Bruxelles

di Bresolin Alessandro

Narrazioni dal centro dell’Europa

Sovrimpressioni

Rivolte in quartieri degradati simili ai ghetti descritti nel film L’odio, gigantesche speculazioni immobiliari che stravolgono il volto della città, bande di pedofili che uccidono sotto l’alta protezione della gendarmerie, immigrazione da ogni sud del mondo di fianco all’immigrazione di lusso dell’eurocrazia, malavita russa, cinese, italiana in lotta tra loro, sessantamila alloggi contaminati da amianto nel centro della città. Cronaca o finzione?
Nonostante sia capitale del continente, Bruxelles appartiene al nostro immaginario quotidiano quasi esclusivamente per le decisioni del parlamento europeo, rimanendo sconosciuta se la si intende come città con un carattere a sé stante.

Bruxelles, luogo di frontiera

Per natura luogo di frontiera tra cultura francese e fiamminga, capitale di uno stato cuscinetto senza una solida identità nazionale (il nazionalismo belga, come quello italiano, è un animale nato in provetta), a partire dal secondo dopoguerra viene caratterizzata da una forte immigrazione dal sud Europa, dallo Zaire e dal maghreb, che ha formato un ricco melting pot. La metamorfosi si è completata sul finire degli anni sessanta, quando gran parte del tessuto urbano è stato riorganizzato in funzione del suo nuovo ruolo internazionale: capitale d’Europa. A farne le spese però è stata l’identità stessa della città, centrifugata in continuazione. Di modo che se c’è un fantasma che si aggira oggi per l’Europa, questo è proprio quello della sua capitale, che vive la contraddittoria situazione di una città dinamica al limite della schizofrenia, crocevia di diverse culture, che stenta però ad elaborarne una propria.

B. in punta di penna

Analizzando le tematiche affrontate dalla narrativa prodotta a Bruxelles negli ultimi anni, si possono capire quali siano i problemi di questa “metropoli in corso”. I testi che ho scelto sono eterogenei: un romanzo noir, un fumetto di fantascienza, e un romanzo fantastico. Gli autori presi in considerazione partendo da modalità narrative diverse, riescono a mostrare al lettore la realtà nonostante nessuno di loro adotti il realismo come stile. Vox populi sostiene che i belgi, proprio perchè privi di una forte identità nazionale in un secolo segnato dal nazionalismo, non potevano che descrivere una realtà fantastica, e un fondo di verità ci deve pur essere, se si pensa alla tradizione belga che va dall’avanguardia artistica “Cobra” al surrealismo, al magico realismo, dalle tavole di Magritte ai racconti di Jan Ray per arrivare all’avanguardia fumettistica degli ultimi anni.

Un’autrice, Pascale

Pascale Fonteneau è autrice di “Les damnés de l’artére” per la serie di romanzi noir delle edizioni Baleine scritta da sole donne che ha come protagonista Cheryl, una parrucchiera. La storia dei dannati dell’arteria si snoda attorno ai misteri che si nascondono all’interno del palazzo Berlaymont, celebre costruzione a stella sede del parlamento europeo. È questo il luogo in cui converge una scapestrata gang di parrucchiere, fanatici religiosi e clochards protagonista dell’avventura, per trovare la spiegazione all’omicidio di un comune amico. Tutti gli indizi portano al palazzo e così, sfidando il fatto che l’intero edificio fosse chiuso per disinfestazione da amianto, decidono di entrarci scoprendo un vasto intrigo di corruzione per il controllo degli appalti e dei fondi di investimento che coinvolge i servizi segreti europei e il loro inevitabile braccio armato. Il tutto in una Bruxelles snaturata dalle demolizioni di vecchi quartieri popolari per lasciar spazio a nuovi edifici ultramoderni che devono accogliere gli uffici dei funzionari comunitari. Soli a lottare contro questi loschi figuri, il grottesco leader di una setta religiosa e un pensionato solitario, già presidente di comitato di un quartiere che oramai non esiste più.

Brusel, il fumetto allusivo

L’ossessione per la modernità è invece il filo conduttore di “Brusel”, fumetto che fa anch’esso parte di una serie, quella de “Les citès obscures”. La città in cui si svolgono gli eventi è una proiezione fantastica di quella reale, visto che già la parola Brusel di per sè è una finzione. Le geometrie esasperate disegnate da Schuiten si fondono alla scenografia apocalittica e nera di Peeters in una storia alla H.G. Wells ambientata tutta nel XIX° secolo, quando gli amministratori di Brusel, ispirati ad un positivismo mercantile, la volevano trasformare nella capitale delle “città oscure”. L’allusione è chiara e la critica a quella mentalità che pretende di curare malattie con scariche elettriche, imporre vino di serra e far vivere la gente in case di vetro e cemento è totale. Splendido esempio di come la fantascienza sia ancora in grado di disturbare e graffiare l’immaginario collettivo, alla sua uscita questa storia ha creato non pochi imbarazzi in città, proprio perchè zeppa di riferimenti all’attualità. Così il megalomane imprenditore edile Charly De Pauw, che negli anni 70/80 voleva dotare Bruxelles di un megacentro in stile Manhattan (obiettivo in gran parte riuscito), rivive nel personaggio di Freddy De Vrouv che come un dio postmoderno riesce a demolire e a ricostruire Brusel in pochi giorni. Ma alla fine della sua opera non raggiunge il meritato riposo domenicale,bensì una catastrofica innondazione che spazza via ogni cosa. E anche qui come nel libro della Fonteneau, ad opporsi alla follia devastatrice non c’è nessuno, se non un impaurito gruppo che si rifugia nei sotterranei della città e un fioraio malaticcio che prende coscienza della catastrofe immanente grazie a Tina, una ribelle luddista di origine italiana che passa il tempo sabotando i cervelli elettronici negli uffici pubblici e nelle ferrovie. I pochi sopravvissuti riescono a salvarsi a stento navigando con mezzi di fortuna verso nuovi lidi.

Aladdin in Brusel,
la simbologia massonica

Chiave di “Aladdin in Brusel” di Piet Joostens è invece la questione identitaria passata al distorsore in cui troviamo fiamminghi dai nomi arabi e maghrebini sostenitori della monarchia. La storia ha due riferimenti temporali: comincia con un fatto di cronaca come la morte del re Baldovino e termina con l’elemento fantastico della sua beatificazione da parte del Vaticano. Joostens si diverte a giocare con la simbologia massonica di cui la città è ricca, e divide la narrazione in tre parti come un trittico in cui i tre elementi chiave sono uno specchio, una spirale e una piazza. Aladino è il narratore, un giovane artista senza vera ispirazione che viene soccorso da una musa punk che lo confonde ancor di più. Un problema più grave però lo assilla, il suo amico Brahim è scomparso dal giorno della morte del re Baldovino e a nulla servono le ricerche nei pub e negli abituali locali notturni.
Alle sue domande sembra voler rispondere Constant Delun, vecchio filosofo dilettante e amico di Aladino che ha come obiettivo delle sue ricerche la sintesi tra metafisica e tecnologia. In un umido sotterraneo trasformato in laboratorio filosofico aveva installato trentasei cavi di altrettanti microfoni disposti in diversi quartieri seguendo una spirale immaginaria. Intersecando i diversi rumori è convinto di scoprire l’identità stessa della città, e al caso ritrovare Brahim. Ma gli eventi precipitano e Delun muore annegato nello scantinato per il cedimento delle condutture dell’acqua, mentre i buldozzer stanno spianando il parco reale, polmone verde della metropoli, per trasformarlo in una insignificante piazza illuminata in memoria del beatificato re Baldovino.

Raccontare, come “bambini cattivi”

Queste storie sono accomunate dalla tendenza a superare le barriere dei generi arrivando a una critica della realtà con uno stile più da provocazione amara che da saggio sociologico. Oggi il noir, la fantascienza e il fantastico non fanno altro che assumersi il ruolo liberatorio che di solito spettava ai bambini cattivi, cioè quello di dire senza pudori ciò che gli adulti non hanno più il coraggio neanche di pensare. Niente finti intellettualismi sulla crisi della società nè tantomeno fiducia nel progresso. La sfida sta nel riuscire a sfuggire un’omologazione forzata dell’individuo schiacciato da dinamiche politiche, economiche e tecnologiche che vanno al di là delle sue forze e della sua natura, costringendolo in scantinati dimenticati o in solitarie follie. Perchè quello che sta successo alla città potrebbe capitare anche al nostro cervello, e una volta cementificato non c’è lettino psichiatrico che tenga.