Riforma agraria, unica via praticabile

di Turcotte Franí§ois

I soliti nodi (irrisolti)

Non è certo una novità, non stiamo scoprendo proprio niente di originale se mettiamo ancora una volta l’indice sull’abbandono massiccio e forzato delle campagne, come radice di gran parte dei problemi sociali del Brasile.

Il fatto è che non vi sono segni importanti della volontà di intervenire, si concedono palliativi ma non si affronta di petto la questione; le resistenze sono enormi e le decisioni politiche troppo caute e limitate.

Mentre le periferie delle grandi città esplodono, il governo brasiliano può vantare che alcuni degli indicatori dell’economia nazionale sono positivi, che l’inflazione è vinta e il real stabile, e che quindi, con un po’ di pazienza, anche i problemi sociali più scottanti si risolveranno.

Però il tema della riforma agraria sembra ormai entrato più in profondità anche nell’opinione pubblica e nella percezione della classe media, se è vero che tale questione è apparsa per mesi anche nella telenovela di maggiore ascolto, Rei do gado (re del bestiame).

Proviamo quindi a ricostruire, in maniera sintetica e sommaria, un quadro di riferimento accessibile a chi si accosti al problema senza avere specifiche conoscenze.

Una premessa necessaria

Se si vogliono comprendere e far comprendere le cause prossime del sottosviluppo e della drammatica misera che coinvolge milioni e milioni di persone, ammassate nelle periferie delle metropoli in condizioni sub-umane, bisogna partire proprio da qui: l’abbandono della terra da parte delle famiglie contadine e l’esodo di massa verso le città.

I motivi di tale abbandono, nel corso degli ultimi trent’anni, sono stati molteplici: difficoltà dovute ad avverse condizioni climatiche (gelate nel Sud del Brasile e siccità nel Nord- est), meccanizzazione agricola che favorisce la grande proprietà, necessità della grande proprietà di estendere le aree per gli allevamenti e le coltivazioni di soia (il cui prodotto è destinato all’esportazione e non al consumo interno), oppure semplicemente investimenti nella terra di tipo speculativo, lasciandola poi improduttiva: milioni di ettari restano così inutilizzati. Non di rado l’espulsione del contadino-piccolo proprietario dalla campagna deriva da ricatti e violenze più o meno espliciti, o da pretesti giuridici come la mancanza di documenti di proprietà formalmente in regola, che diventa motivo per espropri ottenuti dai grandi fazendeiros, grazie alla corruzione delle autorità. Il paradosso che si crea è quello di un paese ricco di risorse e di terra improduttiva mentre milioni di persone non hanno i mezzi per provvedere al proprio sostentamento.

Impatto con la città:

il degrado

La sorte che tocca alle famiglie rurali che arrivano in città ci è ben nota; sono le squallide periferie delle metropoli, con le loro favelas dove la gente vive in condizioni allucinanti: sovraffollamento, spesso mancanza di acqua corrente e luce, condizioni igieniche spaventose, servizi sanitari carenti o inesistenti, violenza, disgregazione familiare, ecc. Il sogno della città, con il suo fascino di modernità e le sue attrattive, si rivela ben presto un’amara illusione.

Negli ultimi anni, molti servizi televisivi hanno portato alla ribalta anche da noi il dramma dei meninos de rua, bambini e ragazzi abbandonati, che vivono per le strade delle città e non di rado sono vittime degli squadroni della morte, prezzolati per eliminare questa presenza fastidiosa e sgradevole. Ci sono state, in Europa e altrove, legittime reazioni di sdegno a tali avvenimenti, ma occorre non perdere di vista che questo problema non è altro che l’ultimo anello di una catena, che comincia proprio dall’impoverimento e dalla disgregazione delle famiglie che si ammassano nelle città, abbandonando la campagna.

Le luci oltre la disperazione

Come invertire questa tendenza, che pare destinata ad aggravare sempre più le condizioni di vita della popolazione povera? L’unica strada praticabile è quella di una incisiva e profonda riforma agraria, che conceda appezzamenti di terra per l’autosussistenza ai contadini che non possiedono terra. Il grande scandalo è che buona parte delle terre possedute dai grandi latifondisti restano incolte, mentre milioni di brasiliani mancano ancora di un’alimentazione sufficiente. Per quanto tempo può continuare una simile situazione senza esplodere?

Il tema della riforma agraria è da decenni all’ordine del giorno in Brasile, e richiederebbe un indirizzo politico netto per una sua effettiva attuazione; è chiaro però che le resistenze dei fazendeiros sono enormi e che essi non hanno scrupoli nel fare ricorso a uomini armati per opporvisi, anche se per legge le terre incolte devono essere restituite allo Stato.

La CPT e la lotta

dei Sem-Terra

La CPT (Commissione Pastorale per la Terra), emanazione della Chiesa brasiliana, è impegnata da molti anni sulla problematica della terra, particolarmente in favore della Riforma agraria. Il lavoro della CPT è articolato e complesso, riguardando l’informazione sul problema, la denuncia di abusi ed episodi di violenza, la sensibilizzazione e il sostegno alle lotte contadine. Da alcuni anni, poi, in molti Stati del Brasile questo lavoro trova uno sbocco nelle cosiddette Romarias da terra, cioè i pellegrinaggi della terra, manifestazioni pubbliche che si allacciano alla tradizione religiosa del mondo contadino, per porre diritto alla sussistenza sulla base dei più elementari principi di giustizia sociale e di solidarietà cristiana.

Su una linea più radicale appare il Movimento dei Sem-Terra (Senza Terra), che organizza famiglie contadine che lottano per ottenerla. Il Movimento dei Senza Terra (MST), realtà ormai nota anche a livello internazionale, nasce dalla volontà di esercitare per sé e per la propria famiglia.

Gli sbocchi di una

lotta giusta

Le forme di lotta sono varie: manifestazioni pubbliche, divulgazione, mostre per sensibilizzare sul problema. Ma la modalità più diretta di intervento è quella degli assentamentos: alcune centinai di famiglie, con donne e bambini, occupano un’area incolta e vi si insediano, incominciando a coltivarla. Comincia così una vita precaria (di solito le famiglie vivono in tende e mancano praticamente di tutto), fatta però di tenacia e solidarietà tra le famiglie, che si organizzano per provvedere ai servizi più essenziali.

Talvolta la conclusione è positiva: la polizia interviene, ma si apre un negoziato con le autorità, che può approdare ad un’accettazione del fatto compiuto e quindi all’assegnazione anche formale ai contadini delle aree occupate. Altre volte invece l’esito è drammatico: i latifondisti fanno intervenire i loro pistoleros privati e si arriva a scontri armati, oppure la stessa Polizia Militare riceve l’ordine di intervenire violentemente per scacciare gli occupanti. Quest’ultimo caso si è verificato a Eldorado dos Carajàs (nello stato del Parà) il 17 aprile 1996: i poliziotti hanno aperto il fuoco sui contadini che avevano occupato un mese prima alcuni terreni incolti di una grande fazenda. Le vittime sono state 19: su questo episodio è già intervenuto Enzo Demarchi (Madrugada 28) con una riflessione esemplare.

Concludendo

Appare sempre più necessario che si attui un’ampia mobilitazione dell’opinione pubblica, sia brasiliana che internazionale, affinché episodi come questo non restino impuniti, e la riforma agraria possa procedere rapidamente.

Del resto le stesse autorità di governo dovrebbero avere un interesse primario nel favorire un allentamento delle tensioni sociali, che certo non giovano all’immagine esterna del paese. Può davvero un paese come il Brasile pensare di intraprendere una propria via verso la modernizzazione e la crescita economica, come sta già accadendo in numerosi settori, lasciando nell’indigenza e nell’abbandono decine di milioni di suoi cittadini?