio il manovale intellettuale: trasporto le idee giuste che incontro e ricevo.
Rivendico che questa mia, come i vari impegni di altri milioni di persone, sia vera politica. L’intellettuale (il più illuminato come il più modesto) non determina nulla, ma almeno testimonia. Preserva un senso, almeno la ricerca di un senso. Senza il quale tutte le politiche sono sbagliate e dannose.
Detto tutto ciò, ammiro molto le tante persone oneste, intelligenti, capaci e pazienti, che si dedicano alla politica istituzionale. So che corrono questi rischi. Vorrei saperli sostenere e aiutare. Li scelgo quando voto.
L’indifferenza e l’irresponsabilità di credenti che si definiscono impegnati? È giudicata in un salmo che risuona così: “Fino alla morte non trovano intralci / e godono di perfetta salute / non sono colpiti come gli altri mortali / non conoscono la fatica dell’uomo”.
Vivono fuori di questa terra?
No, ma non vi raggiungono il pieno sviluppo umano.

Pove del Grappa, settembre 1999