Fuori controllo

di Heymat

I corpi nei film porno

Una volta ho partecipato a un esperimento psicologico. Davanti a un computer, dovevo premere un tasto ogni qualvolta avessi riconosciuto delle persone nella serie di immagini che mi venivano mostrate a grande velocità. Per ogni persona un clic. Le foto erano le più diverse: interni familiari, sport, vita pubblica, ma anche guerre, disastri con morti e feriti, scene di sesso. Non c’era tempo per pensare, per analizzare. La rapidità con cui le foto si susseguivano era troppo elevata. Bisognava affidarsi ai nervi, agire d’istinto. Alla fine mi avrebbero pagato, era l’unico motivo per cui lo facevo. Non c’erano promossi o bocciati, solo un insieme di casi da cui poi chi conduceva l’esperimento avrebbe dovuto trarre le dovute conclusioni. L’obiettivo, l’ipostesi di partenza, era quella di dimostrare come il nostro occhio (la nostra mente), d’istinto, non riesce a riconoscere come umani i corpi mutilati o morti o nudi e coinvolti in amplessi. Non so se la prova sia riuscita a suffragare la supposizione iniziale. Per me non aveva importanza. E non ci ho più pensato, finché non ho letto il libro di Simone Regazzoni: Pornosofia – filosofia del pop porno.

L’autore, 36 anni, genovese, filosofo, ricercatore e docente, ha voluto analizzare da un punto di vista filosofico il fenomeno dei film pornografici per il consumo di massa: il porno prodotto all’interno della cultura popolare (pop). La tesi finale del libro rimanda alle premesse del mio esperimento psicologico. Nella messa in scena del godimento sessuale, cioè nella fiction di un atto reale (l’orgasmo), i corpi non sono più persone, ma ammassi di carne che perdono la propria normale organizzazione diurna (a cominciare dalla postura): vengono trasfigurati da un processo di «decostruzione del soggetto personale». Perdono cioè il proprio status di soggetto, sono persone senza volto – per dirla con il filosofo Emmanuel Lévinas, uno dei punti di riferimento dell’analisi di Regazzoni – rappresentazioni al di là dell’etica (fatta scaturire dalla risposta davanti al volto dell’altro) che si pongono al grado zero dell’umanità: «L’animalità al di là del volto è precisamente la faccia in cui si incarna il godimento», scrive Regazzoni, il quale sottolinea come questa interpretazione non avvalli la lettura del porno come una pratica di oggettificazione, ossia della trasformazione delle persone (che lo fanno, in primis) in cose, sottomesse a un soggetto esterno. Il godimento rivela l’essere animale dell’uomo, lo proietta al di fuori di ogni struttura, sociale, culturale, morale, politica. Lo mostra per quello che è. Un essere che segue l’istinto. Tuttavia viviamo all’interno di una convenzione, una costruzione. L’ordine stesso con cui interpretiamo e riconosciamo l’ambiente esterno, ad esempio, per cui la mente sotto pressione non riesce a riconoscere corpi disgregati o disorganizzati, corpi che non mantengano la forma con cui abitualmente abbiamo a che fare: è il caso del mio esperimento psicologico. L’ordine sociale è un’altra costruzione, che non ammette troppe manifestazioni di animalità. Non per niente la legge del più forte è bandita. Il sesso e le sue rappresentazioni mettono letteralmente a nudo questo stato di natura. E sono oggetto di condanna, scandalo, turbamento. Tutto quello che ci sconvolge viene mitigato, nella società. I film più emotivamente sconvolgenti (o coinvolgenti), scrive Regazzoni, «proprio per la loro forza di penetrazione nella carne dello spettatore – vengono collocati al livello più basso nella gerarchia culturale: mélo, horror, porno». E cita il passo di una studiosa di genere, Linda Williams: «La disinvoltura con cui questi generi fanno scorrere liquidi corporei (lacrime, sangue, sudore, sperma) li rende sospetti sia culturalmente sia per la censura, poiché essi infrangono la regola fondamentale dell’estetica moderna, ossia la distanza tra osservatore e soggetto». Senza contare il dominio del dualismo corpo-anima che a partire da Platone e attraverso la lettura cristiana ci ha insegnato che l’essenziale è invisibile agli occhi, e che il basso ventre è una cattiva guida, per niente spirituale.

Regazzoni chiama la fruizione del porno una «visione incarnata»: la carne a essere sollecitata non è solo quella su schermo, ma è la nostra. Il porno parla di noi e del nostro corpo, del nostro desiderio. Come l’arte, quella che più ci disturba. E forse anche come la violenza, il dolore, la pazzia. Sono tutte variabili della nostra animalità, del nostro essere uomini al grado zero, fuori controllo.