E saranno tanto più duri quanto più sono giovani

di AA.VV.

XXX. [39c] Ma desidero fare una predizione a voi, che avete votato contro di me: perché sono già là dove le persone sono più propense a fare predizioni, quando stanno per morire. Io vi dico, uomini che mi avete ucciso, che ci sarà per voi una retribuzione, subito dopo la mia morte, molto più dura di quella pena cui mi avete condannato. Perché voi ora avete fatto questo credendo di liberarvi dal compito di esporre la vita a esame e confutazione, ma ne deriverà tutto il contrario, ve lo dico io. A mettervi sotto esame per confutarvi saranno di più: [39d] quelli che finora trattenevo, di cui voi non vi accorgevate; e saranno tanto più duri quanto più sono giovani, e tanto più ne sarete irritati. Perché se pensate che basti uccidere le persone per impedire di criticarvi perché non vivete rettamente, non pensate bene. Non è questa la liberazione – né possibile, né bella – ma quella, bellissima e facilissima, non di reprimere gli altri, bensì preparare sé stessi per essere quanto possibile eccellenti. Con questo vaticinio per voi che avete votato contro di me prendo congedo. Platone, Apologia di Socrate, trad. it. di Maria Chiara Pievatolo

Leggere il discorso finale di Socrate, per intero, in classe, è una pratica che porto avanti sin quasi dal mio primo anno di insegnamento. Certo, una pratica anomala dal punto di vista didattico: non è in senso stretto un dialogo, genere letterario scelto da Platone ed essenziale alla comprensione del suo pensiero; racconta solo alcuni particolari della vita di Socrate, importantissimi per certi versi, ma relativi per lo più al periodo finale della sua esperienza; necessiterebbe della ripresa del contesto politico dell’Atene di allora, cosa che non faccio mai; non riguarda direttamente alcune tematiche che sono molto appetibili per una classe di sedicenni, come l’amore (Il Simposio) o la speranza (il Fedone); occupa molte ore di lezione, ritardando lo svolgimento dell’unico vero idolo ancora in vita nella scuola, il programma.

Eppure ascoltare Socrate che parla, e poi dialogare con lui attraverso l’insegnante, diviene decisivo. Non sempre nello stesso modo: talvolta magicamente d’incanto, altre a scoppio ritardato. Accade quello che, secondo lo storico della filosofia Pierre Hadot, è il cuore di tutto il pensiero antico: «la vera questione che è in gioco non è ciò di cui si parla, ma colui che parla». Ascoltare dunque l’esistenza di questo antico maestro, in una narrazione imbevuta di ironia e di passione, interpellarla chiedendo chiarimenti, commentarla senza remore, porta i ragazzi, ognuno con il proprio tempo, a fare i conti con sé stesso. Perché la fase evolutiva in cui il cervello svolta decisamente, l’adolescenza, «è anche il momento in cui fa la sua comparsa la propensione umana all’autoanalisi», come suggerisce David Bainbridge, il quale sostiene che la complessità dell’Homo sapiens dipenda essenzialmente dall’apparizione dell’adolescenza stessa.

E anche perché non c’è altra età in cui «la Signora vestita di nulla/e che non ha forma», come Gozzano chiama la morte, non venga presa più seriamente come in adolescenza. E Socrate narra la sua vita guardando la fine in faccia, «con gli occhi asciutti/nella notte triste» degli ateniesi.

Poi l’anno scolastico prosegue, costringendo a mirabolanti slalom tra le verifiche e le pagine dei manuali. Ma nel frattempo qualcosa si è attivato, e scava in modo carsico. Per dar voce a questo lavorio del pensiero, ho lanciato la proposta di portare avanti il dialogo con Socrate nelle giornate estive: il vaticinio socratico (quello riportato nelle prime righe di questa pagina) si sta avverando?

Ho proposto la scrittura di una riflessione ai membri delle classi a me affidate: chiunque avrebbe potuto intervenire, con la penna o la macchina fotografica. Il risultato sono i pezzi e le immagini che trovate di seguito: non ho rifiutato nulla (non l’avrei comunque fatto) e l’intervento redazionale si è rivelato minimo. Ciascuna delle ragazze, ciascuno dei ragazzi ha lavorato in autonomia, senza il confronto con i pari, né con l’assillo di una valutazione. Qualcuno mi ha solo chiesto una copia della rivista. A fianco, compaiono alcuni scritti «adulti»: si tratta di persone che, di persona o attraverso i loro saggi, ho constatato essere decisamente innamorate dei giovani, della politica, delle domande, della vita degna di essere vissuta.

scritto da Giovanni Realdi

Bibliografia minima ^ Per la traduzione dell’Apologia, si ringrazia la prof.ssa Pievatolo (il testo è reperibile qui: https://archiviomarini. sp.unipi.it/347/4/apologia.pdf); ^ P. Hadot, Esercizi spirituali e filosofia antica (Einaudi); ^ D. Bainbridge, Adolescenti. Una storia naturale (Einaudi).

Amebe in cerca di autorevolezza

La maggior parte dei film per ragazzi di oggi sembra essere stata prodotta con uno stampino poiché troviamo sempre i soliti «personaggi tipo»: il padre stressato e stanco, il professore clemente che di solito ha come antagonista un collega spietato, oppure il fratello ficcanaso, l’uomo d’affari interessato solo al denaro, la gentile ragazza della porta accanto. Nonostante questa sia una generalizzazione, si può notare come in ognuno di questi film ci sia un personaggio d’obbligo, stereotipato a livelli impressionanti: l’adolescente svogliato, che odia la scuola, con gli auricolari sempre nelle orecchie, che non ascolta i genitori e si interessa solo a organizzare le uscite con gli amici.

Questo avviene perché la visione dei ragazzi del ventunesimo secolo è proprio questa: amebe che si attivano solo quando è ora di divertirsi. Proprio da un film recente, i giovani sono stati definiti «sdraiati», termine che racchiude alla perfezione tutto ciò che è stato appena detto. A pensarci bene gli adolescenti potrebbero sentirsi offesi a essere chiamati così, ma davvero importa loro qualcosa?

Io penso che «sdraiati» non sia poi un termine così fuoriluogo, poiché appunto la reazione dei ragazzi sarebbe proprio da persone menefreghiste e insensibili al mondo esterno. C’è ora da chiedersi se dei giovani così sarebbero in grado di fronteggiare il compito che diede loro il filosofo Socrate per dopo la sua morte. A mio parere oggi i ragazzi avrebbero le potenzialità per farlo ma, come viene sempre detto a scuola, non hanno la voglia e la costanza di applicare queste potenzialità e, di conseguenza, raggiungere l’obiettivo, magari per un mancato stimolo (nel senso che probabilmente lo farebbero solo se obbligati da qualcuno o persuasi con una ricompensa). Inoltre la società non mette i ragazzi in una posizione così autorevole da avere il potere di mettersi contro i più forti e lottare contro di loro per giustificare le proprie idee. Se effettivamente un gruppo di adolescenti proponesse una seduta con i personaggi più in vista del mondo della politica per discutere, probabilmente questa seduta nemmeno avverrebbe perché i politici si rifiuterebbero di avere una conversazione con il gruppo e, se anche questa dovesse avvenire, certamente i più potenti troverebbero un modo per aver ragione, disponendo di molti più mezzi rispetto ai ragazzi.

C’è poi da dire che ognuno di noi è distratto da troppi elementi esterni, come la tecnologia, le relazioni, la scuola, il lavoro, la situazione economica… per cui non sarebbe semplice per nessuno occuparsi di una faccenda così seria, ma allo stesso tempo astratta, perché in fin dei conti non si capisce al 100% cosa chiede Socrate. Per svolgere un compito simile (ovvero combattere le ingiustizie e portare ogni uomo a ragionare su sé stesso) sarebbe necessario dedicare anni e anni di lotte, proteste… per raggiungere anche solo alcune delle tappe che ci illustra il filosofo. Una faccenda del genere risulterebbe ardua anche per un adulto maturo e responsabile probabilmente, figuriamoci per un ragazzino che pensa solo a vivere alla giornata e non ha ancora ben chiara alcuna prospettiva per il proprio futuro.

Matteo Segatto

Capire di cosa abbiamo davvero bisogno

Sento che nel mio piccolo la profezia di Socrate si sta avverando, poiché io non riesco più a sottostare alle condizioni che i miei genitori mi impongono; anzi, le contesto e soprattutto pretendo delle motivazioni a seguito delle loro scelte, a mio parere sbagliate. Sono stanca di sentirmi dire «lo facciamo per il tuo bene», dato che a 17, ormai quasi 18 anni, ritengo sia giusto che io possa prendere delle decisioni, assumermi le mie responsabilità sulle conseguenze e anche sbattere la testa contro il muro, se necessario. Reputo corretto da parte di noi giovani non accettare costantemente le cose preconfezionate che gli adulti ci mettono nel piatto e che poi ci obbligano a mandare giù anzi, bisogna contestarle e cercare di capire bene se è realmente ciò di cui abbiamo bisogno. Spesso può capitare che questi dibattiti si creino a causa dell’eccessiva cura da parte dei genitori nei confronti di noi figli ed è proprio per questo che risulta difficile andare contro coloro che ci vogliono più bene e che sappiamo esserci sempre quando ne abbiamo bisogno; nonostante ciò bisogna farsi più forti e combattere per le proprie idee e mirare ad avere un dialogo. Sì, il dialogo, ciò che ai giorni nostri diventa sempre più complicato instaurare, specialmente con gli adulti, dato che su entrambi i fronti si crea una specie di muro di pregiudizi, il quale blocca completamente qualsiasi tipologia di confronto. Per questo siamo proprio noi giovani che dobbiamo far sentire la nostra voce e tenere sempre a mente che «è questo il mio miglior difetto io non posso restare qui a guardare il nostro mondo bruciare lentamente senza fare niente, voglio vivere» (THE SUN).

Elisa Bano

Una fiducia pericolosa

Nel 2018 la profezia di Socrate inizia ad avverarsi perché al giorno d’oggi i giovani si stanno facendo un’idea della società odierna e si stanno stancando di come vengono trattati e di essere criticati…

Oggi i giovani hanno molte domande, hanno tante cose da dire riguardo la società ma spesso non vengono ascoltati oppure tendono a tenersi ciò che hanno da dire per loro stessi o ne parlano solo tra di loro, per paura di essere giudicati dagli adulti. Spesso, soprattutto in politica, si dice che le cose si fanno per il bene dei giovani quando in realtà molte volte la voce dei giovani non viene ascoltata, oppure in ambito lavorativo con scuse del tipo «ma cosa vuoi sapere te che non hai esperienza» è difficile che l’idea di un ragazzo di vent’anni venga presa subito in considerazione.

Un’altra cosa che ai giovani dà molto fastidio è sentirsi dire che non hanno voglia di fare nulla, vengono chiamati gli «sdraiati» da molte persone quando in realtà se si affida loro un lavoro da compiere, lo fanno senza problemi. Secondo me per fare in modo che i giovani prendano l’iniziativa per cambiare le cose, a partire dai genitori, insegnanti, politici e tutta la società, bisognerebbe infondere loro più fiducia perché loro sono il futuro del paese.

Infine i giovani hanno moltissime potenzialità, moltissime idee e tanta voglia di fare ma vengono ignorati… ma allora perché non li si ascolta? Forse perché se si iniziasse davvero a prenderli in considerazione, le loro tesi metterebbero davvero in crisi gli adulti e questo porterebbe Socrate ad avere ragione.

Mariateresa Vecchiato

Un progetto superiore

«E saranno tanto più duri quanto più sono giovani», le parole di Socrate alla fine del processo che lo vide accusato di empietà e corruzione.

2000 anni dopo è difficile ritrovare il pensiero del filosofo nella società odierna. Dopo un secolo di cambiamenti dei costumi, la diffusione di nuove tecnologie e una sempre più ramificata globalizzazione, il mondo appare sempre più monotono. Coloro che si presentano come «governanti», coloro che dovrebbero lasciare spazio alla parte razionale della loro anima, in realtà sono come dei sofisti, spacciano per verità ciò che vero non è.

Saranno di più le esperienze vissute, gli anni di vita trascorsi e le difficoltà incontrate, ma il mondo degli adulti, il mondo in cui sono cresciuti non esiste più, e i valori che a questi possono sembrare prioritari potrebbero essere assolutamente superflui per il mondo attuale.

Perché risulta facile criticare ma difficile risolvere i problemi presi in esame?

Le nuove forme di comunicazione, la scomparsa dei giornali, la diffusione di notizie di incerta provenienza sulla rete internet contribuiscono indubbiamente a una disinformazione di massa nel mondo adolescenziale e giovanile, ma nascondersi dietro a difficoltà inesistenti non porterà a una soluzione del problema. Tanto più sono giovani, quanto più risultano disinteressati a creare una propria visione del mondo. Le barriere create intorno ai ragazzi sono confini inesistenti, costruiti solo per nascondere la propria pigrizia, la mancata necessità di aprire un libro, leggere un articolo di giornale per comprendere come realmente funziona il mondo e la voglia di cambiare il mondo.

Il mondo adolescenziale è inoltre un mondo in cui la fede, e di conseguenza le motivazioni per cambiare il proprio destino, vengono a mancare.

Perché credere, se non è provata l’esistenza di Dio? È uno dei più grandi dilemmi della storia dell’umanità. Nei suoi 8 anni di pontificato, Benedetto XVI, quello che realmente si può chiamare Papa-filosofo, cercò di rispondere a questa domanda, chiarendo come il rapporto tra il pensiero umano e la natura sia talmente perfetto che deve necessariamente esistere un progetto superiore che permetta questo rapporto tra ragione e realtà.

Questo potrebbe essere considerato come punto cardine per portare i giovani a risolvere la loro dipendenza e subordinazione al mondo degli adulti, la ricerca del «divino» in una società dove mancano stimoli per innovare il mondo apparentemente completo e perfetto in sé, il mondo creato dalle generazioni precedenti.

Non è una questione di difficoltà o problemi reali, la soluzione si trova in una nuova mentalità, un nuovo modo di pensare al mondo o, come disse Papa Ratzinger: «Quanto più noi possiamo strumentalizzare il mondo con la nostra intelligenza, tanto più appare il disegno della Creazione».

Luca Sartori

Far parlare la diversità

Al giorno d’oggi la profezia di Socrate fatica ad avverarsi perché i giovani sono educati tutti allo stesso modo (al contrario di come Socrate riteneva fosse corretto) nonostante abbiano tutti una diversa «predisposizione naturale», che Socrate chiama virtù. Seguendo lo schema proposto da Socrate delle tre virtù (sapienza, coraggio e temperanza) che possiamo attualizzare con le varie capacità o metodologie di studio possiamo notare che l’istruzione offerta non rispetta le caratteristiche di ogni singolo alunno. Inoltre i giovani tendono a non mettere in discussione l’adulto, o almeno non in modo troppo evidente, in quanto l’adulto è considerato più sapiente e quindi, di conseguenza, colui che pensa la cosa giusta, avendo alle sue spalle l’esperienza. Questa stessa credenza entra profondamente in disaccordo sia con i pensieri di Socrate che poi con quelli di Platone. A volte invece, essendo convinti di non poter ottenere nulla da questo dibattito, ritengono inutile addirittura il confronto.

Gloria Zanutto

La domanda si riaccenderà

Socrate ha sempre mostrato disponibilità e interesse per l’essere umano che si trova nelle fasi della vita in cui si determina la crescita mentale, il solo periodo in cui gli concedevano di osservare e di intervenire sulla formazione della persona. Naturalmente, l’intervento socratico sul giovane non è mai trasferimento di contenuti oppure imposizione di modelli esistenziali ma esortazione autonoma e faticosa della verità che è una e assoluta, non la verità di Socrate ma la vera Verità. I giovani di Socrate sono giovani «rivoluzionari, intraprendenti, motivati», con una forza di spinta motrice che spinge ad andare avanti sempre nella direzione della ragione, in una direzione che punta al futuro.

Tuttavia i tempi cambiano; oggigiorno, purtroppo, se si prende un campione di cento ragazzi, venti di loro rispettano l’ideale di giovane descritto da Socrate, vogliosi di vivere, con voglia di scoperta, spinti da un sentimento presente in ognuno di noi, la curiosità, con entusiasmo, con valori irremovibili dalla loro persona, persone che vivono la loro vita in modo saggio e consapevole, desiderosi di lasciare un segno. Vogliono vivere la vita al loro massimo.

Gli altri ottanta sono ragazzi e ragazze che vivacchiano, che si accontentano, a cui interessa solo di loro stessi, amanti dei piaceri, non intenditori della differenza tra piaceri e felicità (per loro queste due cose coincidono in ogni situazione), teorici del consumo immediato e veloce. Preferiscono avere una bella immagine fuori piuttosto che una conoscenza interiore: per loro l’apparenza è più importante dell’essenza della loro persona. Preoccupati di non stancarsi a pensare, figli del capitalismo più bieco ed estremo. Tuttavia non bisogna fare l’errore di accantonare questi giovani ed etichettarli come «giovani stanchi o nullafacenti» per sempre. Bisogna fare come aveva fatto Socrate, aiutare questi giovani a trovare la loro strada, insegnar loro a ragionare e a far prevalere questa in tutti i casi che la vita ti pone davanti, a superare le difficoltà e a lasciare un segno in questa vita, anche se nessuno lo saprà. L’individuo dovrà essere consapevole di aver vissuto una vita a pieno delle proprie potenzialità, in altre parole, come diceva Socrate, «vivere una vita che vale la pena di essere vissuta».

La gran parte dei giovani d’oggi non sono allievi di Socrate: troppo confortevole la struttura familiare, da rispettare poco e a cui appoggiarsi molto (chiedere molto e dare poco); troppo facile l’impatto quotidiano impostato sull’approssimazione più che sul rigore, troppo deboli le passioni con cui aspirare a obbiettivi lontani. La speranza che questi giovani però passino da dormienti a essere svegli è tanta, perché nel futuro i cittadini saranno loro. La vera speranza è che il Ti Esti (cioè la domanda socratica: che cos’è?) si riaccenda nella loro anima.

Marco Frattolillo

Uscire dalla zona di conforto

La profezia finale di Socrate fatica ad avverarsi oggigiorno, o meglio si avvera ma solo per una piccola parte di noi giovani. In questi anni siamo immersi in una società veramente ricca di stimoli sotto molti aspetti e perciò, con molta facilità, riusciamo a creare un atteggiamento critico verso molte situazioni, forse quelle a noi più comode, come ad esempio criticare i nostri genitori per non averci comprato l’ultimo modello di iPhone oppure non averci fatto trascorrere la serata in discoteca.

Ci manca però la voglia di contestare e riuscire ad andare contro ciò che veramente non riteniamo giusto, perché ci facciamo purtroppo condizionare facilmente dalle decisioni altrui; decidiamo di seguire la via più semplice e, soprattutto, ci facciamo distrarre in continuazione dalle cose superflue, dalle relazioni superficiali e da tutto ciò che ci sembra più facile e per il quale bisogna fare meno fatica.

Questo è il vero problema, non riuscire a focalizzare e quindi a distinguere quali sono le vere cause per cui impegnarsi e lottare dalle cause banali, che non ci fanno apprezzare a pieno l’essenza della vita vera.

Viviamo continuamente in una realtà che ci costruiamo noi di giorno in giorno, creando attorno a essa una fortezza in cui sentirci al riparo, una specie di comfort zone dalla quale non vogliamo più uscire, forse perché nemmeno ci interessa.

È proprio questo il punto allora; trovare la voglia per riuscire a interessarci di ogni questione che analizziamo, a contestare i nostri genitori o comunque anche persone più grandi di noi se crediamo che le cose debbano essere cambiate; per fare questo dovremmo smettere di restare di fronte a uno smartphone solo per guardare le vite altrui e provare a vedere con occhi diversi la vera realtà che ci circonda, nonché sottoporre la nostra vita a una analisi profonda, per capire se davvero va tutto bene. Solo in quel momento riusciremo a capire la via giusta per crearci una vera e propria identità, far sentire la nostra voce e quindi forse a capire e a far capire che in fondo le parole finali di Socrate non erano così sbagliate e che la sua profezia non è poi irrealizzabile in quest’epoca.

Ilaria Boschetto

Apprezzare il nostro animo

Per anni abbiamo lottato per la libertà di pensiero e parola e ora che l’abbiamo conquistata non sappiamo gestirla. Coraggio e temerarietà dovrebbero essere caratteristiche tipiche dei giovani, utili a far valere le loro idee, per sentirsi liberi. La situazione purtroppo è differente: noi adolescenti sembriamo adeguarci alle diverse circostanze che ci si presentano ogni giorno, senza imporci ed esternare il nostro pensiero. Questo comportamento è causato da molteplici fattori. In primo luogo è presente la fatica (o paura…) di autoanalizzarci, di guardarci interiormente per scoprire forse aspetti che non riconosciamo nostri, che danneggiano gli altri e che andrebbero modificati. Non sapendo guardare dentro noi stessi, non abbiamo nemmeno la capacità di giudicare al meglio gli altri. Non riuscire a guardare la nostra parte interiore è conseguenza del fatto che il più delle volte ci si sofferma a guardare solo l’esteriorità. In un mondo fatto di pregiudizi, sembra che l’unica cosa che conta sia la perfezione estetica. Fino a quando non riusciremo ad apprezzare il nostro animo e a scolpire il nostro carattere, passando dall’essere malleabili a causa dei giudizi esterni all’essere sicuri e soddisfatti di noi stessi, non saremo adatti a esprimere un giudizio sullo stile di vita altrui. Saremo sempre liberi di giudicare ciò che gli altri fanno, ma correremo il rischio di risultare incoerenti, non avendo controllato il nostro comportamento prima di commentare quello del prossimo.

Irene Tognon

Al di là dell’ombra del giudizio

Vorrei iniziare ponendo una domanda ai lettori, domanda che è stata prima posta al sottoscritto dal mio professore di filosofia: secondo voi, la profezia di Socrate si è avverata?

Prima di rispondere a questa domanda, bisogna capire che uomo era Socrate e soprattutto di cosa tratta questa fatidica profezia. Socrate era un uomo vissuto durante l’antica Grecia, di suoi testi non c’è traccia, ma la sua profezia si può trovare nell’Apologia di Socrate, scritta dal suo allievo più importante, Platone.

Al giorno d’oggi pare che questa non si sia avverata, poiché i giovani hanno sempre più timori nel fare domande; questo accade perché i pochi che trovano il coraggio di porle vengono etichettati come persone logorroiche, fin troppo curiose, quasi di brutta compagnia; perché in questa nuova era social la principale questione di chiacchiera tra le persone è appunto giudicare gli sconosciuti, per quello che molte volte non sono. I giovani, per non avere addossata tale etichetta, preferiscono stare nell’ignoranza, nell’ombra e non esporsi. Così facendo, però, non riusciranno mai a maturare veramente, perché la reale maturazione in veri adulti avviene quando si impara e si cresce capendo di non dipendere dagli altri, ad esempio riuscendo a liberarsi dall’ossessivo pensiero di piacere a tutti; insomma imparare che si è indipendenti, perché se le persone fossero dipendenti da altri vivrebbero nell’ignoranza, nel senso che non capirebbero i loro principali bisogni, ma solo quelli delle persone che stanno loro attorno. Con le parole della teoria platonica, per la quale l’uomo possiede un’anima tripartita, nei giovani troviamo che in questo caso c’è una mancanza della parte di anima definita irascibile, quella che ne determina il coraggio; in questo caso nel porre domande a persone che vengono considerate intoccabili. Queste persone, anche se avessero torto, riescono a usar bene le parole e fanno in modo che il giovane che pone domande sembri lui dalla parte del torto, abbia qualche difetto e debba essere «isolato» dalla società. A volte, queste reazioni degli adulti sono date dall’invidia per l’ingegno del giovane, che forse in un futuro potrebbe prendere il loro posto nella società e magari fare meglio, allora essi fanno di tutto per sabotarli, anche mettendoli in ridicolo davanti ai coetanei. Questo giovane verrà giudicato e questa è sicuramente la più grande paura degli adolescenti di questa generazione.

Chiudo ponendovi, ancora una volta, la domanda: secondo voi, la profezia si è avverata?

Davide Toffanin

Ne varrebbe la pena?

Se venisse chiesto ad alcuni di voi di nominare dieci tra i personaggi più in vista dell’antichità, indipendentemente dal vostro livello culturale, vi trovereste probabilmente d’accordo nella scelta di alcuni nomi: nelle vostre liste non mancherebbero sicuramente Napoleone Bonaparte, Galileo Galilei, Platone e molto probabilmente quest’ultima persona ridesterebbe in voi il ricordo di un altro importantissimo filosofo, Socrate.

«Socrate? Quello che non scrisse mai nulla? Quello accusato di essere sofista?» vi chiedereste subito dopo averlo nominato.

Proprio lui. Una figura di spicco nell’epoca che si aggira attorno al 500 a.C., ma che continua a mantenere la propria posizione nella «top five» dei filosofi anche nell’età contemporanea.

«Ma perché è tutt’ora così ricordato? Capisco Napoleone e Galileo che hanno compiuto imprese fondamentali per definire l’idea di mondo attuale, ma Socrate? Che ha detto di così importante?» questa è una domanda plausibile, sia da parte di un’adolescente come me, che ha sentito parlare di quest’uomo solo tra i banchi di scuola o al massimo nei meme su Internet (diventati oramai un importante veicolo di propaganda e diffusione di informazioni), sia da parte di un adulto che ha rimosso le nozioni filosofiche di cui disponeva nella sua giovinezza, per lasciar posto a conoscenze più utili in campo lavorativo.

Supponiamo ora che a porre il famoso quesito con cui è iniziato quest’articolo fosse stato proprio un socratico; quest’ultimo, udendo le vostre domande riguardo il suo maestro, proverebbe sicuramente a farvi ragionare e a condurvi alla risposta proprio come avrebbe fatto lo stesso Socrate: attraverso la maieutica, ovvero l’arte di tirare fuori da voi stessi la verità che state cercando. Il vostro interlocutore vi porrebbe molteplici domande per aiutarvi a ricordare più elementi possibile e per raggiungere, sulla base di essi, un ricordo abbastanza preciso di ciò che avete imparato su Socrate.

Uno tra i tanti quesiti potrebbe essere: «Ricordi com’è morto?» e se voi aveste fatto il vostro dovere al liceo, probabilmente sapreste che fu processato per vari motivi, tra cui il presunto rifiuto verso gli dèi della città e la tendenza a corrompere i giovani.

Mettiamo caso che vi foste preparati molto accuratamente per l’interrogazione su Socrate, poiché rappresentava per voi l’ultima occasione per non beccarvi l’insufficienza in filosofia in pagella. Partendo da questo presupposto, potreste forse anche ricordare cosa disse l’imputato prima di essere condannato. «Beh, mi pare avesse fatto una profezia, no?».

Esatto! Una profezia sui giovani…

Se il socratico, non ancora soddisfatto, volesse disturbarvi ancora un po’, vi chiederebbe cosa ne pensate di questa sentenza e se a vostro parere sarebbe possibile che si avverasse al giorno d’oggi. Anzi, complicando maggiormente la situazione, poniamo vi chiedesse perché la profezia faticherebbe ad avverarsi oggi.

Un punto a favore della «vostra» tesi potrebbe essere che il concetto di giovane, rispetto a quello che aveva Socrate, è sicuramente mutato. La maggior parte dei ragazzi del ventunesimo secolo si trova a dover fare i conti con una società che impone una (quasi) totale sottomissione alle regole e punisce ogni sgarro. In un mondo dominato dal consumismo, dalla produzione in serie, qualsiasi errore viene visto esclusivamente come una perdita di tempo, uno spreco di denaro. Indubbiamente questa filosofia commerciale influisce pure sulla mentalità delle persone, abituate ormai a riconoscere la perfezione solamente all’interno di schemi ben precisi, come avviene appunto nelle aziende. I giovani, quindi, non si trovano più nella posizione di volersi comportare in modo irruento, spesso e volentieri hanno paura di infrangere le regole, di contraddire coloro che nella gerarchia sociale occupano un gradino più elevato, poiché sono a conoscenza del fatto che verranno puniti proprio come succede a scuola o nel mondo del lavoro.

Il socratico, disponendo dell’ironia, vi porterebbe a dubitare di ciò che avete appena affermato, chiedendovi: «Quindi ciò significa che la profezia non potrebbe avverarsi perché nessun giovane si ribella più?».

Ma voi avreste la risposta pronta e direste: «La domanda che mi è stata posta chiede perché faticherebbe, non perché non potrebbe avverarsi del tutto. Infatti io ho detto che sarebbe complicato che funzionasse perché i giovani che si ribellano seriamente (non stiamo parlando di semplici diatribe a livello familiare, quelle sono comuni a tutti gli adolescenti) sono pochi ormai».

Procedendo con l’esposizione delle vostre argomentazioni, potreste accennare al fatto che i ragazzi sono sempre più pigri e in generale si rifiutano di compiere qualsiasi tipo di sforzo a meno che non rechi loro un qualche tipo di guadagno o ricompensa. Per questo motivo gli adolescenti moderni difficilmente prenderebbero l’iniziativa di andare contro i più potenti, essendo coscienti che i danni che provocherebbe loro questa azione supererebbero di gran lunga i vantaggi (ragionamento influenzato dalla visione utilitaristica).

È probabile che facendo questi ragionamenti si sviluppi in voi un gran dubbio: «Ma effettivamente ai giovani converrebbe svolgere ciò che Socrate chiede loro o no?». La domanda è più che lecita, ma la risposta non è sicuramente semplice poiché ci sarebbero diversi fattori a favore del compimento di queste azioni, ma anche svariati a sfavore. È palese che se i ragazzi si impegnassero al 100% in quest’opera, otterrebbero dei benefici, però tutto ciò richiederebbe, come già detto, uno sforzo incredibile. Le loro condizioni cambierebbero sicuramente in meglio, ma non è detto che il risultato ottenuto compenserebbe l’impegno messo. Certo, non sarebbe lo stesso affrontare o meno la sfida lanciata da Socrate perché appunto il tutto porterebbe a un cambiamento di posizione, ma d’altro canto non si può stabilire se ne varrebbe la pena davvero.

A questo punto spero per voi che il socratico sia soddisfatto delle vostre risposte e la smetta di importunarvi, in modo che possiate scordare nuovamente il tutto e tornare a far spazio nel vostro cervello per informazioni da voi reputate più utili. A ogni modo potreste ritenervi altrettanto soddisfatti di aver tentato di dimostrare che oggi i ragazzi non sarebbero pronti ad affrontare ciò di cui Socrate li riteneva capaci circa duemilacinquecento anni fa.

Silvia Cavetti

Un obiettivo comune

Uccidere, arrestare, bandire, rovinare sembrano essere sempre state le modalità preferite dai governanti dell’antichità per raggiungere i propri obiettivi e raggirare ogni ostacolo. Nonostante sia passato molto tempo, tutt’ora coloro che hanno opinioni e comportamenti inusuali o contrastanti con le «regole» in vigore spesso vengono repressi, nascosti e obbligati ad assumere un’educazione che segua le norme dettate della società. Nessuno dovrebbe detenere il diritto di giudicare gli altri o addirittura di decretarne il destino, le situazioni sono sottoposte a un incessante mutamento, non possono rimanere le medesime per sempre e nessuno dovrebbe provare a fermare il loro cambiamento.

Il filosofo greco Socrate lo aveva compreso, ed essendo stato condannato per aver diffuso un modo di pensare differente, ci ha lasciato in eredità una profezia molto esplicita su cui riflettere.

I giovani possono essere coloro che, mettendo sotto esame gli adulti, manderanno in crisi il loro mondo e cambieranno lo stile di vita e il modo di ragionare finora imposto. Essi sono numerosi e altrettanto numerose sono le loro «armi» per intraprendere la «battaglia» contro gli adulti, la difficoltà si trova nel saperle utilizzare efficacemente e non farle diventare ostili a sé stessi.

I giovani possiedono forza e astuzia, due qualità che devono essere combinate; gli adulti godono di una più ampia esperienza che li aiuta a saper gestire moltissime circostanze, per lo più sconosciute ai giovani; tuttavia un esercito di adulti non padroneggia la forza, l’agilità e il coraggio di un esercito di giovani, che necessita dell’astuzia per sfruttare al meglio la sua potenza. Un esempio illustre lo troviamo durante la guerra di Troia: Ulisse, escogitando l’imbroglio del cavallo, unì l’astuzia con la forza e ottenne una vittoria che sembrava ormai irraggiungibile.

La convivenza con gli adulti potrebbe risultare producente per i giovani: dagli adulti possono assimilare molte qualità, capacità e individuare i punti deboli. Tuttavia la forte vicinanza costituisce un’arma a doppio taglio: i giovani sono facilmente manipolabili ed estremamente egoisti, possono decidere di collaborare con gli adulti in cambio di un compenso che possa sfamare il loro estremo materialismo. Ciononostante i giovani, vivendo nella falsità, sono in grado di acquisire quest’arte, saperla riconoscere e utilizzarla per stanare i progetti degli adulti, però necessitano di un obiettivo comune che li mantenga uniti e motivati.

Inoltre la capacità dialettica dei giovani è estremamente persuasiva e talvolta disarmante; essi quando hanno un obiettivo si comportano come dei sofisti, utilizzano una tecnica simile alla retorica con cui rendono il loro discorso forte e convincente, conquistano la ragione e distruggono la tesi altrui. I giovani riescono sempre a porre le domande adeguate e tirar fuori le argomentazioni più adatte, portando l’adulto a essere privo di difesa e, quindi, innocuo.

In conclusione, i giovani possiedono tutti i requisiti per contrastare e cambiare il mondo degli adulti, ciò che manca è un obiettivo comune e la necessità di non poter sottostare a un regime basato sulla falsità e sul materialismo, che possiede come unica finalità quella di sfruttare i più deboli per arricchire coloro che lo hanno ideato. I giovani devono combattere per la costruzione di una società in cui i legami tra gli uomini siano reali, sinceri e duraturi, finalizzati alla convivenza serena e produttiva. I tradimenti, le bugie, gli inganni devono sparire, e soprattutto la maggior parte degli uomini deve comprendere che siamo più di sette miliardi su questo pianeta: è impossibile e impensabile vivere pensando esclusivamente ai propri interessi.

Beatrice Carta

Lo stile: migliorare sé stessi

Socrate nella sua profezia afferma che i giovani saranno coloro che andranno contro agli adulti e si faranno valere. Ritengo che la saggezza non dipenda dall’età o dalla condizione sociale. Piuttosto essa è un modo di essere, di comportarsi e di relazionarsi. Spesso gli adulti sono convinti di essere persone giuste e sagge, ma raramente è così. La maggior parte di loro non è in grado di mettersi in discussione, di accettare critiche, di rispondere a domande scomode e difficili, per paura di non risultare all’altezza rispetto al ruolo che si sono costruiti all’interno della società. I ragazzi spesso sono più umili in questo e si ritengono inferiori agli adulti, ma, a differenza di essi, noi giovani siamo disponibili alle critiche, alle domande, al cambiamento. Intendo cambiamento in ognuno di noi, nel modo di essere, nel carattere. Noi siamo sempre pronti a migliorare, mentre gli adulti, abituati a un certo comportamento e a un certo modo di essere, ritengono che il cambiamento non sia necessario e non sono disponibili a mettersi in dubbio. Questo è sbagliato perché porsi domande e migliorarsi è il primo atteggiamento che tutti dovrebbero cercare di avere. Noi ragazzi nel frattempo dovremmo avere il coraggio di mettere in dubbio, di interrogare e di relazionarci con gli adulti. Non dobbiamo essere timorosi nell’esporre le nostre idee e nel farci valere. Qualsiasi cosa pensiamo o riteniamo sia giusta dobbiamo esporla e darle valore.

Francesca Bresciani

Una buona saccenza

Si tratta della voce di ribellione di coloro i quali hanno seguito Socrate, i giovani. Essi andranno contro gli adulti, i quali saranno tanto più irritati quanto più i giovani sono duri, e si faranno valere. Ma, portando la questione ai nostri giorni, la profezia di Socrate si sta avverando?

Probabilmente la risposta non è una sola, ci sono diversi punti di vista. Per molti genitori, per esempio, la profezia si è avverata: i giovani sono sempre più polemici, pronti a opporsi alle decisioni e ai consigli degli adulti. Sono ribelli, saccenti e sempre pronti a mettere alla prova genitori e adulti in generale. Se il quesito venisse però posto ai diretti interessati quale sarebbe la risposta? Probabilmente non sarebbe una risposta del tutto positiva in quanto i giovani, spesso costretti a sopportare atteggiamenti e comportamenti degli adulti, non si sentono ancora del tutto liberi di contraddirli o di smentirli. Si sentono ancora inferiori agli adulti, talvolta al punto di temerli. Noi ragazzi dovremmo dunque acquisire la forza e il coraggio per farci valere, per dire la nostra, per porre domande e per parlare liberamente agli adulti. Dovremmo toglierci quel nostro timore ed esporre a pieno le nostre idee, confrontandole senza paura con quelle dei più grandi.

Asia Zanella

Oltre la rabbia

Nel futuro ci saranno altre persone come Socrate che metteranno sotto esame gli adulti, i quali saranno da ciò irritati. Socrate nelle sue parole si riferiva a noi giovani: «e saranno tanto più duri quanto più sono giovani». Ma noi stiamo mantenendo questo incarico?

Per molti sì: i genitori soprattutto devono «sopportare» tutto ciò che diciamo e pensiamo sulle altre persone e su di loro. E tuttavia questo comportamento non è quello a cui Socrate si riferiva. Infatti noi critichiamo i nostri genitori e altre persone solamente quando siamo arrabbiati, quindi senza fini di miglioramento ma principalmente per offendere.

Noi dovremmo porre critiche costruttive nel momento in cui vediamo l’errore, e se capita, anche di portare alla riflessione, che può finire in discussione, su argomenti nei quali si hanno diversi punti di vista.

Alberto Didoné

La fiducia è finita?

Basandomi sulla mia esperienza personale, principalmente costituita dal rapporto con i miei genitori e con tutte le persone più anziane di me, posso affermare con certezza che, soprattutto negli ultimi decenni, i protagonisti di svariate discussioni legate a più ambiti (sociale, lavorativo…) sono i giovani, i quali vengono spesso identificati dai più grandi come persone pigre, fannullone e incapaci di svolgere la maggior parte delle attività classificabili come da persone mature e intelligenti. Frasi del tipo «matura che è ora», dopo un banale e comune errore, oppure «lascia fare a me che non sei capace», non sono così rare, bensì ripetute centinaia di volte ogni giorno.

I ragazzi non sembrano però essere condizionati da nessun giudizio negativo, alimentando così i pregiudizi nei loro confronti e non entrando mai nell’ottica di un possibile cambiamento.

Prendendo esempio dall’Apologia, possiamo notare il cambiamento che è avvenuto nel corso dei secoli: inizialmente nei giovani era riposta moltissima fiducia la quale andrà poi a svanire, purtroppo, in un cumulo di delusioni e pregiudizi imposti dal «mondo» degli adulti i quali sembra che vogliano dai giovani ciò che loro stessi non sono stati in grado di dimostrare.

Gianmarco Bellini

In nome dei silenziosi

Da sempre le nuove generazioni vengono criticate dalle più vecchie, quindi possiamo dire che questo interrogativo non è nuovo e che si ripresenta periodicamente.

Ma è proprio vero che i giovani sono addormentati? Sì e no.

Sì, perché per tanti è molto comodo appoggiarsi alle risposte confezionate dai più grandi; perché pensare diversamente o cercare risposte autonomamente quando mi sento accettato dalla società e in pace con me stesso?

No, perché anche se non sembra, c’è sempre qualcuno che è alla ricerca, ma silenziosamente, qualcuno che ragiona e trova risposte un po’ alla volta, mettendo da parte la presunzione di sapere e riconoscendosi debole e ignorante, come Socrate aveva fatto.

Silvia Pontarolo

La mancanza dei padri

Purtroppo non è raro scoprire come gli adolescenti non rispettino i genitori o, generalmente, gli individui con più esperienza. Si può affermare quindi che le nuove generazioni stiano prepotentemente rivendicando un nuovo spazio, quello del potere. Tale nuovo ruolo non sempre si accompagna a sufficiente maturità ma, se i teenagers si impongono un obiettivo, sono disposti a raggiungerlo a ogni costo, senza preoccuparsi dell’effettiva moralità dei mezzi.

Ciò accade perché, nel corso dell’ultimo mezzo secolo, le gerarchie familiari e sociali si sono sbiadite, perdendo la divisione che permetteva di capire la suddivisione dei ruoli e gli eventuali rapporti tra questi ultimi.

Abbiamo infatti assistito a vari cambiamenti nello stile di vita: si può menzionare per esempio la parità dei diritti per le donne e, di conseguenza, l’esponenziale aumento delle donne in carriera.

Sfortunatamente ogni avvenimento ha i propri lati positivi ma anche negativi. In questo caso le persone hanno ottenuto pari opportunità, ma la famiglia è stata lasciata in secondo piano. Infatti, un tempo erano le donne a occuparsi maggiormente delle faccende familiari. Quando però le opportunità lavorative sono state loro decisamente aperte, nessuno si è più chiesto chi dovesse curare l’andamento interno e privato del nucleo familiare. La preoccupazione maggiore è stata la divisione del lavoro pubblico, ma non della sfera privata. È stato mai detto con chiarezza che anche i problemi in casa vanno condivisi e risolti non solo dalla donna bensì anche dalla controparte maschile? Oserei dire che abbiamo ottenuto l’effetto opposto: nel 2019 tutti si preoccupano del lavoro e non della famiglia.

Il risultato è la mancanza, per i giovani, di una guida, nel luogo in cui passano la maggior parte del loro tempo, casa propria. Gli adolescenti, rimasti soli, sono costretti ad assumere gran parte delle responsabilità prima del tempo e, se una figura più anziana prova a esprimere il proprio onesto parere, questa si trova di fronte a un muro. Qual è stata infatti l’abitudine al confronto?

Gli adolescenti vengono criticati per la troppa sfacciataggine, ma se hanno elaborato un pensiero adulto in anticipo, non si può chiedere loro di lasciare improvvisamente spazio a un anziano, magari sconosciuto. La loro crescita affrettata serve a sopperire a una mancanza.

Alessia Polese