Meninas de rua: voci di una battaglia al femminile

di Ripamonti Ennio

PERCHÈ NON PARLARE DELLE “MENINAS”

Vorremmo tentare di riprendere il discorso sul fenomeno dei “meninos de Rua” iniziato da Francesco Monini nel numero 6 di Madrugada. In quella sede Monini ha tratteggiato in maniera efficace le principali variabili sociologiche e politiche del fenomeno, le sue cause scatenanti, il suo peso nella società brasiliana, le numerose strumentalizzazioni e manipolazioni operate intorno ad esso dal governo Collor.

È nostra intenzione, in queste brevi note, cercare di offrire un’altra angolatura per l’analisi, un altro punto di osservazione, le cui coordinate sono:

  • L’attenzione alla dimensione psicologica- esistenziale del problema;
  • L’accento sulla specificità femminile. Quindi, “meninas de rua”;
  • Una visione più interna, più vicina ai vissuti ed alle esperienze delle protagoniste.

E’ difficile parlare del mondo delle “Meninas de rua”, ragazze dalla identità ibrida, incerta e paradossale che, per caso o necessità, si trovano prematuramente gettate nel mondo, bambine costrette ad essere donne: obbligate di colpo ad essere adulte, autonome, indipendenti, forti, dure.

Difficilmente le ragazze si riescono a distinguere allo sguardo, mimetizzate nei gruppi dei meninos de rua.

Sicuramente sono di meno, e i dati statistici ce lo confermano. Probabilmente non vanno oltre il 10% della popolazione complessiva di minori che vivono nelle strade brasiliane.

A questa inferiorità numerica va aggiunto un pronunciato processo di mascolinizzazione. Questo processo investe sia i tratti fisici esteriori (capelli corti, corporatura muscolosa, abbigliamento maschile) che l’insieme dei comportamenti e delle modalità di relazione sociale, generalmente caratterizzati da una determinazione e da una aggressività molto simile ai compagni maschili.

Non potendo essere maschi si diventa maschi, per necessità. Sì perchè essere maschili è meglio, consente di affrontare con maggiori possibilità la “guera das ruas” quotidiana. Per descrivere meglio dall’interno questo fenomeno vi proponiamo alcune testimonianze raccolte da Educatori di strada, e pubblicate su “SACI”, mensile a cura “Centro de Defesa da Criança e do Adolescente da Bahia” che nel numero 3 del febbraio ’92 dedicava uno spazio di approfondimento specifico sulle meninas de rua.

VOCI DALLA BATTAGLIA

Adinoia, conosciuta come Rosane, incinta. Vive nella strada da quando ne aveva nove:

“Mio padre mi ha buttato fuori casa due volte. Mi picchiava con la fibbia della cintura, ho ancora i segni sulla schiena. Lui è sergente di polizia. Il suo nome è Everaldo Brandao. L’ultima volta che l’ho visto mi ha dato dieci cruseiros e mi ha detto di arrangiarmi: Lui ha sette figli e non ha la possibilità di mantenermi. E’ quello che lui dice. L’altro marito di mia madre ha detto che o rimaneva lui o rimanevo io in casa. Vorrei avere una possibilità per tornare a casa”.

Esmeralda G.S., 12 anni:

” Io dormo per strada perché nella casa dove stavo, di una donna che mi allevava, ci sono molti topi ed io ho paura. Mia madre ha undici figli, per questo me ne sono andata da casa, per guadagnarmi da vivere da sola. Sono due anni che dipendo solo da me. Gli uomini pagano per fare qualche cosa, ed io lo faccio, ma “transo” (faccio l’amore Ndr) solo con i meninos perchè sono ancora piccola. A noi piace stare nella strada, ma veniamo sempre picchiati dalla polizia. Per questo io non “cheiro cola” ( molti ragazzi utilizzano come droga povera una colla da ciabattino che, inspirata ripetutamente dà effetti tranquillizzanti e fa estinguere i sintomi della fame, i segni della paura, il freddo etc. Ndr) perché lascia la gente molto “molle”. E se sono molle so che vado a morire presto. Loro mi ammazzano. Ed io voglio morire da vecchia. Penso che chi entra nella “malandragen” (devianza/delinquenza Ndr) non può mai vacillare”.

Maria C.C. di 17 anni:

“hanno ammazzato già due miei fidanzati e molti amici. Ho smesso di rubare perché non voglio morire”.

Clelia J.A. di 12 anni:

“La prima notte che ho dormito in strada avevo para. Mi sono accovacciata per terra vicino ad un altro menino. Quando tutto si è fatto quieto sono riuscita a dormire. Poi si è messo a piovere”.

Jussara B.N. di 14 anni:

“Io sto per la strada da quando avevo sei anni. Ho un figlio di due anni che abita a Feira de Santana: Rubo non perché mi va, ma perché ho fame e ho bisogno di mangiare”.

CARICHE DI EMOZIONE INESPRESSA

Queste brevi parole a volte laconiche e a volte crude, cariche di emozione inespressa, ci obbligano a sentire e a comprendere con maggiore profondità. Il tono duro del racconto, unito ad un realismo lucido sulla propria realtà e sul mondo circostante ci rimanda uno scenario in cui non compaiono adulti positivi ma, al contrario, un universo umano fatto di padri assenti, madri indaffarate, patrigni egoisti, madrigne sadiche in una situazione di sconfinata miseria, di violenza, di bruttezza e di aridità relazionale.

Mentre fino a soli pochi anni fa i casi di meninas di rua erano molto rari ed occupavano nei gruppi ruoli gregari e marginali, oggi si stanno diffondendo sempre più gruppi in cui le ragazze assumono funzioni sia di leadership delinquenziale sia di riferimento affettivo per i più piccoli, sostituendo i ruoli naturali delle sorelle maggiori, delle madri, delle zie etc.

Altra tendenza ormai conclamata è il fare figli con i compagni di strada. E’ un fenomeno numericamente ridotto ma che rappresenta una prospettiva tanto terribile quanto, allo stato attuale, in prevedibile sviluppo. Figli spesso partoriti nella strada e che rappresentano una generazione per cui la strada non è, come per le madri e per i padri, l’esito di una casa fallita ma bensì il punto di partenza, l’origine. In questo senso molte meninas temendo che gli vengano portati via i figli tendono a mentire, nascondendoli o spacciandoli per improbabili fratellini e sorelline o per bambini abbandonati. Il gruppo dei pari tende quindi via via a strutturarsi in una sorta di Clan familiare in cui la minoranza di meninas nel corso del tempo alterna rapporti con i ragazzi più grandi ( spesso in relazione alle leadership che cambiano) mettendo al mondo figli che vengono automaticamente adottati dal Gruppo Clan.

STATO DI GUERRA

“Batalhar” è un termine portoghese molto usato dai ceti popolari brasiliani. Indica in maniera vivida la fatica di guadagnarsi da vivere, la lotta quotidiana per il pane, il duro prezzo del lavoro. Alla normale fatica di vivere in un paese, come il Brasile, in cui i due/terzi della popolazione si arrabattono per uscire dalla povertà e non precipitare nella miseria, i meninos de rua devono aggiungere a tutto ciò la fragilità della loro età, del loro essere abbandonati a se stessi: Cuccioli braccati e perseguitati da una Polizia senza scrupoli e da invisibili e terribili “Gruppi di Sterminio” che li hanno individuati come nuovi nemici dell’ordine.

Per le meninas il passaggio è ulteriore, e riguarda tutte le difficoltà aggiuntive di vivere nella strada ed essere donne. Oggetti di interesse sessuale da un lato e potenziale bersaglio di una violenza tanto brutale quanto facile dall’altro.

La fragilità, la debolezza e la sensibilità vanno rimosse o dissimulate. La propria identità sessuale, la propria femminilità arriva a configurarsi come un ulteriore elemento di rischio, come un pericolo.

Il “Batalhar” per questi cuccioli abbandonati non è una metafora della vita. La battaglia è reale: fatta di nemici armati che assediano da fronti apparentemente contrapposti (Polizia e Gruppi di sterminio) ma sovente sovrapposti. Il vissuto prevalente è paragonabile allo stato di guerra permanente. Alcuni psicologi che collaborano a progetti educativi di Organizzazione non Governative brasiliane hanno incontrato nei colloqui con le meninas de rua vissuti di panico e esperienze di terrore (militare) sperimentabili solo, da adulti, in contesti di guerra, di guerriglia o di guerra civile.

Ogni notte si può essere stanati e uccisi da un nemico oscuro, senza volto, spietato e anonimo. Di lui si sa poco o nulla: molto probabilmente è un adulto, sicuramente è un uomo.