Impensata nozione

di Ciampa Maurizio

«Ripensare la laicità nel XXI secolo – ha scritto Marco Politi su La Repubblica del 6 settembre 2005 – significa in realtà rifondarla».
Siamo oggi ben lontani dal rifondare e forse anche dal ripensare la nozione di laicità. I tentativi, ovviamente, sono numerosi. Le riflessioni, più o meno ponderate, si sono andate moltiplicando negli ultimi mesi. Ma la strada è difficile, perché è lunga e difficile ogni strada che si trovi ad attraversare il territorio frastagliato, cedevole, franoso, della sfera pubblica. Qual è il suo spazio? Quali sono i suoi confini? Come si muovono gli individui al suo interno? Con quali vincoli, con quali responsabilità?
È il pubblico che oggi è conteso, ed è il pubblico che oggi manca a se stesso.
Diceva il poeta Mario Luzi: «Questo tempo non ha lingua».
Mi pare sia proprio così: ci mancano le parole, i concetti, le idee. L’ esercizio dell’intelligenza pare condannato all’afasia o al balbettio, o infettato dalla semplificazione che è ben peggio.
Come possiamo arrivare a dare articolazione alla giustizia necessaria alla nostre vite? E che cosa può voler dire eguaglianza in società or-mai assuefatte al consolidamento delle diseguaglianze? Che cosa è stato e che cosa è individuo? E in che rapporto vive la religione, e le religioni, con l’insieme di queste istanze?
La società si è fatta natura, e, paradossalmente, questo accade proprio nel momento in cui la natura rivela il suo inestricabile legame con la società, che tende ad occultare i propri presupposti, tace o met-te in ombra la storicità che la innerva, guadagna una sorta di indiscussa e indiscutibile eternità.
Si stenta dunque a pensare la società. La si descrive, la si racconta, non la si pensa. E inevitabilmente impensata è la nozione di laicità – lo si diceva all’inizio di questa riflessione – nonostante il largo uso che di recente se ne è fatto. Impensata, immobile, nella tempesta che, negli ultimi quindici anni, ha investito l’Occidente, e, in esso, il nostro paese.

Liberarsi degli idoli

Ne L’Italia dei laici, Arturo Carlo Jemolo diceva che i laici sono gli uomini della ragione, quelli non vincolati da un credo partitico, intangibile come le tavole della legge, che non subiscono influenze da confessioni o partiti stranieri, che guardano sempre alla realtà, a quello che oggi è possibile ottenere.
In anni più vicini, Norberto Bobbio così sintetizzava: «Il laico è l’uomo di ragione, il credente è l’uomo di fede».
Non credo si vada lontano lungo questa strada. Ha ragione Massimo Cacciari a ricordare che «laico può essere il credente come il non credente». Non corre qui la frontiera. Possiamo cominciare a vedere l’esperienza religiosa con occhi diversi? Possiamo cominciare a sperare in un esercizio del cristianesimo che non necessariamente si sviluppi in ‘religione civile’?
«La differenza – ha scritto Enzo Bianchi – non è più fra credenti e non credenti, ma fra idolatri e antidolatri». Si tratta allora di disfare la trama idolatrica del nostro tempo, un compito enorme, si tratta di braccare i molti idoli cui ci prostriamo. Idolo può essere lo Stato – ma, oggi, decisamente in rovina -, idolo può essere anche la Chiesa, e mai come negli ultimi mesi, negli ultimi anni, questo è apparso in chiara luce. Le giornate della gioventù, Roma e Colonia, celebrate da tutti i media, come altro possono essere guardate? E anche i funerali di Giovanni Paolo II, con tutta franchezza, evocano fasto o nudità evangelica?

Idolo, naturalmente, può essere quella ragione che molti vorrebbero a fondamento della laicità.
Credo sia quasi superfluo dire che, già da tempo, la ragione è giunta al termine del suo ciclo storico. Non ha superato i conflitti e le anti-nomie del Novecento. E probabilmente anche la laicità, che dalla ragione derivava la sua forza e il suo convincimento, ha esaurito il proprio compito. Non è neppure più un’affermazione di principio, è, in qualche caso, un’istanza difensiva, o un vago costume mentale.

Interrogarsi

È possibile percorrere un’altra strada?
Mi pare che su un’altra strada si provi Pietro Barcellona nel suo recentissimo Critica della ragion laica, quando pensa alla laicità come a uno stato d’incessante interrogazione, una sorta di costante veglia, di rinnovata antidolatria. Dice Barcellona: «La mia laicità, corrisponde a sostare, il più a lungo possibile, nello spazio dell’interrogazione, rifiutando il più a lungo possibile la risposta che chiude l’interrogazione, la risposta che risolve».
Ripensare la laicità: siamo partiti da questo. L’antidolatria e l’incessante interrogazione possono essere i primi gesti da compiere per uscire dalla caverna dove ogni immagine del mondo è distorta.