Monologo di un ragazzo di diciassette anni, dopo la sua morte

di Mantegazza Raffaele

L’hanno ucciso. Io l’ho visto. Mi hanno cacciato via, mi hanno preso a calci perché non volevano che io rimanessi lì (nemmeno i suoi amici, nemmeno i suoi seguaci) ma io l’ho visto mentre accostava la ciotola alla bocca e beveva la sua morte. Sereno? Insomma… Certo non proprio come dicono; diciamo calmo, senza panico, ma anche con una rabbia che si poteva percepire a distanza.

Era il mio maestro, il mio amico, era il mio punto di riferimento. Non mi lasciava mai in pace, mi provocava, mi scuoteva; sembrava avessi compreso un concetto e subito me lo ribaltava davanti. Quante volte l’ho maledetto, quante volte ho pensato di andarmene, verso maestri più tradizionali, verso quelli che ti dicono «la verità è così e così» e la smettono con questa sciocchezza della maieutica, del vero che è dentro di te, e con tutta questa fatica. Ma poi sono rimasto, perché il ricavo della fatica era immenso; l’autonomia, il pensiero, il conoscere sé stessi, l’amore per la sapienza, la filosofia.

E adesso? Cosa farò? Come placare la rabbia che cresce in me? Vendicarlo? E come? E poi, certo lui non lo vorrebbe. Fuggire? E dove? Cosa c’è dentro di me, qual è la risposta? Come tenere vivo il Maestro sapendo che è morto per sempre e allo stesso tempo recare danno a coloro che l’hanno ucciso senza ripetere la loro violenza?

Ma ecco un gruppo di scolari di dodici anni che si reca alla lezione del mattino. Tutti in fila, con il loro calamo, pronti a sentire un maestro violento e manesco che insidia nelle loro menti il quieto veleno delle certezze. Ecco, iniziare da qui. Iniziare a parlare con loro, a spiegare loro chi fu il Maestro, a insinuare nelle loro anime il seme del dubbio. Essere torpedine, dare loro la scossa, cambiare il modo di essere maestri. Questa è l’unica vendetta, questo è l’unico modo per mantenere vivo un insegnamento: insegnare, educare. E-ducere. Ecco, uno dei ragazzi è rimasto indietro per raccogliere la sua tavoletta che gli è caduta; mi guarda e mi sorride. Bene. Cominciamo.

Raffaele Mantegazza
professore associato di pedagogia generale e sociale,
università degli studi di Milano Bicocca