La Chiesa nel guado di una religione civile

di Stoppiglia Giuseppe

Se la morale rifiuta la misericordia

«Essere laici significa
mettersi in ascolto disarmati.
La parola è parola
quando qualcuno l’ascolta».
Raimon Panikkar
«Le quantità si contendono lo spazio,
le qualità si completano a vicenda».
Dietrich Bonhoeffer

Le ore insonni della notte hanno un loro messaggio e, come tutte le ore del tempo che viviamo, portano qualcosa. Ho cominciato a soffrire d’insonnia nei primi anni di liceo: poi è diventata, tra alti e bassi, una convivenza costante nella mia vita. Gli occhi chiusi e la vigilanza indebolita ci mettono in contatto con dimensioni normalmente invisibili. Come il sonno o il sogno, anche l’insonnia è viva e vede qualcosa. Gli occhi aperti sul buio quasi totale della stanza, dove ogni cosa diventa un po’ più piccola e un po’ più grande di ciò che è alla luce del giorno, le cose esistono e perfino parlano. Nel silenzio pieno, i mobili emettono piccoli rumori di assestamento o d’invecchiamento, quasi il gemito umile della loro durata, della loro fatica e pazienza. Fanno come lo stomaco e gli organi interni che, attraverso un leggero brusio, partecipano del loro continuo lavoro nell’officina del corpo. Gli occhi chiusi, alla ricerca del sonno atteso, guardano intanto uno schermo oscuro, ma non vuoto: vedono ricordi, volti, luoghi. Il buio racchiuso delicatamente dalle palpebre abbassate non è nero, è abitato dalle vite che ci hanno dato vita. Più che sulle tombe, è questo il momento in cui parliamo ai nostri morti. Si ricorda la mamma, l’origine nostra. Il babbo che abbiamo guardato vivere e ci ha insegnato a vivere. I tanti maestri della nostra vita, i compagni del nostro cammino. Tutto è presente, vicino e profondo, dove l’occhio troppo sveglio non vede. Ci sfila davanti il nostro prossimo e pensiamo a ciò che ognuno ora sta vivendo, soffrendo, cercando, faticando, gustando con gioia. Preghiamo, affidando allo Spirito di Dio ognuna di quelle vite che fan parte della nostra, perché viva. Poi giunge il rumore sordo della prima macchina che passa e l’ultimo tentativo di scendere nel lavacro del sonno. Un momento di pausa e arriva la giornata, un po’ appesantita dal sonno mancato, ma reduce da un viaggio dell’anima, che resta segreto, ma reale e prezioso.

La sacra riserva dei potenti

La nostra vita apparentemente trascorre tranquilla. Una brioche calda, le telefonate agli amici, un incontro, il caffè a metà mattina, il rumore del traffico, i ricordi di quando si era bambini. Sentire che fuori piove, annusare di nuovo la primavera, sentirsi capiti, amare una persona, innamorarsi di un film, comprarsi un libro, regalare un mazzo di fiori, l’odore della torta di mele che cuoce nel forno. Attorno a noi, intanto, crescono muri, non solo rappresentati da ideologie disumane, ma muri concreti, fatti di acciaio e di cemento. Ci vengono imposte leggi sempre più spietate dal mercato, dove l’elemento totalizzante è il denaro, che penetra in tutte le sfere dell’attività umana (alimentazione, sanità, educazione, benessere, matrimonio, lavoro), in balia di una pubblicità che offende e ridicolizza. «Sono un pubblicitario, ebbene sì. Inquino l’universo. Io sono quello che vi vende tutta questa merda. Io vi drogo di novità e il vantaggio della novità è che non resta mai nuova. C’è sempre una novità più nuova che fa invecchiare la precedente. Farvi sbavare è la mia missione. Nel mio mestiere nessuno desidera la vostra felicità, perché la gente felice non consuma» (da Euro di Friderik Beigleder, edizioni Feltrinelli).

Se le minacce di distruzione e di morte pesano su tutta l’umanità, nelle impostazioni politiche ed ecologiche, invece, ci si preoccupa principalmente di salvare le minoranze «più avanzate», abbandonando le maggioranze al loro destino di morte. Un atteggiamento che produce quel meccanismo psicologico di massa, che consiste nel rimuovere l’altro. Viene, perciò, elaborata con perfidia una visione del mondo e della storia fondata sulla superiorità e la centralità di un popolo, di una cultura, rispetto alle altre. Una storia del mondo ridotta a quella dei popoli «più avanzati», cancellando il ruolo degli altri. Inevitabile è la nascita della xenofobia e di pregiudizi razziali, che riducono esseri umani a cose, spogliàti della loro dignità, privati di affetti e di parole.

Dei di cartapesta

Oggi vincono e convincono quelli che non hanno tempo per occuparsi di vittime, di poveri, di esuberi, di quelle «pietre scartate» che nel Vangelo saranno le «pietre angolari» dell’edificio della salvezza. Sono quelli che girano lo sguardo da un’altra parte, quelli che fingono di non vedere l’orrore. Sono gli eroi di cartapesta del nostro immaginario e della nostra etica pubblica. «Sembra» – scrive Nichi Vendola in Lettera a don Tonino Bello a 17 anni dalla morte – «un universo capovolto con un dio seriale e mediatico, talvolta usato come un sedativo o magari un eccitante spirituale. L’economia appiccica prezzi e toglie valore alle persone, la mercificazione non ha senso del limite. Torna, come se la storia si fosse del tutto ammutolita, la ruvida antropologia dell’antisemitismo. Gli stranieri sono l’extra della nostra umanità, oltre che della nostra comunità: appunto, extra-comunitari. E i clandestini, figli di un altro dio, di nessun dio… Dov’è la Pasqua della responsabilità sociale e della convivialità culturale?».

Il demone dell’etica

La Chiesa italiana sembra concentrarsi più sull’autodifesa che sull’annuncio profetico. Un annuncio che sappia incarnare un amore capace di giudizio storico, di passione civile, di condivisione radicale, di denuncia dei mali e delle ingiustizie, di allenare le coscienze alla ricerca del bene, del giusto e del bello e che oltrepassi il «demone dell’etica», come lo chiama il teologo Pino Ruggieri: «Si deve ripartire dal Dio Padre di Gesù, che non smette mai di amare e «fa piovere sui campi del giusto e dell’ingiusto», perché Dio non conosce divisione. Nell’etica si annida invece il germe della divisione quando nella concretezza della storia e dell’esistenza la tendenza al bene diventa prescrizione e legge, costringendo l’uomo dentro confini precisi, per cui chiunque sta fuori diventa nemico. L’umanità si divide allora in due campi avversi che lottano per il proprio dio contro l’altro dio fino allo «sterminio biblico»: questo è il carattere demoniaco dell’ethos».

Occorre faticare con umiltà per costruire insieme agli altri uomini regole più umane di convivenza, di rispetto vicendevole. Il Dio di Gesù non è il principio del bene opposto al principio del male. Egli è magnanimo nei confronti del cammino etico dell’uomo perché il suo amore è prima di ogni legge. È questo un passaggio difficile per la Chiesa italiana, che, alla scelta di aiutare le persone a scoprire il Gesù dei Vangeli, preferisce dar credito alla linea di una nuova presenza pubblica e ritiene di evangelizzare promuovendo o vietando leggi civili, in modo che l’etica cattolica sia «religione civile» italiana.

Autoritarismo e marketing

Al rifiuto della profezia, al rischio di fomentare il clericalismo e il suo contrario, si aggiunge pure una specie di rivincita dell’autorità, che considera la ricerca teologica un proprio feudo e non un patrimonio delle comunità cristiane. «L’autorità» – commenta Arnaldo De Vidi – «è così arbitra convinta d’infallibilità. Una Chiesa che è del potere, non del servizio. È piramidale, imperiale, riproduce la corte di Costantino, dove il clero è ancora una casta di funzionari di Dio, gelosi della gestione del sacro».

Al riguardo, significativi sono i risultati (resi pubblici a fine aprile) di una ricerca compiuta dall’Istituto IARD di Milano su Giovani e la fede in Italia. Mostrano un trend negativo rispetto a un’analoga ricerca, compiuta nel 2004, sui giovani dai 14 ai 28 anni. È diminuito il numero di giovani che si definiscono cattolici (poco più del 50%), le figure religiose istituzionali godono di meno credibilità, rifiuto quasi generale del ruolo politico della Chiesa, meno osservanza alle indicazioni etiche della Chiesa, scarsa frequenza della pratica religiosa, forte accentuazione dell’opzione di una religione fai-da te.

Si sa che la fede si trasmette da persona credibile a persona aperta alla possibilità di credere. È da stolti pensare che una strategia di marketing possa sostituirsi ai rapporti interpersonali che si creano e si alimentano all’interno delle comunità di vita, dalla famiglia al quartiere, dalla parrocchia all’associazionismo organizzato. Molti (troppi), nei decenni trascorsi, si sono illusi, che il ricorso ai grandi eventi, l’adeguamento ai modelli vincenti di creazione del consenso, potessero funzionare a livello ecclesiale.

Un futuro per sognare nel quotidiano

Aver focalizzato le energie verso iniziative «drogate» dal numero e dalla visibilità mediatica, ha finito per creare una sorta di assuefazione allo straordinario e il conseguente disinteresse e il disgusto per la quotidianità del vissuto. È nel tessuto dell’esistenza quotidiana che i giovani cercano un senso alle loro vite, precocemente attraversate da contraddizioni, lacerazioni familiari, disillusioni lavorative. Portatori di una mancanza di speranza per il futuro, non ambiscono tanto a «essere il futuro» di una determinata realtà sociale o ecclesiale, quanto di avere già un futuro a cui tendere, un’attesa in grado di riempire di significato il loro presente. I dati sono preoccupanti per la Chiesa e per quanto attende l’annuncio del vangelo, ma sono anche un segnale negativo per tutta la società. La scomparsa di valori condivisi, il rarefarsi di luoghi d’incontro e confronto, la focalizzazione dei conflitti, finiscono per rendere insopportabile quella contraddizione che ogni generazione deve affrontare e superare per passare all’età adulta. Spetta agli adulti ritrovare in se stessi i principi che si vorrebbero presenti nei giovani, di un passato verso il quale ci si rivolge con memoria grata. Siamo in grado di farlo?

Osserviamo in questi giorni una Chiesa ferita uscire dallo scandalo pedofilia. Voglia Dio che, liberandosi dalla paura, cominci a difendersi meno, a imboccare con umiltà un cammino come popolo di Dio, aprendosi al confronto con la modernità nel servizio della giustizia del Regno. Credo a Gesù Cristo, insieme alla Chiesa. Ho avuto, indegnamente, la fortuna e la grazia di essere stato condotto al cuore del vangelo, attraversando lo strumento che me lo porta o me lo nasconde.

Anche dall’apparato autoritario imparo qualcosa, ma non mi coinvolge al punto da restare scandalizzato e ostacolato. Non esalto e non demonizzo questa Chiesa. Non resto senza, non sono contro, perché il vangelo è libertà nello spirito, è fraternità senza confini e senza padroni.