La beghina Margherita Porete e lo specchio delle anime semplici

di Eleonora Graziani

I dati storici sulla vita di Margherita Porete sono molto scarsi; l’unico veramente sicuro è quello della sua morte: viene arsa al rogo a Parigi l’1 giugno 1310 dall’Inquisizione, insieme al suo libro Lo specchio delle anime semplici.
Gli storici dispongono di dati maggiori sullo “Specchio”, da cui si inferiscono le notizie sulla vita della Porete: una prima condanna del libro, nel 1306, a opera del vescovo di Cambrai, seguita dall’ordine di bruciarlo solennemente nella pubblica piazza di Valenciennes. Alla sua autrice viene notificato contestualmente che, se avesse osato continuare a propagare, oralmente o per iscritto, la dottrina erronea contenuta nel libro, sarebbe stata condannata e consegnata al braccio secolare.
L’11 aprile del 1309 scatta una seconda denuncia contro lo “Specchio”, per cui l’inquisitore di Parigi decide di chiamare ventuno professori di teologia che ne verificassero l’ortodossia. Il giudizio, all’unanimità, dei teologi, fu di considerarlo un libro eretico. Alla Porete fu contestato il fatto di continuare a tenerlo in suo possesso e di continuare la divulgazione del contenuto, nonostante la prima condanna. In questa circostanza Margherita fu anche arrestata e imprigionata fino al momento della sua morte, un anno dopo. Tuttavia anche il rogo del 1310 non eliminò dalla circolazione Lo specchio delle anime semplici, come auspicato dall’Inquisizione. Il libro, forse grazie alla previdenza della sua autrice, era stato trascritto in diverse copie manoscritte, come spesso accadeva nel XIII e XIV secolo, e continuò a circolare per secoli, specie nei monasteri, letto e apprezzato da religiosi e spirituali.
L’influenza dello “Specchio” si estende fino alla mistica secentesca italiana che ruotava intorno alle figure di Achille Gagliardi e Isabella Berinzaga e si irradia fino a figure di grande rilievo della mistica francese come Fénelon e Madame Guyon. Fra i lettori straordinari dello “Specchio” nel XX secolo si annovera la filosofa Simone Weil che lo menziona nei suoi scritti con queste parole: «Miroir des âmes simples? Mistique français du XIV».

Il movimento delle beghine
Dalla morte di Margherita Porete fino alla metà del XX secolo, il destino storiografico della figura di Margherita percorre una via parallela a quella del suo libro, senza incontrarsi mai. Solo nel 1943, infatti, la storica Romana Guarnieri collegò la versione latina dello “Specchio”, rinvenuta nella Biblioteca Vaticana, a quell’opera eretica, maturata nell’ambiente del Libero Spirito, e alla sua autrice bruciata viva. Fino ad allora il testo era attribuito a un uomo, anonimo, in tutte le diverse versioni in cui era stato tradotto (francese moderno, inglese e latino).
Gli storici del XX secolo, e specialmente le storiche e le filosofe, concordano nel considerare l’autrice come un autorevole membro del movimento delle beghine della diocesi di Cambrai, al confine fra l’attuale Francia e il Belgio.
La sua nascita si colloca approssimativamente fra il 1250 e il 1260, nella contea di Hainaut, nell’attuale Belgio di lingua francese. L’appartenenza di Margherita Porete al beghinaggio riflette le condizioni sociali che nel XIII e XIV secolo promuovevano la religiosità femminile.
Originariamente queste beghine erano gruppi sparsi di donne devote, che vivevano insieme in piccole comunità senza prendere i voti monastici, combinando vita attiva e contemplativa.
Lo specchio delle anime semplici di Margherita Porete segna tuttavia una rottura con la tradizione mistica femminile. La Porete mette in scena un dialogo fra anime, caratterizzare dalla personificazione delle diverse facoltà che le contraddistinguono (amore, ragione, virtù, verità, santa Chiesa la piccola ecc.) dipingendo un maestoso affresco di caratteri immateriali in relazione dialettica fra loro.

L’Essere nell’Essere
Scritto all’incirca negli anni in cui Dante componeva la sua Commedia, lo “Specchio” si colloca apparentemente nel filone letterario dell’“amor cortese”, essendo Amore uno dei principali personaggi che interagiscono dialetticamente nel trattato, in realtà per essere superato inaugurando la grande stagione speculativa della mistica del distacco, o dell’essenza, di cui Meister Eckhart, contemporaneo della Porete, è l’altro autorevole promotore. La forma letteraria dello “Specchio” era diffusa nel medioevo come genere esemplarenormativo: in questo caso mostra al lettore (o meglio all’ascoltatore) l’itinerario in sette tappe che deve compiere l’anima fino a sbarazzarsi di sé stessa, abbandonando oggettività e appropriazione di ogni immagine, e alla fine del proprio io psicologico, che altro non è, per Margherita, che un «accidentale complesso di determinazioni».
L’anima, protagonista dello “Specchio” e sottintesa personificazione dell’autrice, non viene mai definita mistica (d’altronde nessun mistico si è mai definito tale); Margherita sceglie piuttosto per questo sostantivo gli aggettivi “pura”, “celestiale”, “portatrice di pace”. L’antagonista assoluta di anima e amore è ragione, personaggio che rappresenta la Chiesa “piccola” e che utilizza tutti gli argomenti di piccolezza spirituale, quali l’adempimento delle virtù, il perseguimento della santità, la ricerca dell’approvazione altrui.
I dialoghi fra Anima e Ragione, stilisticamente riconducibili alla forma dell’altercatio medievale che prevede accesi dibattiti fra due personaggi immaginari, raggiunge picchi di ironia che trasbordano molto spesso nell’aperto disprezzo da parte di Anima.
Per la Porete le persone nutrite da Ragione infatti sono «gente dai piedi senza strada, dalle mani senz’opera, dal corpo senza vita, dal cuore senza intendimento».
Si tratta di un vero e proprio testo teologicofilosofico, in cui viene esplicitato il concetto centrale di “Essere nell’Essere” di eraclitea memoria, considerato eretico dalla Chiesa cattolica, lontanissimo dalla mistica sponsale del matrimonio mistico dell’anima con Gesù, in quanto alla fine dell’itinerario si perviene a «essere la cosa stessa di Dio», a essere assorbiti nella luce divina. L’obiettivo che raggiunge un’anima distaccata da tutto è di rendere superflua qualsiasi virtù, da cui le anime nobili prendono congedo. È questo il punto in cui il testo viene per secoli associato alla dottrina eretica del “Libero Spirito”, di cui sono condannate otto proposizioni, al concilio di Vienne, nel 1311-1312. Riporto in questa sede la proposizione che sintetizza la distanza del movimento ereticale da un’istituzione basata sulla necessità della mediazione fra il fedele e Dio da parte della gerarchia ecclesiastica, qual è la Chiesa cattolica: «… quelli che si trovano nel predetto stato di perfezione e spirito di libertà non sono soggetti all’obbedienza umana, e neppure obbligati a qualche precetto della Chiesa, giacché, come essi dicono, dove è lo spirito del Signore, lì è libertà».
È indubbio che i padri conciliari di Vienne avessero ben presente, un anno dopo il rogo, le motivazioni della condanna della Porete e del suo libro da parte della commissione inquisitoriale di Parigi. La Porete sembra consapevole della gravità delle sue affermazioni e, nel testo, al capitolo 21, tenta una mediazione fra Amore e Ragione (grande sostenitrice del valore delle virtù), facendo dire ad Amore: «Ve ne darò soddisfazione, dice Amore. È verità che quest’anima ha preso congedo dalle Virtù, per quanto riguarda l’esercitarle e il desiderare quello che domandano, ma le Virtù non hanno affatto preso congedo da lei, poiché sono sempre con lei; ma in perfetta obbedienza a lei…».

La Chiesa grande e quella piccola
La parte iniziale del cammino spirituale delineato dalla Porete è improntato al più rigoroso ascetismo, in cui l’anima viene definita, nell’incriminato e splendido passo il cui incipit è «Virtù, prendo congedo da voi per sempre», addirittura “serva” delle virtù: «Ero dunque serva vostra, ora sono liberata». Il motivo del congedo dalle virtù, sperimentate fino in fondo, non è quindi un passaggio alla dissolutezza morale, ma una liberazione dall’appropriazione, dalla pretesa di avere valore e merito di fronte a Dio, per giungere a quella libertà interiore che si esprime nel superamento della Legge, nel senso paolino del termine (Rm 7; 10, 4; Gal 2, 15 ss). Si tratta del superamento di ogni dualismo (valore/disvalore, merito/colpa) nel rifiuto di ogni eccezionalità personale, morale e/o psicologica per riconoscere la presenza di Dio in tutto, in ogni cosa e in ogni creatura e non in un’azione o persona più che in un’altra.
Paradossalmente, tuttavia, Margherita conia nuove opposizioni: la più pericolosa per la sua incolumità personale e per l’accettazione della sua dottrina è quella fra “Chiesa Piccola” (la Chiesa cattolica) e “Chiesa Grande” (le anime che intraprendono il cammino dell’annientamento della propria volontà). E alla Chiesa Piccola non vengono risparmiati giudizi di una piccolezza che sconfina nella meschinità, nella viltà, nella mediocre contrattazione con Dio. Dice infatti Amore nel cap. 22: «E voialtri piccoli, che nel volere e nel desiderare prendete il cibo che vi nutre, desiderate di essere tali: perché chi può desiderare il meno, se non desidera il più, non è degno che Dio gli faccia il pur minimo bene, per la viltà del suo povero coraggio, nella quale si lascia cadere; e si vede che è sempre affamato».
L’anima appartenente alla Chiesa Grande è invece un’anima nobile, nel senso metaforico e forse anche letterale del termine. Gli storici hanno infatti ipotizzato che la Porete fosse di origine nobile, specialmente per il raffinato livello di istruzione che emerge dal testo, sicuramente riservato nel XIII secolo solo alle donne aristocratiche. Dal punto di vista spirituale, l’anima nobile non desidera “il meno”, ma mette sotto i piedi perfino l’Amore, qualsiasi affetto, anche spirituale, perché ricerca un solo superiore Amore e un solo volere: la volontà divina.
Cammino arduo, riservato a pochi, anzi pochissimi, essenzialmente laico, dato che l’anima nobile ritiene l’appartenenza a un ordine religioso uno dei tanti escamotage delle anime servili della Chiesa Piccola, per assicurarsi la salvezza e mettersi apparentemente al riparo dalle tentazioni.
L’anima nobile, invece, «dà alla Natura tutto quanto le abbisogna, senza rimorsi di coscienza».
Frase, ripetuta più volte nel testo, che ha fatto sicuramente rabbrividire teologi e inquisitori, con l’aggravante di essere scritta da una donna, dalla cui “natura” si esige soprattutto il rispetto della virtù della castità.
La condanna inquisitoriale non scatta comunque per il libertinismo etico, pur sospettato (per cui saranno condannati l’anno dopo i Fratelli del Libero Spirito), ma per le ben più gravi accuse di antinomismo (libertà dal rispetto dei precetti religiosi e/o morali) e di autodeificazione. Il superamento di Dio come alterità appartiene alla più autorevole tradizione teologica e filosofica: si pensi all’Uno plotiniano, a Dionigi Areopagita, a sant’ Agostino, e, ovviamente, al contemporaneo maestro Eckhart, la cui vicinanza al pensiero della Porete è impressionante. Per la migliore tradizione spirituale, il risultato è sempre lo stesso: trovare sé stessi, trovare l’essere, essere l’essere e, nell’essere, la gioia del presente.
Tuttavia, penso che la vera causa della morte cruenta di Margherita non sia da attribuire alle quindici proposizioni condannate dello “Specchio delle anime semplici”. Il Grande Inquisitore, il domenicano Guglielmo Humbert di Parigi non voleva la sua morte, ma la sua abiura, per la commutazione della pena in carcere a vita. La risposta della Porete nell’anno di riflessione che le viene concesso in carcere dal 1309 al 1310, mentre il grande inquisitore la attende per un confronto, è il più rigoroso silenzio. Atto linguistico performativo più eloquente delle parole: infatti la Porete pare non aver nulla da aggiungere a quanto scritto in merito alla “Chiesa Piccola” nel cap. 85 del libro: «Quest’Anima, dice Amore, è libera, ma più libera, ma liberissima, ma sovrabbondantemente libera, sia nelle sue radici sia nel tronco sia in tutti i frutti dei suoi rami. […] Ella non risponde a nessuno, se non vuole, qualora non sia del suo lignaggio. Infatti, un gentiluomo disdegnerebbe di rispondere a un villano, se lo chiamasse e lo invitasse a combattere con lui; e per questo tale Anima non trova chi la chiami: i suoi nemici non hanno risposta da lei».

Eleonora Graziani

nata a Ferrara nel 1957, è laureata in filosofia e pedagogia, fa parte della comunità filosofica femminile Diotima,
i suoi studi si concentrano sull’esperienza mistica femminile, considerata dal punto di vista filosofico.