Indignatevi!
«Nel Paese la soglia di tolleranza è stata superata. L’indecenza di nulla tenenti che possiedono macchine di lusso, barche, jet privati, comincia a essere avvertita nell’opinione pubblica come oltraggio. Che pesa sulla coscienza e sulle tasche di ciascuno di noi. Perché significa maggiore pressione fiscale su chi le tasse le paga. Oggi esiste un consenso pubblico che, ancora fino a pochi mesi fa, non si avvertiva. È questo forse il miracolo». A parlare è il comandante del reparto operazioni della Guardia di Finanza, Bruno Buratti, all’indomani dell’ormai leggendario blitz di controlli dell’Agenzia delle Entrate a Cortina che ci ha allegramente traghettati nel 2012. Il «miracolo» è che una larga parte degli italiani – i pagatori di tasse seriali, forse per obbligo più che per virtù, ma tanto basta, i pensionandi tramortiti da Monti, gli habitué della spiaggia libera di Sottomarina e delle offerte speciali, i televotanti dei reality – cominci a considerare oltraggiosa l’evasione fiscale e quindi sia d’accordo sulla necessità di scovarla e punirla. L’oltraggio subìto è anche quello di alcuni albergatori, del sindaco stesso di Cortina, offesi dalle modalità da «Stato di polizia». Tutti risentiti, tutti scandalizzati, irritati. In altre parole, indignati. Gli uni per il fatto che alcuni sono più uguali di altri, come già ci insegnavano i maiali di Orwell, gli altri per l’uguaglianza di trattamento che discrimina (e fa scappare) i Suv, che proprio uguali agli altri evidentemente non sono. Essendo, a quanto sembra, i primi la maggioranza, la loro indignazione vince. E determina un cambiamento sociale, una «rivoluzione culturale»: si è capito che pagare (tutti) le tasse, le fa diminuire. L’Imu è stata molto persuasiva.
L’indignazione di massa è il motore della storia. Gruppi di persone esasperate e arrabbiate sono la molla delle rivoluzioni. Come notava Alexis de Tocqueville, osservando i capovolgimenti politici americani e francesi del Settecento, i rivoluzionari appartengono a quelle classi frustrate ma con un potenziale di crescita, a cui l’ordine esistente negaàprospettive di miglioramento sociale e inserimento. I giovani, per esempio. Studenti, disoccupati, indignados in prima fila in Grecia, in Spagna, a Wall Street, in Cile, ma anche in Tunisia, Egitto, Libia, Siria, Yemen, Russia. Il diritto al dissenso è compreso nell’idea stessa di libertà. La sua rivendicazione violenta, nei regimi autoritari, ha spesso come sbocco la democrazia: potere al popolo; elezioni; maggioranza come criterio numerico per l’autogoverno. Il diritto alla rivolta era già stato riconosciuto da John Locke, uno dei padri del liberalismo, nel Seicento: la «prerogativa regia» è il diritto del re di deliberare in assenza di legge, ma solo in vista del bene del popolo. Fuori da questo orizzonte i governati, tramite «appello al cielo», hanno il diritto di ribellarsi. La sollevazione è dunque per il bene comune. Anche se la scintilla dell’azione può essere un motivo personalissimo, se non abbraccia la prospettiva più ampia, trascendente, della comunità di appartenenza, è sterile. O meglio: andrà inevitabilmente a scontrarsi con altri interessi privati, in una gara senza fine. Il settimanale americano Time ha scelto come persona più influente del 2011 the protester, il contestatore che grida e abbatte i raìs. Stéphane Hessel, classe 1925, partigiano francese, deportato, diplomatico, tra gli estensori della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, aveva lanciato il suo appello in un pamphlet dell’ottobre 2010: Indignatevi! perché è l’unico antidoto all’ingiustizia. Il suo ultimo libro, un colloquio del 2011 con Gilles Vanderpooten, si intitola invece Impegnatevi!. Anche se non ci sono dittatori da spodestare, la costruzione di una società – più equa, migliore, o forse solo più viva – è un esercizio di elaborazione di idee, di relazioni e, in ultima analisi, di conoscenza di sé. È una pratica di creatività. Anche gli aumenti di fatturato del 400 per cento dei negozi di lusso di Cortina registrati in un solo giorno, l’abbiamo visto, hanno riempito le nostre conversazioni di capodanno, le nostre filippiche al bar, il nostro fervore. Basterà?