Piccoli agenti nella sfilata della miseria. La rappresentazione sociale delle meninas nas rua nella città di Campina Grande
Campina Grande
La ricerca qui presentata è parte di uno studio realizzato con bambine
considerate di strada nella città di Campina Grande, nello stato della
Paraíba, localizzato nella regione nordest del Brasile. Considerata una
città di livello medio, Campina Grande ha una popolazione di 326.307
abitanti (dati dell’ultimo censimento, realizzato nel 1991). Il
commercio è il settore economico più importante e la città è considerata
uno dei poli commerciali della regione Nordest. Come le altre città del
Nordest, Campina Grande presenta problemi sociali ben peculiari. Si
scontra con problematiche come la siccità e l’emigrazione della sua
popolazione, principalmente, verso la regione del Sudest. L’emigrazione
tocca in particolare la popolazione rurale che, colpita dalla siccità,
si ritrova senza le condizioni minime di sopravvivenza ed è pertanto
costretta a spostarsi verso altre regioni.
Le feste
Nonostante sia inserita nel mezzo di questo panorama socioeconomico,
Campina Grande riesce a realizzare eventi che dinamizzano abbastanza il
commercio e il turismo della città; quest’ultimo è incentivato con feste
di carattere regionale e nazionale, come la festa di San Giovanni
(durante tutto il mese di giugno) e il Carnevale fuori stagione
(chiamato Micarande). La città possiede anche un mercato centrale che è
considerato uno dei più grandi mercati brasiliani.
In questo scenario, Campina Grande, tutt’oggi considerata una città
tranquilla, ospita bambini e bambine di/per strada, chiamati anche
trombadinhas (termine dispregiativo con cui si chiamano i delinquenti
minorili che agiscono in piccoli gruppi per strada), dato che per
realizzare i furti ed ottenere quello che desiderano, danno ai passanti
delle trombadas (urti, colpi, bastonate).
Seguendo l’opinione di Fausto e Cervini (1993), sul finire degli anni
’80 si stabilisce una differenziazione: i bambini e le bambine che
vivono in strada (meninos e meninas de rua: bambini e bambine di strada)
e quelli che passano le loro giornate per strada (meninos e meninas nas
ruas: bambini e bambine per strada). Questa differenziazione si originò
dalla constatazione, realizzata attraverso vari studi di caso, che la
grande maggioranza dei bambini e delle bambine permangono per le strade
durante gran parte del giorno, ma ritornano a casa regolarmente.
Ricerca
Inizialmente, il periodo ufficiale scelto per la realizzazione della
ricerca era di un anno: dal mese di agosto di 1993 al mese di luglio di
1994, ma l’ente finanziatore, il Centro Nazionale di Ricerche, ritardò
di 4 mesi la conferma della nostra inclusione nell’elenco dei borsisti,
rimanendo alla fine solo otto mesi per la realizzazione dello studio.
Così fu solo a metà del mese di novembre 1993 che iniziammo
effettivamente le investigazioni, fondate nella Teoria delle
Rappresentazioni Sociali e nella metodologia qualitativa
dell’Osservazione Partecipante. Ci impegnammo a capire le
rappresentazioni sociali che le bambine di/per strada elaborano
nell’allontanarsi da casa. Restringendoci all’ambito della psicologia
sociale, intendemmo la rappresentazione sociale come “una forma di
conoscenza, elaborata socialmente, condivisa, che offre una visione
pratica e che concorre alla costruzione di una realtà comune all’insieme
sociale” (Jodelet, 1993).
Motivo della ricerca
È importante sottolineare che questa ricerca sorse dalla necessità di
recuperare l’universo delle bambine per strada, recupero stimolato da un
intervento istituzionale, realizzato dal FUNDAC, un organo dello Stato,
che aveva soppresso l’interesse rivolto alle bambine di strada,
riducendo l’intervento nell’accompagnare solamente i bambini.
La ricerca prese due strade che si caratterizzano per le seguenti
differenze:
1) a livello istituzionale: il progetto iniziale trattava di bambini
e adolescenti dell’istituzione, mentre il nostro si è concentrato nelle
strade, dato che la FUNDAC non si occupava più delle bambine e non
c’era un’altra istituzione che lo facesse;
2) a livello di genere: le specificità del bambino e della bambina
andavano evidenziandosi sempre più, si approfondivano le loro
peculiarità, le soggettività inerenti al sesso e le differenze
dell’essere bambina e dell’essere bambino di/per strada.
Luoghi e ipotesi della ricerca
Svolgemmo il nostro studio nelle strade di Campina Grande. Iniziammo le
nostre ricerche mappando strategicamente le nostre aree di attuazione:
le piazze del centro della città (praticamente la Piazza della Bandiera e
la Piazza Clementino Procópio), i dintorni del Cinema Capitólio, del
Cinema Babilonia e del mercato centrale.
Nel progetto di ricerca elaborammo alcune ipotesi orientatrici che
durante lo studio furono messe in dubbio allo scopo di controllare se si
verificavano o meno nella realtà che pretendevamo conoscere.
1) la povertà e la mancanza del padre
In primo luogo, ipotizzammo che la precarietà delle condizioni
economiche fosse il fattore responsabile per l’allontanamento da casa
delle bambine. Nello studio verificammo che, effettivamente, l’aspetto
economico è determinante nello spingere le bambine per la strada. Nei
loro discorsi, nel loro atteggiarsi, nelle lamentele, nei disegni… le
bambine lasciano trasparire la carenza di mezzi materiali di cui
soffrono e la necessità di riuscire a procurarseli, assieme ai fratelli e
alla madre. Il padre, generalmente rappresentato come figura assente,
appariva allegoricamente nelle loro rappresentazioni, alle volte,
idealizzato come colui che mantiene la famiglia. Però, nella realtà
delle loro vite, la mancanza del genitore era colta in ogni parola che
le bambine proferivano, tanto nel senso di affermare questa assenza,
quanto nel fare allusione ad una presenza desiderata.
2) violenze e litigi
Ipotizzando un secondo motivo che spingesse le bambine a frequentare la
strada, indagavamo se i conflitti familiari non ne fossero la causa. In
alcuni casi, la frequente mancanza di comprensione familiare fu indicata
come responsabile non tanto per condurre alla strada – fatto questo che
sembra meglio spiegato dalle condizioni economiche sfavorevoli -, ma
per istigare le bambine a rimanere più tempo fuori di casa, allo scopo
di sfuggire temporaneamente ai litigi e alle violenze fisiche.
3) nuova palestra di discriminazione
In altri casi, la strada non era indicata come la “valvola di sfogo” per
i conflitti familiari: le bambine avrebbero preferito rimanere in casa
piuttosto che andare per le strade, in quanto, secondo le stesse
bambine, nelle strade andavano incontro a conflitti e violenze molto più
pericolosi che non nelle loro case, avendo a che fare con persone
sconosciute capaci di far loro del male in maniera più forte. Per
esempio, nelle strade, le bambine hanno paura dell’azione della polizia,
dei passanti e dei bambini di strada, visto che, per il fatto di essere
di sesso femminile, soffrono discriminazioni sessuali, sono spesso
considerate inferiori e perfino come intruse in un ambiente che sembra
destinato socialmente agli uomini. Il mondo pubblico, di interessi
concreti e competitivi è visto ancora come esclusivo degli uomini, in
quanto la donna è destinata a rimanere in casa, prendendosi cura dei
figli e operando secondo logiche astratte, intuitive e soggettive.
Andare per le strade rappresenta quindi, oltre che un confronto arduo,
una ri-socializzazione dove l’apprendimento di altri ruoli è
indispensabile per la sopravvivenza delle bambine. Come afferma
Yannoulos, “l’instabilità delle strade, la diversità di relazioni che il
mondo della strada implica, esigono nuovi modelli di azione, interessi,
valori, ecc…” (Yannoulos, 1993).
Benché esista questa situazione, in cui la resistenza ad andare in
strada si presenta in forma marcante, la totale mancanza di condizioni
economiche si impone come un fattore antecedente alle loro volontà,
obbligandole alla decisione che inevitabilmente devono prendere: uscire
temporaneamente di casa.
Ci chiedevamo anche se non fosse una opzione di vita quella che conduce
le bambine a cercare la strada, grazie ai suoi incanti che si traducono
in spazi come le piazze, i giardini, in una dinamica che coinvolge e
conquista principalmente persone come queste bambine, la cui casa è
rappresentata generalmente come limitata fisicamente, senza nessuna
attrazione capace di affascinarle. Osservammo che, in realtà, era la
mancanza di opzioni di vita che conduceva le bambine alla strada. Di
nuovo, le condizioni economiche sfavorevoli funzionavano come impulso
all’uscita di casa e alla permanenza in strada. Per questo, fin da
piccole, queste bambine soffrono un tipo di “educazione alla strada”,
dove le carenze economiche le obbligano ad andare in cerca di mezzi in
modo da alleviare le difficoltà della vita.
Questa assenza di opzioni che, per le descrizioni socioeconomiche che
abbiamo appena affrontato, rende improrogabile l’andare in strada, non
viene da loro accettata quando sono etichettate dalla società come
“bambine di strada”. Come dice C., 8 anni, definendo le bambine di
strada: “Loro non valgono nulla, hanno la faccia da delinquente, vanno
facilmente a letto con gli uomini, nessuna di loro vale qualcosa”. C. è
considerata una bambina di strada, ma nega risolutamente questa
attribuzione, allontanando da se stessa uno stigma che la condanna ad
una marginalizzazione davanti alla società. In un altro momento, C.
spiega questa negazione dicendo: “Io non sono una bambina di strada, la
donna disse che bambina di strada è cattiva”. Così, la bambina, in
verità nega se stessa, rigettando una etichetta elaborata socialmente e
ripetendo un discorso “pre-concettualizzato”, facendo eco a quello che
il sociale attribuisce agli individui. La rappresentazione della bambina
è costruita su criteri socialmente strutturati, dove l’assenza di
opzioni di vita di cui soffre appare non come un limite della società,
ma come un male che comincia e termina in loro stesse.
Fino a quando la società non reinterpreterà la realtà dei bambini e
delle bambine di e per strada, dandogli connotazioni confacenti con la
natura reale del problema generato da una mal strutturazione
sociopolitica ed economica, quello che avremo è una distorsione della
comprensione di questo segmento della società. Fin da piccoli
marginalizzati, destinati ad una vita avara di benefici, questi bambini
crescono disprezzati e incapaci di credere nella società.
Lontano da una visione paternalistica e tendente a radicalizzare il
problema, scorgiamo la necessità urgente di rielaborare i programmi di
assistenza non solo per questi bambini, ma per le loro famiglie.
Priorizzando una migliore socializzazione delle risorse, in modo da
renderle meno escludenti e meno concentrate, potremmo avere una
possibilità di trasformare questo quadro sociale e di aprire un varco
per la nascita di un nuovo Paese nella quale tutta la sua popolazione
avrà pari opportunità, all’interno delle sue possibilità concrete.