Sul convegno di Macondo 2025

di Alberto Camata

La carovana itinerante di Macondo ieri è stata ospitata dalla comunità della parrocchia Sant’Antonio di Marghera, nel quartiere della Cita, la cui nomea di quartiere difficile ancora persiste nell’immaginario collettivo.

I palazzi marrone scuro che si vedono dalla tangenziale e dalla ferrovia, danno un senso di oppressione, di cupezza; quando vi son passato vicino mi hanno dato sempre la stessa impressione: un luogo costruito in modo che chi ci deve andare a vivere abbia chiaro il senso di non vita, di precarietà, di un faticoso equilibrio tra la sopravvivenza e la disperazione; quel grande architetto che li ha progettati deve avere avuto una bassissima considerazione degli operai che li avrebbero abitati: insalubri le fabbriche, tristi le dimore, una vita votata all’infelicità. La desolazione della periferia, dove sembra che niente accada (e se qualcosa accade dev’essere violento) Macondo ha imparato che non è tale, quindi siamo stati felici dell’opportunità dataci da don Nandino di sostare alla Cita.

La bella domenica primaverile ci ha permesso di vedere come anche in questo quartiere le dinamiche della Storia abbiano fatto il loro lavoro. Con la chiusura delle fabbriche e la ricerca del lavoro altrove quei palazzi sono stati occupati da altri e le finestre aperte lo hanno svelato solleticandoci il naso con odori di spezie di cucine lontane, esotiche. Le strade e i campi da gioco erano vissuti da arabi, orientali, i nuovi italiani. Se l’eco della storia della Serenissima è ancora presente nella terraferma, non dovrebbe essere difficile accettare questa evoluzione. Ma l’incontro tra i popoli, lo abbiamo imparato, è un percorso difficile, minato dalla paura.

In questo crogiolo di culture, presso il cinema Aurora, ha preso vita il nostro convegno, aperto dalla presidente Monica Lazzaretto e da Gaetano Farinelli.

Il titolo del convegno «Ti riconoscerò sul binario della stazione e ti chiamerò per nome» non poteva essere sviluppato che alla Cita: il riconoscimento dell’altro, dei popoli e della Madre Terra.

Lidia Maggi ci ha aperto alla lettura della Bibbia soffermandosi su due passi di Genesi: «Facciamo l’umano (Gen. 1,26), non è bene che sia solo (Gen. 2,18)». Grazie al lavoro di molte bibliste come lei, un testo antico come la Bibbia sta disvelando la sua forza, la sua provocante bellezza a interrogarci e a ripensare la relazione tra gli umani, con l’ambiente e con Dio. Perché il problema della Bibbia non è per come è stata scritta, ma per come è stata letta nei secoli.

Quindi Gian Andrea Franchi e Lorena Fornasir ci hanno raccontato la loro storia. Si erano trasferiti a Trieste per fare i nonni, si sono imbattuti in una giovane umanità piagata da una fuga di mesi, di fame e di botte gratuite a opera di Polizie cieche nel riconoscere l’umano. E hanno fatto la loro parte, hanno curato le ferite, hanno dato una coperta, un pasto e hanno raccolto le loro storie e i nomi di coloro che nel loro esasperato cammino verso la libertà hanno perso la vita.

Ecco che in mezzo a questi drammi non potevamo dimenticare il genocidio che si sta perpetuando a Gaza, sotto gli occhi compiaciuti di capi di governo europei spavaldamente avvolti nell’oblio e abbarbicati all’interesse economico.

Pasquale Pugliese ci ha messo in guardia sulla prepotente avanzata di un pensiero guerrafondaio, presente non solo nelle parole di governanti mediocri e incapaci, ma negli investimenti economici. Negli anni ’70 e ’80 si auspicavano le conversioni delle fabbriche belliche in fabbriche per fini civili, oggi sta accadendo il contrario, si propone ai fabbricati d’auto di costruire carri armati. L’aumento degli investimenti bellici portano alla guerra. La scuola si sta militarizzando. Per questo mondo alla deriva ci ha riproposto azioni per il disarmo.

Infine don Nandino Capovilla ha ripreso il tema della guerra israelo-palestinese, ci ha riportato le sue esperienze e le notizie che gli arrivano da quelle macerie che si chiamavano Gaza e da una popolazione che se non viene sparata è abbandonata alla fame e alla sete. Impera la disumanità organizzata, la strage pianificata dell’esercito più forte del mondo, la complice opportunistica indifferenza degli altri stati e il lavoro propagandistico di molta stampa compiacente.

Momenti di riflessione, di indignazione e di prospettiva per orizzontarci verso un mondo dove l’incontro, la relazione e il servizio devono essere alla base del nostro agire.

Alberto Camata

Il blogger meno letto d’Italia. Curatore di questo sito.