Il mondo dopo Genova

di Monini Francesco

Genova a ferro e a fuoco. Il fumo denso degli incendi e dei lacrimogeni. Il sangue che scorre. Il ragazzo morto riverso sull’asfalto, come un cane schiacciato in autostrada. La violenza di pochi teppisti di professione e il grande fiume dei manifestanti antiglobalizzazione. I pestaggi furiosi di una polizia incattivita. Le facce stolide dei grandi della Terra in posa per la foto ricordo.
Non è possibile ­ non mi è possibile ­ dimenticare Genova.
E mi vengono in mente milioni di cose. La prima, la più triste: dopo Genova, non è più lecito farsi illusioni sulla "grande famiglia umana".
Ma due mesi prima del G8 ­ scusate l’intermezzo ­ la famiglia umana, e la mia in particolare, si era ingrandita.
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Spero non siano i prodromi di un conflitto tra generazioni.
Ma no, forse è semplicemente che "far famiglia" è un mestiere difficile.
Fatto sta che Amelia, sette anni fatti a marzo, appare assolutamente destabilizzata dall’arrivo di Carlo. Giorno dell’arrivo: ventinove maggio duemilauno.
Erano anni che voleva un fratello.
Anzi, sull’argomento aveva impostato una vera e propria piattaforma rivendicativa. Con argomenti difficilmente contestabili. Perché io devo restare da sola?, perché gli zii hanno già due bambini?, perché loro sì e noi no?, perché devo avere pazienza? Forse ormai si era messa l’anima in pace: all’inizio, quando le abbiamo comunicato la gran novità, non riusciva assolutamente a crederci; poi si è messa a ballare per la cucina. Infine ci ha rilasciato una dichiarazione ufficiale, molto vera e molto onesta: «Forse sarò un po’ gelosa, ma sono strafelice».
Si è piuttosto lamentata durante la gravidanza (con ragione: nove mesi non finiscono mai!) e, dopo l’evento, del fatto che Carlo non fosse uscito dalla pancia come Pinocchio, pronto a scattar fuori dalla carrozzina per giocare con lei.
Sono passati tre mesi. Carlo mangia, dorme, fa la cacca. E, soprattutto, ride. Ride moltissimo, specialmente quando gli si avvicina Amelia. Per lei sembra nutrire una speciale passione.
Non esattamente ricambiata. Perché Amelia ha davanti un’impresa titanica, deve ricostruire tutto il suo mondo. Prima di Carlo occupava il centro esatto della scena. E ora? Per adesso, nonostante le mille rassicurazioni parentali, il fratello le ruba un bel pezzo di genitori e la costringe al rispetto di nuove fastidiosissime regole.
Insomma, Amelia ha deciso di "tenerlo a distanza". Lo frequenta il meno possibile, e quando parla di lui non lo chiama per nome, ma per grado: «Il fratello».
Le ho chiesto: «Perché non lo chiami Carlo?».
Mi ha dato una risposta ineccepibile: «Che c’è di strano? Io ti chiamo papà, chiamo mamma, quindi lui è il fratello».
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Rubo una riflessione a Beppe Sini sul dovere e la necessità per tutti di scegliere la nonviolenza.
«Questo va detto subito: che l’uccisione di un essere umano è catastrofe per cui il mondo intero si deve fermare, e considerare, in dolore e pietà.
Per dirla con Eliot: "Pulite l’aria! Sciacquate il cielo! Lavate il vento! Smurate pietra da pietra e lavatele tutte". Per noi una vita umana vale più del G8, del Genoa Social Forum, di tutti i vertici, i cortei, i mass­media del mondo».
A Genova gli Otto Grandi non hanno combinato un bel niente. Leggere per credere il timido e fumoso documento conclusivo. A Genova i black bloc ­ i gruppi di provocatori violenti ­ hanno deliberatamente trasformato la città in un campo di battaglia. Nessuno ha saputo o voluto isolarli e fermarli.
A Genova il governo italiano ha coperto azioni di polizia indegne di un paese civile. Cariche e pestaggi ingiustificati e generalizzati, blitz notturni nelle sedi del Genoa Social Forum che assomigliavano a provocazioni o a rappresaglie.
A Genova ­ sostengono alcuni amici ottimisti ­ si è definitivamente affermato un "nuovo movimento". Variegato, complesso, internazionale.
Se dopo il crollo del comunismo si coltivava il sogno di un capitalismo e di un liberismo padrone assoluto del pianeta, oggi quel sogno ­ anzi quell’incubo ­ non sembra più né attuale né vincente. D’ora in poi i padroni degli Stati, dell’economia e della finanza, dovranno fare i conti con un grande fiume in piena.
Ma a Genova ­ ha ragione Beppe Sini ­ è accaduta una catastrofe. Si è aperta una ferita nella famiglia umana che nessuno potrà rimarginare. A Genova è morto un ragazzo di vent’anni. È morto sull’asfalto Carlo Giuliani. E niente e nessuno potrà portarlo indietro.
Facciamo silenzio.
Se non sarà nonviolento, se non allontanerà da sé il seme dell’odio e della violenza, nessun nuovo movimento potrà illuminare di speranza il terzo millennio.
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Dopo Genova.
Che si fa con il vertice informale NATO in programma a Napoli? Quello, purtroppo, ci tocca ospitarlo: l’Europa ha già deciso. E poi, per fortuna, non dovrebbe dare troppo nell’occhio.
E come la mettiamo con il summit della FAO in programma a Roma ­ sede ufficiale della FAO dal 1950 ­ verso metà novembre? Il solenne impegno ­ preso due anni fa nell’ultimo summit ­ di ridurre, almeno un po’, l’emergenza fame che ogni anno semina milioni di vittime innocenti, è fallito miseramente.
Di questo e d’altro dovrebbero discutere 176 capi di governo, ministri e relative delegazioni nel prossimo vertice di novembre.
Ma perché proprio a Roma? Non sarebbe meglio spostarlo a Nairobi o a Dakar? In Africa: per essere più vicini ­ almeno geograficamente ­ ai problemi degli affamati! La proposta del governo italiano paghiamo noi le spese di trasferta, ma evitiamo il rischio di manifestazioni, contestazioni e incidenti a casa nostra ­ non è solo indecente (e indecorosa, vigliacca, cinica). È anche un po’ stupida: la FAO non è il G8. Conta molto poco (come tutte le organizzazioni internazionali, ONU in testa) ma è espressione paritetica di tutti gli stati mondiali. Non ci sarebbe insomma motivo di contestare la FAO. Piuttosto, si dovrebbero chiedere più poteri per la FAO, attualmente condizionata dai poteri forti del mondo: i Grandi Stati, le multinazionali, la Banca Mondiale, il WTO.
Ma il gioco del cerino acceso ­ e pensare che fino a qualche anno fa tutti avrebbero fatto a gara per ospitare un grande evento internazionale ­ è destinato a ripetersi a tutte le latitudini.
Il grande fiume in piena fa paura.
Una paura tanto forte, tanto profonda e irrazionale, da sconsigliare qualsiasi vetrina o passerella.
Forse in futuro i grandi del mondo si incontreranno su internet in videoconferenza. In ogni caso, il potere diventerà ancora più invisibile, sempre più simile al "Grande fratello" raccontato più di cinquant’anni fa da George Orwell.
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Mia moglie, dalla montagna, mi telefona le ultimissime della famiglia.
Le leggo il diario scritto per Madrugada. Concorda su tutto, ma precisa.
Punto uno: si chiama Carlo Luigi, non Carlo.
Punto due: negli ultimi giorni Amelia sembra più serena. Appena sveglia va a controllare Carlo. Pardon, Carlo Luigi. Lo cerca spesso, gli canta canzoni inventate appositamente per lui, lo vuole prendere in braccio.
Lui intanto cerca di fare la sua parte: si rimpinza di latte e cresce a livello esponenziale.
Un giorno non lontano si incontreranno a metà strada. Poi sanciranno un solenne patto di alleanza e cooperazione. Allora, per mamma e papà saranno dolori.