Salvador de Bahia, tra gli Alagados

di Milan Mariangela

Mi trovavo a Salvador de Bahia, ospite nella casa di Corina e Rosàlia. Desideravo andare a visitare gli Alagados. Giuseppe Stoppiglia prima della mia partenza mi aveva detto: “Se andrai a Salvador vai a vedere gli Alagados, vai…, vai a vedere come vive quella gente!”.

Non vedono di buon occhio i turisti
Mi accorsi subito che la cosa non era molto facile, poiché le persone che lì vivono non vedono di buon occhio i turisti che vanno a vederli come fossero animali rari in uno zoo, magari muniti di cinepresa e macchina fotografica. Sicché può anche capitare di venire aggrediti, malmenati o derubati. Tentai con altre persone del posto ma anche questa mia ricerca non diede esito positivo. Non intendevo arrendermi. Un giorno provai a rilanciare il sasso con Corina e questa volta colpii nel segno: lei balzò in pedi, fece una telefonata e il giorno dopo io ed altri tre ragazzi ospiti come me, partimmo accompagnati da una nipote delle due sorelle. Il viaggio in bus durò circa mezz’ora. Ricordo che piovigginava, come spesso in quei giorni a Salvador. Camminammo per un bel po’ prima di giungere alla casa delle suore che ci stavano aspettando. I bambini ci accolsero con una canzoncina di benvenuto. Le suore ci intrattennero sulla triste realtà degli Alagados. Eppure – ci diceva una suora di origini modenesi – qui nessuno si lamenta, mentre ricordava che in Italia era tutta una lamentela, in treno, in autobus, nei negozi, in casa… Accompagnati da una giovane suora, ci addentrammo lungo stradine sempre più fangose e sdrucciolevoli. La giovane suora non parlava, camminava avanti a noi tracciando il percorso. Non commentò neppure quando passammo sopra una passerella di legno che attraversava una fanghiglia nauseabonda, che rappresentava l’accesso alle palafitte, piantate sopra la melma. Cercavo di fissare nella mente questo scenario, quasi irreale: un villaggio di palafitte i cui abitanti prendono il nome di Alagados, cioè allagati. Mentre ripercorrevamo la passerella pericolante, attenti a non cadere di sotto, vedemmo sgattaiolare da una palafitta 4-5 bambini che subito si arrampicarono a dei pali malfermi e pericolanti. Noi rabbrividimmo, ma i sorrisi di quei bimbi ci rassicurarono: non correvano il pericolo di cadere di sotto, si muovevamo agevolmente in quella montagna di sporcizia, perché quello era il loro solo ed unico gioco da tanto tempo, e lo sapevano fare bene.

Un fiore spuntato chissà come
Una bimba osservava la scena, rimanendo un po’ in disparte. Indossava un vestitino bianco, lindo, candido di bucato, che contrastava con la sua pelle morena; se ne stava quasi immobile, osservandoci, e ci sorrideva, chissà che cosa voleva dirci. Il candore di quella piccola bahiana era come un fiore spuntato incredibilmente in mezzo a tanto sudiciume. Eppure non solo lei, anche gli altri bimbi che giocavano festosi, le donne che si affacciavano al nostro passaggio, anche gli uomini che, seduti ad un tavolo stavano giocando, tutti loro insomma quando incrociavano il nostro sguardo ci sorridevano. Io non so se la loro fosse rassegnazione o impotenza, pazienza, remissione… So soltanto che la serenità che si leggeva nei loro occhi che sorridevano rimarrà impressa nel mio cuore. Obrigada, Salvador! obrigada Bahia! obrigada Brasile!