Aver cura della vita

di Bonifazi Alessia

Ivo Lizzola
Aver cura della vita. Dialoghi a scuola sul vivere e sul morire,
Castelvecchi, Roma, 2021,
pp. 224, euro 19,50.

La prima impressione che si può avere, leggendo il titolo del libro di Ivo Lizzola Aver cura della vita. Dialoghi a scuola sul vivere e sul morire, rischia di essere fuorviante. A primo impatto potrebbe sembrare che l’autore voglia invitare l’essere umano ad assumere un ruolo attivo nei confronti della vita, prendendosene cura. A poco a poco invece si scopre che non è il soggetto ad avere in mano la vita, quanto piuttosto la vita che, essendo apertura, si presenta intrinsecamente come cura alla quale gli uomini e le donne hanno accesso con la loro nascita. Nella cura si entra. È la vita-cura a tenere nel proprio seno l’umanità, che dunque si scopre nella sua primaria passività.
Questa passività si tocca con mano nell’«esperienza “creaturale” del limite e del possibile riconoscimento della direzione di gratuità della e nella vita» (pag. 104). Lizzola, nel suo testo, non manca di sottolineare la centralità del concetto di limite, il quale, se accolto, porta al disvelamento della vita come dono. Gratuità della vita, perché l’essere umano la riceve inaspettatamente (senza volerlo) e immeritatamente (non per merito); gratuità nella vita, perché grembo che si apre alla novità delle nascite, come fonte dalla quale sgorga acqua sorgiva. Pare dunque evidente, all’autore così come al lettore, che la vita non va vissuta all’insegna dell’avere, del possesso, ma dell’essere, come un racconto, quello della nostra storia. «La simbolizzazione, così come il racconto di storie, sono decisivi perché organizzazioni e pratiche di cura sappiano essere luoghi vitali» (pag. 107). Percepire gli altri e percepirsi come storie diventa il primo passo per tornare a essere soggetti attivi di vita.
E diventa, quindi, anche una prima indicazione per orientare le nostre pratiche di cura, denunciate dall’autore come ormai prevalentemente afferenti a un paradigma medico-clinico, che tiene conto del paziente solo in qualità di “portatore di una certa malattia”. In possesso di una certa malattia. Sfugge così la dimensione dell’essere vita, che conduce inevitabilmente alla radicale dignità di ogni uomo e di ogni donna, anche di quelli e quelle che sembrano aver perso l’autonomia e il controllo del proprio corpo a causa della sofferenza. «Finita l’illusione di tenere in pugno il tempo e la vita […] si può sentire la sabbia sfuggire tra le dita» (pag. 200), ci ricorda l’autore. Tutto quello che credevamo nostro possesso scivolerà via, a terra, e non potremo più farlo nostro, perché si disperderà come sabbia irrimediabilmente. Il corpo giovane, la ricchezza, il successo, il potere, tutti i beni che accumuliamo si scontrano con il limite del tempo, della malattia e della morte, e ciò che ci rimarrà sarà solo, eventualmente, l’esperienza dell’essere ed essere stati vita.
Come evitare questa deriva? È qui che, secondo Lizzola, va a inserirsi il ruolo dell’educazione: «Il primo dovere della scuola è quello di sviluppare la facoltà di attenzione… ricordando agli studenti incessantemente che devono essere attenti per poter essere più tardi giusti» (pag. 21). Con le parole che Simone Weil aveva rivolto alle sue studentesse del liceo di Le Puy e di Auxerre, l’autore ELENA BUCCOLIERO vuole ripercorrere ancora una volta il movimento della vita che chiede, prima di tanto affannato attivismo, un’attenta passività in grado di cogliere le criticità e orientare la propria azione tenendo fisso lo sguardo verso la meta, che è sempre un orizzonte. Emerge, quindi, l’inadeguatezza di una scuola strabordante di contenuti, incapace di favorire le condizioni che predispongono il soggetto alla scoperta. Come direbbe E. Morin, meglio una testa ben fatta che una ben piena. L’attenzione che porta alla scoperta e alla ricerca, però, non riguarda solo l’ambito disciplinare; anzi, nelle intenzioni dell’autore si tratta piuttosto di un mettersi all’ascolto del senso, così come sottolineato anche dal rimando alla giustizia. Si tratta di una ricerca etica che muove dall’evidenza non scientifica ma vera della vita come dono, che orienta l’esistenza degli uomini e delle donne in un’ottica mai meramente retributiva. Grande attenzione viene data al tema del debito. Dal momento che siamo perché abbiamo ricevuto (siamo stati ricevuti a noi stessi), la morte non viene più sentita come «somma ingiustizia» (pag. 191) di fronte all’accumularsi dei nostri meriti. Il morire è il nostro limite, l’evidenza della nostra creaturalità, pare dire l’autore. Nulla, nemmeno un’esistenza retta e santa, può impedirci lo scontro con questo avenire. Perché la vita non segue la regola del diritto al compenso.
Perché non è possesso. Chi la intende in questo modo finisce col funzionalizzarla generando istanze di morte, che rappresentano una sfida culturale ed educativa (pag. 173). Allora, sulla scia di quanto ci indica l’autore, vi è davvero la morte, quando si fraintende la vita e si pretende di strumentalizzarla. Si tratta di un morire pur vivendo che risuona in tutta la sua violenta nettezza nelle logiche del mondo contemporaneo. La scuola, dunque, viene investita di una grande responsabilità, non solo nei confronti dei singoli, ma anche dell’umanità intera: a essa il compito di aiutare a resistere, facendosi testimone dei valori viventi, ascoltandoli e aprendo per loro lo spazio per un futuro abitabile e giusto.
Il lettore apprezzerà senza dubbio la postfazione focalizzata sul duro periodo pandemico e sugli effetti che esso ha comportato sia a livello personale che sociale; tuttavia, alla luce dei più recenti accadimenti, il nostro pensiero va anche al dramma della guerra che ha travolto l’Ucraina e l’Europa tutta lo scorso 24 febbraio.
Le parole di Lizzola risuonano così, a maggior ragione, ancora più attuali e si fanno terreno fecondo da cui far scaturire una riflessione nuova di pace, di cura, di vita.

Alessia Bonifazi ha conseguito la laurea magistrale in scienze filosofiche all’Università di Macerata.
I suoi temi di ricerca sono la teoria critica della società, l’antropologia contemporanea e la filosofia dell’educazione.
Autrice del volume Educazione e profezia. Il pensiero di Giuseppe Stoppiglia, MacondoLibri, 2021