MELQUÍADES

Articolo di Andrea Gandini

Affitti brevi & Piano casa

Gli “host” (soggetti ospitanti) di immobili offerti su AirBnB in Italia sono ormai 350mila e gestiscono in media 2,1 appartamenti per ciascuno. Ma su tutte le piattaforme digitali le unità immobiliari sono già 750mila nel 2024 e in forte crescita.

Già prima della pandemia le notti prenotate erano 39 milioni e sono arrivate nel 2024 a 52,9 milioni. Hanno superato nettamente i 2,2 milioni di posti letto messi sul mercato dagli alberghi e nel 2024 sono arrivati a offrire 3,2 milioni di posti. Per i centri italiani di attrazione l’impatto è fortissimo e binario: meno spazi, meno servizi, più congestione, tempi e costi di spostamento più alti e prezzi potenzialmente più cari su molti acquisti per la parte di popolazione che non vive di turismo; più posti di lavoro, maggiori fatturati e potenzialmente piùinvestimenti per l’altra che invece di turismo vive.

L’esplosione dei ricavi delle piattaforme di ospitalità (da 2,7 a 8,8 miliardi dal 2017 al 2024, da 2,2 milioni di posti letto a 3,2 con un prezzo medio per stanza a notte salito da 111mila a 167 mila in 7 anni, con ricavi medi per “ospitante” da 11mila annui a 24mila), come ogni nuova tecnologia, ha creato vincenti e perdenti. Crea un conflitto distributivo nella società: chi guadagna 24mila euro all’anno da questa attività paga per la prima casa il 21%, cioè 1.350 euro di imposte in più di un lavoratore che percepisce la stessa cifra. Una differenza troppo piccola a favore della rendita e contro il lavoro. Inoltre ha un “effetto marginale” sugli altri affitti, di lavoratori, giovani coppie, studenti universitari, etc. perché alza gli affitti di tutti e questo spiega perché da 5 anni l’incremento degli affitti è maggiore dell’inflazione (nel 2025 +4% anziché +2%). In sostanza il messaggio al paese e che si manda ai giovani è “vivete di rendita, non studiate, nè lavorate ma guadagnate mettendo a rendita la casa ereditata”.

Nel ‘900 c’era il capitalismo classico con proletari e capitalisti. I primi vendevano solo il loro lavoro e il più ricco dei proletari guadagnava meno del più povero dei capitalisti. Nel capitalismo attuale crescono le disuguaglianze, ma c’è sempre più chi guadagna sia dal lavoro che dal capitale o dalla rendita, ha una seconda casa (sono 9 milioni in Italia) che affitta. Sono soprattutto ricchi e ceti medi ma anche lavoratori con bassi salari che affittano per sopravvivere (sono 750mila le case con affitti brevi, ma tra un po’ saranno già un milione).

Così cresce l’omoploutia (così l’ha chiamata Branko Milanovic in Capitalismo contro capitalismo), cioè lavoratori che guadagnano sia dal lavoro che dal capitale. Ecco perché il Governo Meloni, che difende i ceti più ricchi, ha difficoltà a tassare questi affitti brevi che impediscono alle giovani coppie o ai lavoratori di trovare casa. Ci sono sempre più persone che guadagnano sia dal lavoro e sia da capitale (speculano in borsa, coi bitcoin,…) o con rendite (affitti della casa). E’ un fenomeno che riguarda soprattutto i ricchi, ma coinvolge ceti medi e una crescente piccola parte di “proletari”. Ciò spiega la difficoltà ad alzare la tassa sugli affitti brevi che ora è 21% sulla prima abitazione e 26% dalla seconda in poi.

L’inchiesta giudiziaria di Milano sulla casa ha messo in luce, al di là della corruzione, quanto sia inadeguata la risposta dei Comuni al fabbisogno di casa a prezzi accessibili per le famiglie povere ed operaie. Una ricerca di Nomisma del 2022 aveva mostrato come in Italia il 43% delle famiglie fosse in debolezza sociale (con problemi di salute, disabili, lavoro precario, dipendenze, solitudine), il 28% in debolezza economica (redditi insufficienti per arrivare a fine mese) e il 12% in debolezza abitativa (redditi bassi in case inadeguate, a rischio sfratto, etc.). Negli ultimi 30 anni è cresciuto in modo enorme chi è in seria difficoltà per la casa (giovani, coppie, single separati, anziani soli, famiglie sfrattate, lavoratori di città,…), mentre è calato sia l’intervento di edilizia popolare (Erp) che quello sociale convenzionato (Ers).

La crisi finanziaria del 2008 (made in Usa) ha portato poi al fallimento di molte imprese private, con il blocco dei mutui, per cui abbiamo in molte città interi palazzi non finiti e inutilizzabili.

Negli anni ’70 la condizione di una famiglia operaia cambiava radicalmente se abitavi o meno in una grande città. Chi stava in affitto in città era in condizioni di povertà relativa per gli alti affitti o il prezzo della casa, per cui con lotte sindacali si riuscì ad accrescere il patrimonio pubblico delle case popolari ed inserire nelle paghe un contributo specifico (Gescal) che finanziava le case popolari.

Oggi per il 18% di famiglie in affitto (4,7 milioni, che salgono al 23% nelle città del Nord), il problema si è acuito sia perché sono cresciuti i prezzi degli affitti (450/500 euro al Nord nel 2024, fonte Istat) e ancor più quelli delle case e i relativi mutui (3,8 milioni pagano un mutuo, 581 euro la rata nazionale e 618 al Nord), sia i poveri (da 4,8 milioni del 2012 a 5,7 nel 2024), sia milioni di famiglie con salari più bassi del 1990 (caso unico in Europa), tra cui 4 milioni di occupati (che non fanno parte dei poveri) che guadagnano non più di mille euro al mese.

Gli affitti e i prezzi delle case crescono sia per lo sviluppo per “poli” tipico del capitalismo, sia per l’overturism nelle città (specie d’arte e universitarie). Il rischio è così che infermieri, impiegati, insegnanti, operai, conducenti di bus, etc. faticano sempre più a lavorare nelle città perché impossibilitati a pagare un affitto decente.

Nelle città della UE gli affitti sono cresciuti negli ultimi 15 anni del 18% e il prezzo delle case del 48%. I sindaci delle principali città UE hanno stimato che ci vorrebbe un piano da 300 miliardi solo per le loro città.

Nel 1990, finita la lotta contro l’URSS, si avviò un capitalismo (finanziario e globalista) che non aveva più bisogno di dimostrare che le nostre società tutelavano gli operai meglio del comunismo, per cui si abolirono gradualmente una serie di tutele tra cui il contributo Gescal (GEStione CAse Lavoratori). Si sono così azzerati i piani per le case popolari con la solita idea che ci pensa il libero mercato a risolvere tutto.

Il patrimonio pubblico delle case non cresce più e comincia ad essere in parte venduto per ristrutturare gli alloggi e una parte rimane persino sfitta perché inabitabile (in media 25-35% gli alloggi sfitti Erp), proprio mentre cresce il fabbisogno.

Per fortuna ci sono state iniziative di cooperative che hanno offerto alle giovani famiglie e anziani alloggi popolari da acquistare versando una somma iniziale e poi una sorta di mutuo-affitto mensile in modo da riscattare la casa dopo 20-30 anni riducendo l’affitto mensile da una media di 560-690 euro nel mercato libero a 420 euro. Esempi poco seguiti dai Comuni (se si esclude Bologna, Modena, Ferrara, Torino, Milano).

Poichè un quarto degli affitti nelle case popolari non viene pagato (anche per via dell’impoverimento in atto da 30 anni nelle fasce più deboli e degli immigrati che occupano il 10-25% delle case Erp), la strategia del Pubblico è quella di affidare la “grana” ai privati con accordi pubblico-privati in cui, i privati si impegnano (in cambio di oneri zero e aree a costo zero) a costruire una percentuale di alloggi popolari o a prezzo calmierato. Poiché la negoziazione è fatta tra Sindaci/assessori/funzionari e grandi imprese è facile capire quanto sia bassa (più del dovuto) la quota che finisce all’edilizia “popolare” e quanto alti siano i prezzi al mercato libero (a Milano in periferia il costo di acquisto al mq. è 4mila euro e la stanza in studentato, quando è calmierato, a 850 euro mensili).

Questi effetti sono il frutto della crescente indifferenza dei partiti, Sindaci e cittadini al bene pubblico, alla politica. La scomparsa di movimenti sindacali e civili e la crescente centralizzazione (scomparsa dei quartieri, delle comunità critiche), per cui tutto viene deciso in alto tra pochi, che è anche il modello tecnocratico attuale della UE e che piace a molti Sindaci (c’è forse qualcosa che è stato oggetto di consultazione popolare negli ultimi 25 anni?).

Si è così imposto il modello “Milano” dove il Comune mette a disposizione di imprenditori privati aree a costo zero, in cambio di una percentuale di case sia con affitti calmierati (es.: 600 euro al mese per 80 mq.) dove la percentuale della quota sociale è però irrisoria, lasciando senza entrate gli stessi Comuni.

In Emilia-Romagna, dove pure c’è l’esperienza più diffusa dii alloggi popolari, quasi il 15% degli alloggi sfitti è abbandonato e inutilizzabile, data la ‘vecchiaia’ di edifici: il 42% costruito più di 50 anni fa. C’è poi la morosità incolpevole. Famiglie povere che non riescono a pagare e che vengono sfrattate o che finiscono il periodo di locazione. Il sistema Erp pressato tra case da ristrutturare, mancanza di fondi e scarse entrate non è più in grado di svolgere la sua funzione sociale.

A Vienna, che è il caso più virtuoso in Europa, il patrimonio pubblico riguarda il 40% delle case, a Milano il 6-7%, come altrove al Nord (al Sud l’Erp non esiste). Servirebbe un grande piano nazionale (o ancor meglio europeo) coinvolgendo non le solite grandi imprese ma anche quelle piccole e medie e non profit, cooperative e negoziando prezzi e percentuali per avere città sostenibili.

Servono anche banche pubbliche e capitali pazienti che finanzino a tassi onesti (2-3%). Chissà se MPS (unica banca ad avere lo Stato, 4,86%, come azionista) che ora controlla Mediobanca e Assicurazioni Generali lo farà? Già ci sono investimenti in tal senso da parte di Cassa Depositi e Prestiti (CDP, holding pubblica finanziaria del Ministero del Tesoro) e della BEI (Banca europea degli investimenti) e il Governo ha proposto un piano da 650 milioni. Ma sono briciole rispetto a quanto si potrebbe fare.

I limiti dei nostri partiti (di chi governa, ma anche chi ha pensato un superbonus al 110% per proprietari e pure seconde case, ma anche chi nulla propone) è pari solo all’ignavia della UE. Servono 12 miliardi per 50mila alloggi e l’esperienza di Vienna e quella di cooperative come Il Castello di Ferrara sono di esempio. Comuni, Pubbliche Amministrazioni, la Confindustria stessa sono preoccupate che senza case accessibili non si trovino più lavoratori nelle città per far funzionare fabbriche e servizi. E paradossalmente l’aumento di iscritti all’Università aggrava la disponibilità di affitto per i lavoratori se si pensa che in media il 90% degli studenti fuori sede ogni anno rimangono esclusi dai posti in studentati.

In genere i Piani Regolatori dei Comuni sono obbligati dalle leggi regionali a riservare nel nuovo PUG/PRG almeno un minimo (20%) agli alloggi Ers, ma i Comuni spesso evadono questa norma prevedendo una piccola penale che evita di costruirli (il diavolo è sempre nei dettagli).

Non sarebbe ora di avviare un piano casa a buon mercato per chi vuole mettere su famiglia o solo lavorare in città? L’Italia è diventata, dopo la Germania, in rapporto agli abitanti, il maggior esportatore mondiale, ma gli incentivi potrebbero andare anche a chi è senza casa o è un problema secondario? Senza sviluppare la Domanda Interna crescono solo le disuguaglianze. E pensare che si possono fare un sacco di profitti e occupati anche sviluppando la domanda interna. Ma la UE, come i Governi, devono fare scelte: o armi o piani sociali. La terza via non esiste.

Andrea Gandini

Andrea Gandini

Economista, già docente di economia aziendale, analista del futuro sostenibile. Componente della redazione di Madrugada.