Luxo e lixo

di Tomasin Paolo e Tosi Giuseppe

Luxo e lixo (pronuncia luscio e liscio): sembra quasi uno scioglilingua nella lingua portoghese, uno scioglilingua composto da due parole che, oltre al suono, non sembrerebbero avere altra cosa in comune. Luxo significa, infatti, lusso e lixo, invece, significa spazzatura, immondizia, rifiuto. Che cosa potrebbe avere a che fare il lusso con la spazzatura, con l’immondizia?
Eppure, luxo e lixo sembrano essere due paroline strettamente interdipendenti e sulle quali bisognerebbe porre una maggiore attenzione se si volesse intendere la attuale realtà brasiliana e mondiale. L’idea di usare queste due parole per riflettere sulla situazione socio-economica brasiliana è di Cristovam Buarque (noto economista e pensatore) e si trova abbozzata in un libricino intitolato “O apartheid social no Brasil” (São Paulo, Ed. Brasiliense, 1993), che sarà tra breve pubblicato in Italia per i tipi della EMI.
Per Buarque, la società brasiliana sembra avviarsi sempre più verso una divisione sociale che vede, da un lato, coloro “che consumano il lusso” e, dall’altro , “quelli che cercano di sopravvivere nei rifiuti”. Paradossalmente, questa divisione sociale sembra incontrare un punto di contatto proprio nel lixo. I miserabili, i poveri (secondo alcune statistiche ufficiali brasiliane valutati intorno ai 32 milioni), sempre più esclusi ed emarginati da un sistema sociale privo di risorse per accontentare tutti, riescono ad avere come unico punto di contatto, con gli altri segmenti della società, gli avanzi, i resti, ciò che gli altri, dopo aver usato, buttano via. In altre parole, “quello che avanza di impieghi temporanei, quello che avanza delle immondizie delle case, dei ristoranti, dei supermercati e i resti monetari, ovvero le elemosine e le mance date a coloro che tengono d’occhio le automobili nei parcheggi, a coloro che aiutano a portare la spesa”, che puliscono i vetri delle macchine nelle strade, ecc.
Se da un lato esplode la moda dei lussuosi shopping centers (a Manaus, in piena foresta amazzonica, ne esiste uno con campi di pattinaggio sul ghiaccio), dall’altro le discariche stanno diventando i supermercati e i grandi magazzini dove i miserabili possono rifornirsi. “In tutte le città (del Brasile) centinaia di migliaia di persone vivono di immondizie”. Tempo fa è persino apparsa una notizia sui giornali che riportava di persone che si sono nutrite di resti umani ritrovati in una discarica, nei pressi di Olinda (città vicina a Recife): si trattava di resti di autopsie eseguite in un ospedale vicino.
Esiste però un pericolo molto serio: che anche questo tenue e vergognoso legame tra i miserabili e chi sta bene venga a dissolversi. “Con il tempo nemmeno le immondizie esisteranno più; il settore moderno cerca di riciclare i rifiuti… e la fonte di vita di queste persone (che vivono di resti) comincia a sparire”. “Le popolazioni marginali perdono a poco a poco questo ultimo vincolo con la modernità: l’immondizia”. E ciò non potrà che significare la “totale esclusione e morte”.

Ciò che Buarque vuole dirci, attraverso questa analisi, è che fino ad oggi abbiamo costruito le nostre società su di una “modernità tecnica” (fatta solo e sempre più di tecniche e prodotti di consumo, di qualità sempre più alta) che sembra non avere futuro (la limitatezza delle risorse e la distruzione dell’ambiente impongono orizzonti ben prossimi). Come alternativa egli ci propone una “modernità etica” i cui obiettivi sono valori (come l’uguaglianza, il benessere di tutti) e non prodotti e tecniche: lusso, rifiuto e riciclaggio.

Forse luxo e lixo non sostituiscono altre categorie di analisi, ma sarebbe interessante soffermarsi a riflettere sulla loro capacità esplicativa anche nella società italiana e nel nostro stile di vita quotidiano. Dopotutto non stiamo andando verso una società piena di prodotti che i nostri nonni avrebbero definito, senza la minima esitazione, un lusso? E il nostro lixo, al pari del luxo, non è cresciuto in questi ultimi decenni da far pensare urgentemente a varie forme di riciclaggio? Ebbene, che il futuro senza rifiuti possa significare anche un futuro senza miseria; un futuro che avrà eliminato la miseria non attraverso l’eliminazione dei miserabili, in quanto privi di rifiuti di cui nutrirsi, ma attraverso l’incorporazione dei miserabili nell’universo di chi sta bene (anche se questo dovrà significare necessariamente una riduzione del lusso).