La sorella di Caino

di Monini Francesco

Attenzione al neologismo. Sono 81, secondo i dati ufficiali, i «femminicidi» in Italia nel primo semestre di quest’anno. Dopo una cento mille donne uccise: strangolate, pugnalate, sfigurate, bruciate vive; dopo che mogli, amanti, fidanzate sono state messe a tacere (per sempre) da mariti, amanti e fidanzati respinti; dopo aver scoperto che la violenza maschile non è per nulla extracomunitaria, non è cioè appannaggio di tunisini, rumeni e altri popoli arretrati, ma invece si annida nei nostri affetti e nelle nostre famiglie. Improvvisamente, in queste ultime settimane, giornali e televisione (perfino il parlamento!) hanno scoperto il femminicidio.

Femminicidio che non fa solo rima con genocidio, ma ne è il prototipo, il modello atavico: l’impronta originaria di ogni violenza.

Dalla cacciata dal giardino dell’Eden, o poco più in su, e comunque in contemporanea con quell’altro famigerato fatto di sangue (l’omicidio di Abele da parte del fratello «cattivo»), le figlie di Eva hanno incominciato a morire per mano dei figli di Adamo.

Il primo genocidio – il più antico, il più grande, il più occulto – non riguarda una razza o presunta tale, ma un genere, l’altra metà del cielo. E oggi, a cavallo di un fosco terzo millennio, il ritmo della mattanza, invece di arrestarsi, è diventato più forsennato.

Ora che il potere maschile sembra vacillare, quel potere va difeso a ogni costo. Anche perché agli uomini sapientes sapientes non costa nulla. Il conto lo pagano le donne.

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Ma c’è qualcuno a cui non piaccia Papa Francesco? Se ne trovate uno, uno solo – al bar o in famiglia, nei cretinissimi pomeriggi televisivi o sulla bocca di qualche politico, intellettuale o vecchio saggio – sono disposto a pagar pegno.

Non voglio fare il bastian contrario, anche a me piacciono parole e gesti del papa «venuto dalla fine del mondo». Parole potenti, gesti coraggiosi, schiaffoni a tutti i perbenismi. Tutto bene, se non fosse per quel ritornello evangelico che non mi esce dalla testa: «Non sono venuto a portare la pace ma la spada».

Avanti Francesco! Forse il bello deve ancora venire. Quando incomincerai a farti dei nemici – oltre ai milioni di fedeli e seguaci e adulatori seduti in poltrona – forse allora, solo allora, la barca del mondo (e della Chiesa) eviterà il naufragio.

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E Francesco (scusate, mi viene naturale chiamarlo solo per nome) qualche nemico incomincia a farselo.

Stupefacente, ad esempio, la visita lampo a Lampedusa. La messa nel campo che era stato trasformato in campo profughi, la denuncia della «globalizzazione dell’indifferenza», la corona di fiori gettata in mare.

Questa volta, ha pensato qualcuno, ha veramente passato il segno. I leghisti militanti, e anche qualche losco figuro del centrodestra, hanno sfoderato anatemi e ironia. Contro il papa dilettante e demagogo, o chiedendogli di portarsi i clandestini dentro le mura del Vaticano.

Intanto allo Ior continuano a cadere le teste degli alti papaveri. È sicuro, continuando su questa strada, Francesco troverà un sacco di nemici. E alla fine, ma neanche troppo in là, dovrà dichiarar guerra a tutti i mercantiàche occupano il Tempio. Visto che chiede continuamente di pregare per lui, servirà pregare perché non gli manchi il coraggio.

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Un consiglio a Francesco? No, non scherziamo: solo un semplice desiderata, una nota a margine, una piccola supplica.

È di questi giorni la notizia che entro l’anno saranno proclamati santi sia papa Wojtyla sia papa Roncalli. Seguirà, ma non ci vorrà molto, papa Luciani. Per Ratzinger toccherà aspettare il suo santo trapasso.

Intanto, alcuni amici di San Giovanni Rotondo mi raccontano della drammatica penuria di pellegrini al santuario di Santo Padre Pio. Gli industriosi frati francescani le hanno provate tutte: dalla canonizzazione a tappe forzate alla super pubblicizzata riesumazione del corpo. Ora hanno deciso che lo esporranno in permanenza al pubblico pagante. Ma niente, i pellegrini continuano a calare. Ci vorrebbe un miracolo – letteralmente – per dare nuova linfa all’industria del santo.

Di santi ne abbiamo a sufficienza. Santi di tutte le razze, specie e attitudini. Ogni sperduto borgo si trova, è provvisto del suo santo protettore. Ogni mestiere, professione, reggimento conta il suo nume tutelare. Per ogni disgrazia o malattia c’è un santo a cui rivolgersi: il Martyrologium Romanum, che contiene l’elenco ufficiale dei santi e beati venerati dalla Chiesa, ne elenca quasi diecimila.

Eccola la supplica, la mia modesta proposta: una moratoria dei processi di beatificazione.

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Mercoledì 26 giugno è morta Kimberly McCarthy. Aveva 52 anni. L’ultima cosa che ha mangiato è una bistecca e una barretta di cioccolato. Attorno alle sei del pomeriggio l’hanno portata nella stanza speciale. Alle 18,17 le hanno infilato l’ago col veleno nel braccio. Venti minuti dopo è sopraggiunta la fine.

Fuori dal braccio della morte, solo qualche centinaio di manifestanti: i soliti estremisti nonviolenti. Quella di Kimberly è stata la 500ê esecuzione capitale nello Stato del Texas, a partire dal 1976, quando è stata reintrodotta la pena di morte. Kimberly era nera; ma quasi tutti i giustiziati sono neri o ispanici.

Ho un dubbio. Se Wojtyla prima, e Ratzinger poi, hanno beatificato oltre 900 martiri (dalla parte del generalissimo Franco) della Guerra Civile Spagnola, non saranno molto più martiri le 500 vittime di uno Stato, sedicente civile, ma sadico e assassino?

No, non mi rimangio la mia avversione alla fabbrica e all’industria di santi e beati. Mi basta ricordarti: riposa in pace Kimberly, che la terra ti sia lieve.