Tunisia: contraddizioni di uno sviluppo

di Bresolin Alessandro

Intervista a Egidio Crotti, rappresentante dell’Unicef a Tunisi

Frontiera sud del nostro paese, la Tunisia è un paese che sta cercando una sua strada in un contesto internazionale radicalmente cambiato dalla caduta del muro di Berlino ad oggi.
Questo perché come molti paesi in via di sviluppo, dopo l’indipendenza aveva scelto la via socialista allo sviluppo, conciliando islam e socialismo. Ma se per molti di questi il crollo dell’Urss coincise con una profonda crisi economica, sociale e istituzionale (basti pensare ai fatti d’Algeria), così non è stato per la Tunisia, tanto che secondo il rapporto annuale della fondazione americana Heritage, che stila una classifica mondiale sui paesi più liberi secondo cinquanta variabili economiche, nel 2001 la Tunisia risultava il primo tra i paesi africani. Questi risultati sembrano premiare il presidente Ben Alì, che guida il paese con una politica di sviluppo basata sul richiamo degli investitori stranieri, sul turismo, sui servizi e sulla doppia integrazione con l’Europa e con il Maghreb. Il sistema sembra funzionare, e molte fabbriche straniere ora aprono qui anziché nell’est europeo, ma se osserviamo la situazione da vicino ci si rende conto che il regime è una dittatura in cui gli oppositori politici vengono sistematicamente incarcerati, la censura governativa controlla capillarmente il sistema dell’informazione, Internet e bandisce organizzazioni indipendenti come Amnesty International e la Ligue tunisienne des droits de l’homme (Ltdh).
Una situazione che, vista dall’occidente, suscita le critiche dei movimenti per i diritti umani e gli elogi degli economisti. Entrambe le posizioni hanno del vero, così per avere un giudizio equilibrato e complessivo sul percorso che questo paese sta compiendo, sono andato a intervistare Egidio Crotti, responsabile dell’Unicef a Tunisi da cinque anni.

Il regime tunisino è sempre più messo sotto accusa per violazione dei diritti umani e mancanza di democrazia interna. Girando per il paese ci si rende conto del controllo totale del potere sulla società. Ma nel suo insieme il popolo non mostra molti segni di insofferenza, se non nelle cosiddette minoranze sensibili.

In termini di libertà civiche, politiche e di espressione senz’altro non è un paese all’avanguardia. Sicuramente non c’è indipendenza tra i poteri dello stato, giudiziario, legislativo ed esecutivo, ma diciamo che anche in alcuni stati europei su questo c’è da discutere. L’informazione è controllata, ma potremmo discutere anche se è veramente libera la stampa in occidente e chi la detiene. Democrazia vuol dire tante cose e bisogna vedere cosa si intende per democrazia. Senza fare l’avvocato del diavolo credo si dovrebbe avere uno sguardo distaccato e capire che ci sono dei tempi storici. Se guardiamo cosa si intende per diritti umani e democratici, secondo me alcuni diritti fondamentali sono rispettati in Tunisia.

Ad esempio?

La prima cosa che si nota venendo qui è che questo è un paese aperto, che cerca la sua strada nella modernità mantenendo quelle che sono le sue specificità culturali. Esistono disparità tra le classi sociali, ma non così violente come in altri paesi in via di sviluppo. Il perché, visto che si parla di un paese piccolo e povero di materie prime, sta nella sua storia di mescolanze, dal fatto che ha avuto una decolonizzazione senza guerre e una volta raggiunta l’indipendenza, bisogna dirlo, è un paese che ha fatto le sue scelte: grandi investimenti nell’istruzione e nella salute. Cose che molti ritengono normali, ma che in un paese in via di sviluppo non lo sono. Qui la scuola è obbligatoria fino a sedici anni e i bambini vanno a scuola senza distinzioni tra maschi e femmine, fatto straordinario in un paese arabo­musulmano. Le scuole ci sono anche nei villaggi più sperduti e hanno dei programmi scolastici in cui le immagini stereotipate del ruolo della donna sono state eliminate, dove si insegna tolleranza e rispetto per le culture diverse, e anche questo può essere un modo per costruire democrazia. C’è un sistema sanitario pubblico che funziona e permette ai poveri di curarsi decorosamente. Il risultato è sotto gli occhi di tutti, la mortalità infantile che all’inizio degli anni sessanta era del 200 per mille, oggi è del 30 per mille, e la vita è passata in media da 47 a 72 anni. Poi il ruolo della donna. Venendo in Tunisia uno che magari aveva delle immagini stereotipate del mondo arabo vedrà che qui vanno in giro, guidano la macchina, non hanno il velo, fumano per strada, lavorano. Questa è stata una scelta del paese, che nel 1956 ha emanato il codice di famiglia nel quale è stata bandita la poligamia e riconosciuto il diritto al divorzio della donna. La politica sul controllo delle nascite ha funzionato, e non è stata fatta come altrove con la diffusione della pillola o la sterilizzazione delle donne. Al contrario è stata il frutto di aver mandato le bambine a scuola, di averle spinte fino ad incarichi importanti. Lavoro, scuola, presenza di family planning… Poi fa bene essere critici in certe cose, andando però a vedere al di là delle critiche facili anche gli sforzi che questa gente sta compiendo, vedere da dove si è partiti e dove si sta arrivando.

L’economia si basa sull’interscambio tra turismo e investimenti stranieri, tra cui molti italiani. Funziona o ha creato dei problemi.

Un paese privo di materie prime doveva lanciarsi in qualche settore che facesse entrare moneta forte, e qui la scelta è ricaduta su un turismo di massa e non d’élite, che ha dei vantaggi nelle entrate di valuta forte, ma crea degli squilibri ecologici. L’anno scorso ci sono stati 4 milioni e mezzo di turisti, soprattutto nella costa nordorientale, con fenomeni di cementificazione di massa. Questo sistema ha creato dei problemi di fornitura d’acqua, se si pensa che un turista costa mediamente 700 litri d’acqua al giorno, non consumandoli direttamente ma con i servizi doccia, piscina, ecc.
D’altronde, quando un paese si deve sviluppare non vede certi problemi, come noi non è che abbiamo scoperto l’ecologia negli anni `50/60… e che prediche si possono fare quando siamo noi paesi sviluppati i primi contaminatori del mondo?
Numerose imprese italiane, con il regime off­shore, producono qui per l’esportazione, e conviene perché la manodopera costa meno, si è vicini all’Italia e c’è una certa regolamentazione del lavoro rispetto a paesi a sfruttamento selvaggio. Gli accordi di queste società prevedono un salario minimio sindacale, c’è una legislazione del lavoro che fa in modo che, rispetto ad altri paesi, in Tunisia il lavoro minorile sia un fenomeno quasi marginale.

Un grosso problema è costituito dalla disoccupazione, dovuta al fatto che il paese ha un’età media molto bassa, trenta/trentacinque anni circa.

Chiaro che la disoccupazione è un retaggio di questo modello di sviluppo economico. Come accennavi, qui si ha soprattutto disoccupazione giovanile, di persone che hanno studiato, di alto livello intellettuale. La sfida della Tunisia è vedere se si può guardare al di là delle proprie frontiere e vedere quali possibilità ci sono per esportare manodopera qualificata. Sono stati siglati nuovi accordi con l’Europa, che è il primo bacino, ma i tunisini hanno già delle cooperazioni con il mondo arabo, molti insegnanti, infermieri, medici vanno a lavorare nei paesi del Golfo, in Quebec… Quello che tentano di fare con i nuovi programmi di insegnamento di base e, anziché dare semplici nozioni, cercare di sviluppare delle personalità capaci di "continuare ad apprendere", permettendo ai giovani di riciclarsi, e la cosa non è facile.

Il problema della disoccupazione giovanile è strettamente connesso al fenomeno dell’emigrazione…

Il porto di Kelibia è a un tiro di schioppo dalla Sicilia, Pantelleria e Lampedusa. Da lì partono gli emigranti, ma la Tunisia è soprattutto un paese di passaggio di altre nazionalità o del Maghreb o dell’africa sub­sahariana.
Durante il governo Prodi ci sono stati degli accordi bilaterali con l’Italia, che prevedevano delle quote annue e dei requisiti tecnici ben precisi per permettere a chi veniva a lavorare di usufruire della propria formazione. Si è arrivati ad un compromesso di controllo e gli afflussi erano diminuiti.
Certo il problema dell’emigrazione è legato al tema dello sviluppo, anche da noi la gente se ne andava dal Veneto per avere prospettive, ed è legittimo che nella sponda sud del Mediterraneo ci sia la curiosità di vedere cosa succede dall’altra parte. Controllare le coste è difficile, nonostante tutti i mezzi di polizia, gli sbarchi in Puglia proseguono, quindi non si può neanche pretendere che qui in Tunisia attuino una militarizzazione delle coste. D’altronde non penso che la soluzione sarà costruire muraglie cinesi lungo il Mediterraneo, perché le muraglie prima o poi crollano o vengono abbattute.

Quali prospettive vede per la Tunisia?

Attualmente penso la si possa paragonare a un paese emergente, più che in via di sviluppo. Vista anche la sua posizione, se continuerà a svilupparsi in questo modo, potrà integrarsi all’area mediterranea­europea, in un sistema ampio e a parità di diritti