Le discese ardite e le risalite… della mistica

di Monica Lazzaertto

Ho sempre trovato affascinante la storia del profeta Elia, narrata nel primo libro dei Re, soprattutto la parte che narra dei momenti di paura e disperazione, dello smarrimento, della sfiducia che lo portano, per salvarsi dall’ira della regina Gezabele, a vagare disorientato nel deserto avendo perso tutti i suoi riferimenti, e a ritirarsi sfinito in una caverna del monte Oreb. Ma proprio lì e in quello stato «ecco che il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco, il sussurro di una brezza leggera. Come l’udì, Elia si coprì il volto con il mantello. Uscì e si fermò all’ingresso della caverna. Ed ecco venne a lui una voce che gli diceva: che cosa fai qui Elia?» (1Re 19,11-13).
Elia è in silenzio, stremato, confuso, la sua grande forza, la sua convinzione granitica sul suo Signore vacillano, ma quello stato di sofferenza, dove le difese sono abbassate, le sicurezze incrinate, si trasforma nel momento opportuno, impensabile e imprevedibile, momento per discernere, andare oltre: oltre le sue aspettative, gli insegnamenti, gli stereotipi, per riconoscere una inedita voce dell’Eterno che non si annuncia fragorosa e potente, ma come soffio leggero. Elia, nel silenzio, si copre il capo ed esce dalla caverna, dalla sua vita uterina, per incontrare la vita vera, il suo Dio e farne diretta esperienza in un soffio.
Parlare di esperienza mistica è inoltrarsi in sentieri davvero difficili, a volte paludosi, a volte vertiginosi perché l’umano può solo intuire quanto cercherà poi di narrare, o ri-velare il mistico, colui a cui è dato di sperimentare con tutta la sua anima e il suo essere: sentimenti, volontà, intelletto, un contatto diretto, senza mediazione, col divino. Fare esperienza è una cosa diversa da una semplice visione nozionale, intuizione intellettuale, spazio di ricerca della mente importante ma che lascia l’essere umano nel vestibolo della mistica. Fare reale esperienza del Divino, dell’Oltre, del Sacro, in una totale e spesso inattesa visione, adesione, unione è cosa indefinibile.
Se cerchiamo di recuperare il significato della parola mistica, affidandoci alla Treccani, scopriamo che si tratta di un’«esperienza interiore, attestata in tutte le forme di civiltà e soprattutto nelle varie religioni storiche (taoismo, induismo, buddismo, ebraismo, cristianesimo, islamismo), descritta come la capacità che alcuni individui hanno di cogliere un oggetto o un essere, una realtà misteriosa altra da sé, al di là delle consuete forme di conoscenza empirica o razionale: si tratta di una percezione (esperienza mistica) che il soggetto avverte come contatto con l’oggetto fino a trasfondersi, trasformarsi e identificarsi con esso».
L’origine etimologica della parola mistico deriva da una voce dotta recuperata dal latino mysticus che, a sua volta, deriva dal greco mystikós: «ciò che è relativo ai misteri, all’arcano», derivato di mýstes iniziato, da mýo: esser chiuso, tacere, chiudere gli occhi. Il mistico è dunque colui che ha avuto accesso al chiuso di un segreto, il segreto dell’accesso al divino, che ha potuto andare al di là delle possibilità della mente, accedere a un’esperienza inesprimibile di amorevole incontro e unione.
Dalla stessa pianta etimologica deriva anche mysterion, mistero appunto.
L’esperienza mistica è universale, pur non coincidendo con la religione, attraversa la cultura indiana, buddista, taoista, ebraica, musulmana, la sua narrazione è fedele al clima culturale, filosofico, storico e teologico delle diverse appartenenze e matrici. «La mistica di immanenza delle grandi religioni indiane, giapponesi, cinesi e di alcune correnti musulmane, la mistica di trascendenza del cristianesimo, dell’ebraismo e dei primi grandi Sufi dell’Islam possono sembrare opporsi l’una all’altra nel fondamento, nella via e nel fine – scrive Louis Gardet, storico delle religioni, francese – … di fatto non necessariamente si oppongono, bensì possono completarsi».
Le diverse esperienze sono risorsa inestimabile, ne vanno rispettate e riconosciute l’originalità e l’autenticità che può ulteriormente aumentare l’occasione di dialogo e confronto tra religioni e culture e di permettere così a ognuna di esse di cogliere meglio ciò che l’altra racconta di sé e potrebbe offrire.
Sebbene nella nostra cultura occidentale l’esperienza mistica sia inserita soprattutto in un orizzonte cristiano e, prima ancora, ebraico, e la sua geografia sia ricca e ispirata a simboli, allegorie, pratiche, narrazioni e immagini inevitabilmente legati al nostro contesto, alla nostra storia, alla nostra cultura e al nostro sentire, non possiamo non accogliere espressioni spirituali e mistiche di altre religioni, fiori profumati germinati tra i meridiani e i paralleli della nostra madre Terra, convinti che la grazia del Dio tre volte santo può servirsi di percorsi molto diversi da quelli che immaginiamo noi, chiusi nel nostro piccolo orizzonte spesso autoreferenziale, percorsi e insegnamenti antichi e nuovi per permettere l’ascesa dell’anima a favore di tutta la nostra umanità.

monica lazzaretto

Monica Lazzaretto

presidente di Macondo,
vive a Tramonte (Pd), lavora a Mira (Ve)
come responsabile del centro studi della Cooperativa Olivotti scs.