Dopo la festa di Macondo

di Camata Alberto

A conclusione dell’esperienza della prima festa di Macondo viandante, tenutasi presso la parrocchia di Olmi di San Biagio di Callalta, ci teniamo a ringraziare coloro che vi hanno partecipato.
La giornata di ieri noi di Macondo l’abbiamo attesa con una leggera inquietudine. Abbiamo proposto di rendere la festa itinerante, consapevoli del rischio che comportava. La struttura di Bassano era collaudata, sapevamo di poter contare su un ingranaggio collaudato. Spostarci ha significato affrontare l’imprevisto; affidarci alla collaborazione di altre persone, in questo caso la parrocchia di Olmi, ha significato abbandonare la sicurezza della terraferma per affidarci al mare. Ma lo spirito di Macondo è questo: oggi abbiamo degli amici in più, ci hanno accolto, abbiamo collaborato con loro affidandoci a quel sottile filo rosso che si chiama fratellanza.

Il convegno è stato aperto dalla presidente Monica Lazzaretto, spiegando perché la festa da quest’anno si è fatta itinerante e il senso del titolo dell’incontro, diventato chiarissimo ora che la tragedia dell’alluvione dell’Emilia Romagna ci ha fatto capire che non abbiamo più tempo da perdere.
Sulla stessa traccia si è incamminato anche il presidente emerito Gaetano Farinelli, allargando la visuale alla piega innaturale, determinata dall’Occidente, che ha portato a una disarmonia tra uomo, ambiente e spirito.

Un ringraziamento ai relatori del convegno. Purtroppo la catastrofe della pioggia e dell’alluvione ha toccato anche la nostra giornata. Roberto Mancini e Roberto Papa non hanno potuto essere presenti.
Roberto Mancini ha dovuto rinunciare, ma ci ha consegnato alla saggezza e alla disponibilità di Paolo Cacciari, il quale, all’ultimo minuto ha accettato di presenziare e di aprire i lavori della giornata. Paolo Cacciari è uno dei massimi esperti in tema di Decrescita in Italia.
Il suo intervento ci ha fatto una fotografia dello stato dell’ambiente a livello mondiale, del consumo scellerato delle risorse e del territorio a opera delle comunità occidentali (ricordiamo che il 15 maggio l’Italia ha raggiunto l’overshoot, ovvero abbiamo esaurito le nostre risorse naturali disponibili che ci sarebbero servite fino a fine anno).
Con quello che consuma l’Occidente ciò che ci offre il Pianeta non è più sufficiente e purtroppo non ne abbiamo un secondo nascosto in qualche magazzino, questo implica delle scelte precise, un cambio di pensiero e di azione.

In videochiamata è poi intervenuto Roberto Papa facendoci conoscere il progetto INCREASE. Come si legge dal loro sito, «INCREASE mira alla caratterizzazione, alla gestione, alla conservazione e alla valorizzazione dell’agro-biodiversità e delle risorse genetiche»; lo scopo è quello di salvaguardare la biodiversità di alcuni legumi. Nel loro progetto, per esempio, ci sono più di 1000 varietà di fagioli europei che possono essere distribuiti a chiunque ne faccia richiesta, consentendo lo studio sul campo dei loro sviluppi, consentendo ai produttori di conoscere nuove varietà di legumi, diventando una “banca dei semi” allargata a tutta Europa e non chiusa in un laboratorio.

Quindi ha preso la parola un allevatore, Pio Lago, il quale ha raccontato la sua esperienza di agricoltore e allevatore biodinamico e dell’approccio che ha nei confronti delle vacche da latte, non viste come macchine di produzione, ma come esseri viventi capaci di emozioni. Mostrandoci le foto delle sue vacche al pascolo le chiamava “sorelle”, ci ha detto che lui non entra in stalla ma nella loro casa. Se non c’è quest’approccio di rispetto e affetto per l’animale, tutto ne risente. Non forza la produzione del latte, si accontenta di quello che lascia il vitello dopo aver consumato la sua quantità; per l’inseminazione non si affida a un veterinario, ma ha dei tori, la natura deve fare il suo corso. Descrizioni che più della tecnica traspariva l’amore per quello che fa e l’amore per l’animale.

Il convegno lo ha chiuso Filomeno Lopes, scrittore e giornalista proveniente dalla Guinea Bissau, vive a Roma. «Che cosa succederebbe se l’Africa sparisse?» Questo il suo quesito. L’occhio del consumatore occidentale e autocentrato su se stesso direbbe che sarebbe grave: abbiamo raggiunto l’overshoot, da qualche altra parte dobbiamo prendere le risorse che ci servono, l’Africa ha servito e serve a questo e non si azzardino gli Africani a protestare. Atroce quello che ho appena scritto, vero? Ma è la realtà. Filomeno con passione coinvolgente ci ha messo davanti alle nostre contraddizioni e ai drammi che vi si celano e non vogliamo vedere o li trascuriamo perché fingiamo siano di nessuna importanza, eppure stiamo parlando della vita.

Credo che l’incontro di quest’anno ci abbia consegnato una responsabilità, non possiamo dire di non sapere, ora le parole, le emozioni, devono diventare prassi, scelte personali, etiche e politiche: ognuno sia per come può, per quel che può, artefice del cambiamento.
Non abbiamo un secondo pianeta, questo ce lo dobbiamo far bastare (e ci basta), c’è bisogno di una nuova conversione.
Ci vediamo l’anno prossimo, da qualche parte; auguriamoci di ritrovarci tutti migliori rispetto a oggi.

Alberto Camata

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