Elogio della gratuità

di Ripamonti Ennio

Per una migliore qualità della vita

«Le cose migliori della vita sono gratis»
[Anonimo]

Ho accolto con piacere la proposta di Madrugada di scrivere un breve contributo sul tema della gratuità all’interno del numero monografico dedicato al denaro.
Credo che una profonda riflessione sul tema del denaro e sulla sua pervasività nelle nostre vite sia cruciale per chi si impegna per una società migliore.
La progressiva trasformazione del denaro da mezzo a fine è forse uno dei processi che più caratterizzano la cultura delle società in cui viviamo.
Vorrei provare a offrire un punto di vista che prende in esame gli elementi più squisitamente psicosociali e culturali di questo tema. Quello che mi pare siano le criticità, nostre e altrui, da cui prendere le mosse.
Il punto di partenza di questo ragionamento è l’osservazione di un pensiero dominante, quello che il sociologo francese Serge Latouche ha definito l’utilitarismo.
Visto da questa angolatura il pensiero neoliberale in economia è profondamente intrecciato
al un pensiero unico utilitarista come chiave di lettura psicologica del comportamento umano.
Il dominio dell’economia sulla realtà sociale è indissolubile ad un assioma che vedrebbe l’interesse (prevalentemente individuale) come centro e motore del comportamento umano.
La caduta del comunismo e la vittoria globale del capitalismo sarebbero una prova non solo della superiorità economica del modello ma della sua adeguatezza alla mente umana.
Gli uomini sarebbero inevitabilmente mossi da interesse, dalla massimizzazione dell’utile personale. Nessuno farebbe niente senza interesse. Senza un “tornaconto”.
In una società fortemente “economicizzata” l’utile si è trasformato quindi, gradualmente, nella sua monetarizzazione. La logica del mercato, i suoi rituali, i suoi linguaggi, il suo apparato ideologico e organizzativo sono diventati progressivamente l’orizzonte culturale di una grande quantità di attività umane.
Il mercato del XXI secolo ha progressivamente espanso la sua capacità di trasformare in merci commercializzabili una crescente quantità di beni e servizi.
Molti autorevoli pensatori di opinioni politiche diverse (fra cui molti rappresentanti di importanti organismi internazionali come la Banca Mondiale, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’ONU e altre ancora) stanno richiamando la necessità di governare questi processi ponendo limiti e regole al mercato e alla sua tumultuosa (e pericolosa) espansione.
Nel frattempo però ognuno di noi vive. E le cose succedono. Le culture umane locali sono sempre più influenzate dai processi globali.
La visione utilitarista rischia di essere vista come una lettura del naturale comportamento umano e non come una costruzione culturale.
Da questo punto di vista è importante attivare un pensiero critico che metta in discussione alla sua radice l’infondatezza di un’idea che ci vuole far credere che l’essere umano “sta tutto dentro” una chiave di lettura economicista e utilitarista, dove il denaro la fa da sovrano. Dove il gratuito è un reperto archeologico di società sorpassate.
Questo non tanto e non solo per controbattere sul piano del modello economico. Sul tipo di società che abbiamo in mente. Semplicemente perché non è vero.
Anche se la morale dominante della nostra epoca è l’utilitarismo sono molte e variegate le forme che nelle nostre società post-moderne dimostrano l’esistenza e la vitalità di esperienze umane non riconducili a questa morale imperante.
Anche all’interno di un paradigma economicista il denaro non riesce da solo a muovere il comportamento umano. L’obbligo alla generosità, come lo chiama Alain Caillè, è ovunque: le imprese non funzionerebbe se non mobilitassero l’adesione dei dipendenti, lo Stato senza un un’etica legata al servizio pubblico sarebbe un guscio vuoto.
L’esigenza primitiva del dono sopravvive oggi in un modo più ampio di quanto non l’avessero riconosciuto gli antropologi studiando il dono nelle società tradizionali.
Gli studi antropologici di Marcel Mauss avevano individuato nella struttura dare-ricevere-ricambiare una forma di regolazione dello scambio sociale.
L’altruismo e la generosità gratuita (senza contropartita economica) sono comportamenti osservabili e non ingenue visioni di una società del passato.
In questo senso il triplice appello di Latouche alla sopravvivenza, alla resistenza e alla dissidenza rispetto al modello economico dominante attraverso comportamenti che cercano altre strade (diminuzione dei consumi, boicottaggio, microcredito, cooperazione, commercio equo, etc.) può essere visto come una sorta di ecologia della mente che ognuno di noi può realizzare nei propri contesti di vita.
Se la “campagna di reclutamento” della società utilitarista fonda sul comportamento di consumo (del superfluo, del ridondante, del sostitutivo) la sua strategia si tratta di produrre una cultura capace di smascherarla e di superarla, di produrre un pensiero critico e delle pratiche altre.
È abbastanza evidente che il circuito produzione-consumo dove il denaro la fa da padrone è una trappola mortale. È necessario immaginare che possiamo avere scambi sociali non regolati dal denaro per poterli praticare.
Iniziative come le banche del tempo, il volontariato, l’impegno ambientalista, i gruppi di auto-mutuo-aiuto, l’attività politica e sindacale, il servizio civile, le forme di cittadinanza attiva, le esperienze di vicinato solidale e di affido familiare sono soprattutto oasi relazionali in cui praticare forme di scambio sociale non dominate dal denaro. Questo non significa che siano necessariamente pacificate. Come ogni esperienza umana possiamo rintracciarvi contraddizioni, paradossi, incongruenze, conflitti e altro ancora. Ma i criteri su cui si basano e i bisogni che soddisfano vanno oltre il tornaconto economico del singolo.
Una cultura della gratuità fatta di scambi di beni e di servizi non monetizzati è assolutamente necessaria per garantirci una migliore qualità di vita.
La questione non è quindi uscire dall’economia ma limitarla. Non è demonizzare il denaro ma rifiutarci di deificarlo. Questo chiede a ognuno di noi una capacità critica che, paradossalmente, nessuno ci regala. E forse, parlando di gratuità e di cambiamento, potrebbe essere utile usare alcune frasi scritte qualche anno fa Alex Langer: «Io mi chiedo se è vero che vogliamo stare meglio, quando quotidianamente facciamo di tutto per stare peggio. Cioè facciamo una sola cosa: obbediamo ciecamente al mercato, al furore tecnico-economico che domina il mondo. Lavoriamo di più, più in fretta, più ansiosamente. Per che cosa? Già chiederselo è un miracolo, perché non c’è più tempo per chiederselo».

Alcune letture:
. Serge Latouche (a cura di), L’economia svelata, Edizioni Dedalo, Bari, 1997
. Jacques T.Godbout, Lo spirito del dono, Bollati Boringhieri, Torino, 1993
. Christoph Baker, Ozio, lentezza e nostalgia, Emi, Bologna, 2001

Ennio Ripamonti
psicosociologo e formatore,
ripamonti@metodi2000.it