L’arte di interrogare
Essere generativi in questa svolta d’epoca
Se non fossero anni oscuri, sanguinanti di ingiustizia a dismisura, potremmo sorridere per l’emergere di una consapevolezza epocale: è maturo il tempo per riunire trasformazione personale e trasformazione sociopolitica. La sconfitta delle utopie socialiste, tramutatesi in orribili regimi di oppressione, non cancella il desiderio di liberazione che ha accompagnato i tanti soggetti critici verso la società capitalistica e le sue storture. Oggi, più che mai, spiritualità e politica sono solidali, almeno per chi ha compreso in quale enorme transizione storica, ecologica e geopolitica ci troviamo.
L’egemonia unipolare americana, che sembrava dopo la caduta del muro di Berlino l’unica possibilità per civiltà e gruppi umani unificati (a forza) dalla globalizzazione economica, oggi è in declino. Il mondo è multipolare nei fatti, ma il blocco occidentale – che vede l’Europa al traino degli Stati Uniti senza alcun margine di autonomia – è disposto a tutto (lo stiamo vedendo almeno dal febbraio 2022) per ristabilire un ordine gerarchico che la storia sta smantellando impietosamente.
Precarietà del lavoro, precarietà esistenziale
In questo caos ci muoviamo dopo la fine di tutte le ideologie, tranne quella esiziale del neoliberismo. Il senso di frammentazione è forte, così come la paura di crollo improvviso delle nostre condizioni di vita, a lungo basate sul colonialismo e sull’imperialismo europeo e nordamericano. Di questo mi occupo perché, secondo la prospettiva di un materialismo non ingenuo né compiaciuto, sono le dinamiche storiche concrete a orientare anche le cadute e le rinascite dello Spirito. Questa fase della vita collettiva è segnata da vissuti di disorientamento, sfiducia e timore per il futuro. La precarietà del lavoro è divenuta precarietà esistenziale. Il principio di concorrenza e competizione avvelena le relazioni umane e ci spinge a rapporti strumentali con il nostro prossimo. L’uso strategico dei mass media permette poi al potere contemporaneo di minimizzare tragedie immani (penso qui alla pulizia etnica agita dallo Stato di Israele contro i palestinesi) e di ingigantirne altre per direzionare il consenso pubblico. Siamo, insomma, immersi nel rovo delle contraddizioni scatenate dalla civiltà dell’accumulazione economica a guida angloamericana, oggi al tramonto, ma armata fino ai denti e poco disposta a negoziare con gli altri attori globali.
Sbaglierebbe chi credesse che il malessere trasversale che attanaglia milioni di persone non risenta di queste concause. Va detto, infatti, che il disagio psicologico ed esistenziale dei singoli non è mai scollegato dall’atmosfera del tempo, dai rapporti di forza e di produzione.
Eccoci, dunque, a quella sensazione diffusa di essere perduti, smarriti, privi di un centro simbolico che organizzi le esperienze intorno all’asse di una loro integrazione possibile.
L’unico dio che viene onorato è quello degli eserciti e del denaro che figlia altro denaro.
Tra Gesù e Mammona, bisogna dirlo, in troppi hanno scelto Mammona. Ne consegue, sul versante intimo dei cuori, un senso di chiusura e la ricerca confusa di certezze a buon mercato. Non a caso, dalle nostre parti, sbocciano come funghi centinaia di percorsi religiosi e di consapevolezza che, riattualizzando gli esotismi New Age, offrono ai nostri contemporanei delle soluzioni di corto respiro. Così è facile naufragare in sentieri di fede “privati”, di segno individualistico, che testimoniano l’assenza di movimenti organizzati per la trasformazione sociale e un uso superficiale della parola “cura”.
Resistere è creare
La partita, qui e altrove, si gioca dentro il perimetro soffocante del sé, perché lo spazio intermedio della politica è stato desertificato. In Italia assistiamo, del resto, all’erosione bipartisan dello spirito e della lettera della Costituzione, con imponenti virate in direzione di forme autoritarie di governo (questa tendenza è stata davanti agli occhi di tutti già dal 2020, durante la traballante e controversa gestione della pandemia). Gli anticorpi per resistere a questa deriva – guerrafondaia e mercatista – vanno cercati nel punto di intersezione tra politica e spiritualità, come avevo anticipato prima. Servono anime e corpi capaci di combaciare, di co-spirare per rimettere in circolo nell’esausto circuito della democrazia contemporanea stili di vita e di partecipazione all’altezza del passaggio che stiamo vivendo. Se «resistere è creare», come ama dire Miguel Benasayag, dobbiamo chiederci quale creatività serva oggi per fronteggiare la crisi ecoclimatica, geopolitica e socioeconomica che sta travolgendo il presente. Non una creatività di facciata, funzionale alla società dello spettacolo, individualista e “decorativa”, bensì una creatività condivisa che non abbia paura di collocarsi agli antipodi della retorica neoliberista che osanna il protagonismo dei soggetti solo se monetizzabile, quindi conforme ai criteri competitivi e prestazionali del mercato. Una creatività per i legàmi, piuttosto, che li promuova e da essi sappia partire per diffondere solidarietà, resistenza (non resilienza!), comunione, rispetto delle differenze. Una creatività, mi permetto di dire, che si misuri non solo – e non tanto – su criteri di successo e performance, ma sulla generatività delle sue azioni. Una creatività, infine, che parli del divino attraverso gli umani e i loro bisogni, esercitando l’arte dell’ascolto empatico e della ricerca comune di soluzioni ai problemi.
Partire dalle domande giuste
Ma prima delle soluzioni è necessario, come insegna la filosofia, imparare a domandare in modo saggio. Qui inizia l’alternativa plurale ai dogmi del sistema della merce e dello sfruttamento, perché porre le domande giuste è un modo fondamentale per non accontentarsi delle risposte preconfezionate, provenienti dall’alto e funzionali al mantenimento dello status quo. Allora diffondiamo, soprattutto tra i giovani, il desiderio di porre interrogativi dove altri ubbidiscono, di alimentare il dialogo dove altri impongono verità “assolute” (fra l’altro inesistenti). «Perché dovrei “vincere” nella vita, se questo significa che altre persone perderanno?», «Come lavorare tutti e lavorare meno, al fine di liberarci progressivamente dal lavoro salariato per restituire alle attività umane un senso pieno?», «Cosa c’è di più divino del tendere la mano a un fratello o a una sorella che è in condizioni di difficoltà?», «Come mi fa sentire rispettare gli altri, gli ecosistemi, i ritmi naturali?», «Possiamo smetterla di cercare la perfezione e apprendere che la nostra fragilità, condivisa e affrontata con tenerezza, è il cuore della forza?». Partiamo da qui, dall’incanto della materia, da uno spirito che è gioia, lacrime e carezza.

Paolo Bartolini
Analista biografico a orientamento filosofico, saggista e formatore, i suoi lavori e la sua libera ricerca si sviluppano al crocevia tra filosofia, psicologie del profondo, critica sociale e spiritualità laica.