Marija di Srebrenica e l’occhio che pare cavato

di Cardini Egidio

Vincere il nemico con lo sguardo

La conoscono tutti. Nessuno sa come si chiama, ma la conoscono tutti.

La chiamerò Marija di Srebrenica perché Srebrenica è sinonimo di ingiustizia atroce e vincente e Marija, alla slava, è sinonimo del peso che una donna rom deve portare per il solo fatto di essere donna. Le donne rom hanno una strana similitudine con la madre di Gesù Cristo. Partoriscono giovani e si trovani pesi straordinariamente duri da portare.

Alterna le sue giornate dal cancello del cimitero civico all’ingresso del supermercato della Coop, come un’automobile ai parcheggi riservati ai giorni pari e dispari. Oggi qui e domani là, dopodomani di nuovo qua e poi ancora là. Fa tenerezza. Sarà per via del fatto che è sempre incinta e che non sa mai come trattare il bimbo. Una volta lo copre pesantemente quando fa caldo e un’altra lo spoglia al freddo. Le bimbe-madri hanno un’ingenuità quasi teatrale, sommerse dalla loro maternità innaturale. Perché non è naturale avere bimbi quando si è adolescenti e lo è ancora di meno averne uno dopo l’altro come se fossero pesi insopportabili da sballottare per il mondo.

Una volta una signora la insultava dandole l’elemosina. Il veleno le usciva dalla bocca e il senso di colpa le passava dalla mano.

Io invece la saluto come se fosse una principessa: «Buon giorno». E via senza darle il becco di un centesimo. Ho visto molti allungarle qualcosa, perché Marija ha la straordinaria capacità di vincere il nemico con lo sguardo, con la sua posizione da seduta, con il suo saluto sussurrato e gentile, con il suo occhio apparentemente cavato.

Quell’occhio inquieta. Sarà presumibilmente un difetto dalla nascita, ma da lontano pare proprio il risultato di una coltellata in faccia. Allora per tutti ormai Marija è la zingara con l’occhio sifolo. Sorride, chiede adagio adagio e ormai, lentamente, come appartiene al suo stile, regala un’impressione chiarissima. Sta vincendo silenziosamente le resistenze xenofobe e razziste della gente.

Il bimbo più grande una volta chiedeva l’elemosina tra le auto parcheggiate. «Non ci vai a scuola?» – «Domani».

Risposta così tanto carioca. Risposta da bimbo di strada di Rio de Janeiro. Loro vanno sempre a scuola domani.

Il secondo bimbo adesso è scomparso. Già grandicello, tra qualche tempo sarà addestrato anche lui a mendicare e sarà allontanato dalla madre come gli animali della foresta, che dopo qualche tempo imparano a cavarsela da soli. Sarà figlio del campo, della tribù, in un certo senso sarà figlio della sua comunità.

Marija non appartiene a sé stessa

Il terzo bimbo sta arrivando. Marija di Srebrenica lo porta con sé con un’enigmatica e invisibile forza interiore. Chissà come è stato concepito, chissà con quante botte, chissà tra quale violenza.

Una volta Marija aveva un occhio nero e la gente ha capito. L’occhio nero su una zingara giovane è una firma. È la Z di Zorro. Che nessuno lo dimentichi. Marija di Srebrenica non appartiene a sé stessa. Appartiene e basta. Quell’occhio nero è il timbro di proprietà, è l’atto notarile di un possesso, è un segno incancellabile di potere altrui.

Fa tenerezza. Questa è davvero la sua contraddizione vivente. Una zingara non può fare tenerezza; tutt’al più mette paura o rabbia o suscita avversione, ma tenerezza no. Eppure, in questa sua suadente dolcezza c’è una sorta di sfida misteriosa all’ottusità del presente, un’azione meravigliosa di reazione alla prevenzione e all’arroganza. Marija di Srebrenica è vittima due volte: la prima del campo che la massacra fisicamente e la seconda della città che la massacra sulla porta del cimitero o del supermercato. Eppure ne viene fuori.

Rifiutare a priori

Nella città che l’ha adottata hanno emesso un’ordinanza leggendaria. In tutto il territorio comunale è vietato stabilire campi di nomadi. Sai che fantasia…

Probabilmente, se fossi stato sindaco, sarei stato tentato di fare la stessa cosa, magari con più garbo e meno brutalità, come facciamo noi di centro-sinistra, ma temo che non mi sarei sottratto a questa responsabilità ipocrita, falsa e bugiarda.

C’è soltanto un dettaglio patetico. In quella città non si insediano nomadi da decenni e quindi questa è stata un’ordinanza all’aria, all’ombra, allo scheletro di sé stessi. È stata un colpo di spada al vento, una testimonianza dell’ossessione ipocrita per l’altro e per il diverso, un inno alla paura.

È stato come dire: «Voi rom adesso non ci siete, ma se per caso arrivaste…». Insomma, ormai si rifiuta preventivamente e a priori. Si rifiuta coniugando i verbi al futuro eventuale.

Marija di Srebrenica queste cose non le sa. Lei porta in grembo bimbi, prepara generazioni di reietti, prende botte e raccoglie monete da parecchi cialtroni.

«È per il bambino che ha» – ha detto una volta uno. È invece per una coscienza sporca che non si riesce a pulire o che si crede di pulire in questo modo. Intanto Marija di Srebrenica con quelle monete scava un abisso profondo tra sé stessa e le botte che forse, per quella moneta, non prenderà.

Non so affrontare Marija diversamente dalla cortesia borghese che mi fa dire a lei quasi ogni giorno soltanto «Buon giorno». A volte penso che, se fossi stato sindaco della città, invece avrei emesso l’ordinanza più poetica nella storia della Repubblica: «È fatto divieto ai residenti, ai domiciliati e a chi si trova in transito sul territorio comunale di essere poveri. Ogni atto di mendicità sarà punito con lavori pesanti sotto il sole o la neve, a servizio dell’istituzione comunale, per mesi sei senza retribuzione. Tale responsabilità sarà a carico di chi avrà un reddito individuale annuo superiore a Euro 30.000. Il servizio sociale di base assumerà invece l’onere e l’onore di prendere in braccio tutte le vittime di questo sistema di morte».

Maria, a modo suo, vince adagio adagio

I mendicanti vanno strappati a viva forza dall’asfalto e dalla polvere, vanno messi in piedi con le unghie e con gli occhi spalancati per l’ira e per l’indignazione.

Ora tutti pensano di bruciare ogni traccia del povero e nessuno pensa di stroncare la sua povertà. Marija merita di conoscere un mondo diverso. Quell’occhio che pare cavato e quel bimbo che perennemente le dorme in braccio non devono più suscitare compassione.

Non ho compassione di Marija. Le dico «Buon giorno» perché, da borghese socialdemocratico quale sono, per me Marija è una signora a cui dare del Lei con garbo e rispetto e non invece cinquanta centesimi al giorno o alla settimana perché seduta sul cancello del cimitero civico con un neonato in braccio.

Qualcuno si è forse chiesto chi mai fosse quel verme che le ha provocato un occhio nero e perché lo ha fatto? Qualcuno ha mai pensato di rimuovere le cause che fanno di Marija un forno che produce bimbi come il pane? Qualcuno si è forse domandato perché Marija passi la sua vita seduta per terra a mendicare e ad arricchire altri?

Intanto Marija di Srebrenica, a modo suo, vince adagio adagio. Sorride con il suo occhio che pare cavato e parla a voce bassissima. Non dice quasi mai «Che Dio benedica la tua famiglia», come dicono spesso i professionisti dell’elemosina. Questo mi fa piacere perché Dio non deve benedire adesso la mia famiglia.

Dio deve scrivere quell’ordinanza sindacale: «È fatto divieto di essere poveri…».

Domani magari ci rivedremo e lei non mi riconoscerà. Non aspettatevi da me qualcosa di più di quel borghese e socialdemocratico «Buon giorno». Non le darò niente, come sempre, perché io mi rifiuto di dare un riconoscimento diplomatico alla miseria.

Stanotte piove a dirotto, a casa mia come al campo. Un bacio nascosto a te, Marija. Che Dio benedica la tua, di famiglia.