Del santissimo miracolo che fece santo Francesco

di Baldini Marco

quando convertì il ferocissimo lupo d’Agobbio

Chi scrive di sociologia e di politiche sociali troverebbe nella beata ingenuità dei fioretti di san Francesco materiale abbondante per riflettere sulle costanti degli atteggiamenti degli uomini di fronte ai fenomeni sociali attuali. Infatti la complessità esige sì strumenti di analisi e di risposta sofisticati, ma la sofisticazione, che non va alla radice dei comportamenti, che non affronta le cause, rischia di essere autoreferenzialità della scienza. Diventa analisi paralizzante o alibi per chi è chiamato ad amministrare le città dell’uomo o le sorti del pianeta; è quasi matematicamente una fregatura per chi è amministrato o subisce le conseguenze delle scelte (o non scelte) dei decisori e del pensiero degli opinion makers. Il tema della sicurezza si presta in maniera eccezionale a questo approccio. Mai come oggi il tema della sicurezza è umanamente ineludibile ed elettoralmente vincente; mai come oggi le risposte che strutturiamo per garantire la sicurezza delle città, degli anziani, dei bambini, dei popoli e delle nazioni, della vita del pianeta ottengono effetti diametralmente opposti. Siccome mi è stato chiesto di affrontare il tema della sicurezza nella prospettiva delle politiche sociali, vorrei partire proprio da lì, da quel santissimo miracolo che fece santo Francesco quando convertì il ferocissimo lupo d’Agobbio. I lettori cristiani e francescani perdoneranno l’uso non appropriato del fioretto, sicuramente scritto con altre finalità; i non cristiani o agnostici, stimolati dai frammenti, attingano alla freschezza di quelle pagine e ne escano pieni di speranza e di ispirazione per piste e metodi nuovi a garanzia della sicurezza, a cui preferisco la parola benessere.

La paura
«Al tempo che Santo Francesco dimorava nella città d’Agobbio, nel contado d’Agobbio apparì un lupo grandissimo, terribile e feroce, il quale non solamente divorava gli animali, ma eziando gli uomini; in tanto che tutti i cittadini stavano in gran paura, però che spesse volte s’appressava alla città; e tutti andavano armati quando uscivano della città, come s’eglino andassono a combattere; e con tutto ciò non si poteano difendere da lui, chi in lui si scontrava solo. E per paura di questo lupo, e’ vennero a tanto, che nessuno era ardito d’uscire fuori della terra». Parlare di sicurezza è toccare i tasti profondi dei sentimenti della persona. Una costante che è molla di vita e di morte. Per paura il nostro corpo scarica adrenalina e si dà energia e risorse per sopravvivere; di paura, soprattutto della paura dell’altro motivata o meno non fa differenza ­, si può morire. E la paura non è oggettiva: è sentimento, è analisi aberrante, è istinto, è atteggiamento manipolabile. I racconti delle ragazze vittime di tratta con cui da anni lavoriamo in Progetto Miriam mettono in evidenza la paura delle forze di pubblica sicurezza e la fiducia incondizionata negli aguzzini sfruttatori. A volte, purtroppo, abbiamo dovuto convenire con loro che, nel tragitto dal Paese di origine alle nostre strade, erano state tradite da chi la sicurezza e l’incolumità avrebbe dovuto garantire, perché per questo era ed è pagato dalla collettività. La comunità, la società ha una vita, è un corpo! Reagisce con meccanismi propri ma assimilabili a quelli del nostro organismo. E tra tutte le altre funzioni sviluppa anche le sue paure e attiva strategie di protezione. E, proprio come una persona, sottovaluta o sopravvaluta certi segnali; in certi periodi ne ascolta alcuni piuttosto che altri, può decidere di correre ai ripari con interventi antitetici sperando di ottenere il risultato sperato. Paura e sicurezza, quindi, non sono termini assoluti, ma frutto di scelte, esistenziali prima che semantiche. È decidere di cosa si ha paura ma soprattutto di come proteggersi che fa la differenza!

La compassione
«Per la qual cosa avendo compassione santo Francesco agli uomini della terra, sì volle uscire fuori a questo lupo, bene che li cittadini al tutto non gliel consigliavano». Che il nostro lupo, la fonte assolutamente certa della nostra insicurezza, sia lo straniero o la disoccupazione, la solitudine o la separazione dei genitori, la microcriminalità o le guerre planetarie, l’arabo o l’americano, la pensione bassa o un diploma debole, la riforma della sanità o l’andamento della borsa, è solo il coraggio dell’uscire là dove nessun altro osa per compassione agli uomini della terra che ci aiuterà a trovare soluzioni! Vedo solo questa come alternativa praticabile all’homo homini lupus, al mors tua vita mea. Mi raccontava oggi Luisa al telefono che ha affittato una bella villetta nella periferia di Arezzo. Un sogno, realizzato con la sua associazione, per la struttura di accoglienza a donne straniere. Il vicino si è presentato, accortosi del fatto oramai irreparabile, per manifestare tutta la sua preoccupazione. Luisa, serafica, ha risposto che anche lei aveva paura di lui, e che non si azzardasse a guardare oltre la siepe perché con certi uomini non si sa mai: potenza dell’istinto femminile! Auguro a tutti e due un bel cammino di avvicinamento, che solo la compassione e la solidarietà potranno attivare. L’alternativa sarà l’escalation di dispetti e denuncie, di impianti di difesa e minacce, di una qualità di vita che si deteriorerà irrimediabilmente.

Le politiche sociali e la prevenzione
«Ma io voglio, frate lupo, far la pace tra te e costoro, sicchè tu non gli offenda più, ed eglino ti perdonino ogni passata offesa, e né li uomini né li cani ti perseguitino più. (…) Frate lupo, poichè ti piace di fare e di tenere questa pace, io ti prometto ch’io ti farò dare le spese continuamente, mentre tu viverai, dagli uomini di questa terra, sicchè tu non patirai più fame; imperò che io so bene che per la fame tu hai fatto ogni male». Non possiamo costringere un anziano a pensare, dopo una vita di lavoro e stenti, che il suo futuro — lungo o breve che sia — sarà precario perché le pensioni fanno sballare i parametri di Maastricht. Lo uccidiamo nell’anima prima che nel corpo. Non possiamo permettere che mia figlia si spaventi la mattina quando, recandosi a scuola, vede sbucare dalla casa diroccata un moldavo sporco e stracciato senza che nessuno le spieghi che anche lui ha una bambina a casa che aspetta dal suo povero papà, umiliato a tal punto da dover dormire in una casa rotta e senza finestre, quei pochi soldi che guadagna con un lavoro in nero per poter andare a scuola e mangiare. Insulteremmo la sete di verità di una innocente. Non possiamo credere che è meglio un aspirante suicida, o un depresso cronico da mantenere a farmaci, di un “esubero” nel processo produttivo della tal fabbrica, licenziato perché altrimenti non siamo concorrenziali con i mercati delle tigri asiatiche. Saremmo dei pessimi amministratori del bene comune. Non possiamo bombardare preventivamente il dittatore tal dei tali perché forse ha armi chimiche, batteriologice e nucleari, quando chi bombarda ne ha tante da distruggere la terra venti volte e forse di più. Avremmo accettato di assumere definitivamente l’ipocrisia a criterio guida della storia. Non posso accettare che quanto ho imparato a scuola (non nelle ore di religione ma in quelle di ragioneria!), non valga più perché le regole per la scrittura di un bilancio sono diventate un optional! Cioè che puoi scrivere quello che vuoi, tanto poi si farà un condono e se la tal società fallisce sono problemi tuoi che le hai affidato il risparmio. Di quali numeri potrò essere sicuro? Solo di quelli che trovo nelle bollette, nei ticket sanitari, nelle rette degli asili nido? Non possiamo credere a chi predica pace e sicurezza ma poi mette di fatto l’altro nella condizione di attaccare o morire. Non possiamo affamare il sud del mondo con accordi e regole truccate e poi esigere che restino a casa loro e poi accogliere precariamente solo chi può mandare avanti cave e concerie e assistere amorevolmente i vecchi che noi abbandoniamo! Non c’è logica! È follia! «Io ti farò dare le spese continuamente mentre tu viverai, dagli uomini di questa terra». Questo ci suggerisce frate Francesco. Questo dobbiamo tradurre e attualizzare. Per la sicurezza ed il benessere di cui tutti dagli abitanti del Veneto ai baraccati di Nairobi abbiamo bisogno e diritto. Ma che tutti siamo chiamati a garantire, a partire dai bisogni dei più deboli, assumendo responsabilità in prima persona e nella comunità dove viviamo.

Marco Baldini
Vice presidente ACLI provinciali,
Padova