Pandemia in America Latina

di Gonzalez Magnasco Malena, Farias Adriana, Furlan Mauro, Beltramello Chiara

Argentina
La notte del 19 marzo il presidente dell’Argentina, Alberto Fernández, ha annunciato l’inizio della quarantena obbligatoria. Dalle 00:00 del giorno successivo il paese sarebbe stato accomunato da un unico imperativo: rimanere a casa.
Mascherine, gelatina di alcool, candeggina, isolamento, distanza sociale, covid-19, tasso di contagio giornaliero, da marzo 2020 sono diventate parole di tutti i giorni. Dal primo caso rilevato in Argentina, il 3 marzo, fino all’inizio di luglio sono stati confermati 77.802 casi, 1.507 morti e 27.584 guariti.
L’Argentina, con un governo che si era insediato appena tre mesi prima, ha implementato diverse misure di isolamento sanitario e sociale, che sono state divise in tre fasi nel tempo e sul territorio nazionale. La quarantena e altre misure sanitarie hanno reso possibile un basso tasso di mortalità, con 28 decessi per milione di abitanti al 30 giugno, un risultato comparativamente migliore rispetto ad altri paesi sudamericani, con esempi tragici come il Brasile e il Perù.
Uno dei principali obiettivi all’inizio della quarantena è stato quello di rafforzare il Ministero della Sanità nazionale, un’istituzione che il precedente governo dell’ultra conservatore Mauricio Macri aveva declassato; aggiungendo negli ospedali attrezzature per affrontare questa pandemia, attraverso l’acquisto di forniture sanitarie.
Le misure sanitarie e sociali di distanziamento, preventive e obbligatorie, sono state accompagnate da misure economiche di sostegno da parte dello Stato come le retribuzioni dei lavoratori e il reddito familiare di emergenza (Ingreso Familiar de Emergencia – IFE) per i settori più vulnerabili e l’economia informale.
Nel campo dell’istruzione, la maggior parte delle università pubbliche ha implementato strategie che includevano la didattica a distanza, un’attività che è stata applicata anche ad altri livelli educativi.
La pandemia e l’isolamento sociale hanno rivelato grandi disuguaglianze come quelle di genere. I compiti delle cure e della casa si sono intensificati e nella maggior parte dei casi di questo si occupano le donne.
Per molte donne, isolamento significava condividere lo spazio di convivenza con i propri aggressori. Di tutti i crimini esistenti, gli unici rimasti (e aumentati) dall’inizio della quarantena: sono stati i femminicidi.
Come ha scritto Albert Camus, la cosa peggiore delle piaghe non è quella che uccide i corpi, ma quella che spoglia le anime e questo spettacolo è spesso terrificante. Qui in Argentina ci sono gruppi chiamati anti-quarantena; sono quelli che esprimono il loro odio nelle marce, che chiedono di essere ‘liberi’, esponendosi al contagio senza pensare al danno che possono causare.
Ma abbiamo anche persone meravigliose come gli operatori sanitari, che sono dalla parte della vita: questo è il luogo che noi scegliamo di abitare.

Malena Gonzalez Magnasco
dottore in scienze politiche e docente universitaria
Adriana Farias
dottore in psicopedagogia, formazione in Arte Terapia, docente universitaria, coordinatrice di specializzazione nella UNA (università nazionale delle arti)

Brasile
Leggere il Brasile a metà dell’anno 2020 è veramente un’impresa. In piena emergenza sanitaria da covid-19 emergono tutte le difficoltà che si sono concentrate in questo paese come in una tempesta perfetta che evidenzia un tempo di grandi cambiamenti, ma quello che si vede è una crisi multipla: sociale, politica, istituzionale, economica e come bubbone la crisi sanitaria. Ciascuna di queste crisi meriterebbe un’analisi profonda.
La crisi sociale mostra tutta la sua virulenza con l’elezione di Bolsonaro (2018) e rivela un Brasile spaccato a metà, dove la maggioranza dà la colpa al PT e a Lula della situazione economica disastrosa e un sistema di corruzione in cui il Brasile si trova, e concentra in Bolsonaro tutta la voglia di cambiamento. In questo anno e mezzo è emerso il nocciolo duro di una classe sociale che ha una prospettiva conservatrice, con un’ideologia di meritocrazia che flirta con il fascismo, con una visione liberale e capitalista e opta per la repressione e la violenza come soluzione delle disuguaglianze sociali. Al fallimento del riformismo debole del PT ha reagito una visione neoliberale di riduzione della presenza dello Stato e una gestione tecnica della politica e questo con la scusa di eliminare la corruzione sistemica.
La grave crisi politica viene dalla destituzione di Dilma Rousseff (2016) e mostra un paese che ancora non è riuscito a organizzarsi. Specialmente in questi due ultimi mesi, c’è stata una tensione tra i tre poteri della repubblica; la reazione di Bolsonaro è stata quella di minacciare più o meno velatamente una rottura democratica con l’intervento dei militari. In queste ultime settimane il clan Bolsonaro (padre e 4 figli) è sotto tiro perché emergono inchieste per illeciti nelle attività politiche di anni precedenti. Bolsonaro, che vive ogni giorno attaccando qualcuno, adesso è al centro di inchieste sul suo sistema di comunicazione basato sulle fake news.
Numerose proiezioni indicano che il Brasile passerà attraverso una recessione mai vista prima. Se fino alla pandemia c’era uno sguardo scettico, nel 2019 la crescita è stata dell’1,1%, non c’è dubbio che il futuro sarà drammatico. Il Fondo Monetario Internazionale stima una caduta del PIL del 5,3%, ma forse è una stima ottimistica. La disoccupazione dovrebbe passare dall’attuale 12% a quasi il 18% secondo le stime della FGV (Fundaìção Getìúlio Vargas) il che equivale a quasi 20 milioni di persone senza lavoro alla fine dell’anno.
La crisi sta colpendo di più la popolazione di periferia che fa lavori precari di bassa specializzazione e che possono essere licenziati con maggiore facilità e questo porterà a una crescita della disuguaglianza.
Nella prima settimana di luglio siamo a 65mila persone morte per covid-19, con una media in questa settimana di mille persone al giorno. Il governo non ha un ministro della salute perché Bolsonaro ne ha licenziati due che non si allineavano alla sua posizione contro l’isolamento sociale. Bolsonaro ha sempre negato la gravità e ha chiesto ai governatori degli Stati di mantenere tutte le attività funzionanti. La maggioranza dei governatori e sindaci ha cercato di promuovere leggi di isolamento sociale, qualcuno anche il lockdown, ma, senza un’azione coordinata dal governo centrale, il virus si sta diffondendo inesorabilmente. Il presidente, a una persona che gli ha chiesto di dire qualcosa per confortare le persone che sono morte, ha risposto: «Mi dispiace, ma tutti dobbiamo morire».

Mauro Furlan vive a Rio de Janeiro con la moglie Milse e i figli, dirige la Casa di Maria

Messico
Ho il covid-19 perché, anche se il virus non è entrato nel mio corpo, la gente che amo ce l’ha, perché la malattia sta attraversando i luoghi in cui ho vissuto e vivo e i posti nei quali ho viaggiato. Ce l’abbiamo tutti, anche le istituzioni, tutti i paesi, i quartieri e tutte le attività. Più che una malattia, sembra una forma di dittatura mondiale: è la paura del contagio, l’obbligo al distanziamento, alla soppressione della libertà, è la classificazione fra le attività imprescindibili e quelle no.
Il covid-19 cancella o minimizza altri problemi sociali e politici mondiali, è il dominio della vita virtuale, è la militarizzazione della vita sociale, dove ci dicono che è pericoloso riunirci, distruggendo così anche la legittimità alle proteste sociali.
Nonostante l’ordine mondiale abbia deciso di chiudere le frontiere, il covid-19 è arrivato anche in Messico, non attraverso i voli turistici, ma dalle migliaia di messicani emigrati negli Stati Uniti, rimasti senza lavoro e costretti a rimpatriare dove le famiglie li aspettavano a braccia aperte per riceverne regali e il contagio.
La ‘strategia’ del governo messicano è stata quella di copiare il distanziamento e la quarantena dai paesi occidentali o asiatici ma la società messicana è una società proletaria, senza stipendio, senza lavoro fisso, senza industria, dove la grande massa sopravvive nelle strade. È risultato impossibile il «Restate a casa!» quando l’unica speranza di vita è la strada.
A luglio in Messico si calcolano 299.750 mila contagi, 35 mila deceduti, ma il governo messicano sta conteggiando solo i casi gravi, che rappresentano 1/30 del totale dei casi.
Di fronte alla deplorevole condizione delle infrastrutture della sanità pubblica (mancanza di medicine, di strumenti, di posti letti, di medici, ecc.), il governo messicano ha ‘lasciato’ al popolo la responsabilità esclusiva di organizzare le attività di contenimento del virus con la quarantena, il distanziamento sociale, le misure sanitarie e la restrizione alla mobilità.
Il covid-19 evidenzia, oltretutto, un enorme divario sociale perché in Messico colpisce principalmente gli strati più poveri, dove il diabete e l’obesità, dovuti alla cattiva alimentazione e al consumo eccessivo di bibite risultano fatali per chi si contagia di covid-19.
Qual è l’impatto educativo del covid-19 in Messico? Il covid-19 a marzo ha costretto a terminare il semestre quando ancora mancava una terza parte del programma e la SEP (organo nazionale dell’educazione pubblica) ha lanciato l”Impara da casa’, un programma educativo che prevede l’uso di programmi tv, internet o Google, risorse proprie o elaborate in altri paesi.
Secondo il governo centrale, a giugno saremmo dovuti rientrare a scuola per terminare l’anno scolastico entro la fine di luglio. Ma questo non è stato possibile: la curva dei contagi si è impennata. La SEP ha dichiarato concluso l’anno scolastico, con tutti gli alunni promossi.
Un’alternativa a tutta questa situazione è ripensare il contagio. Cosa succederebbe se decidessimo di preparare i nostri corpi ad affrontare il contagio? Cosa succederebbe se ci organizzassimo socialmente? Il popolo del Messico mi ha sempre sorpresa e affascinata perché nelle sue vene scorrono la speranza infinita e la disobbedienza, una sorte di alchimia che per me è la dignità.
Con l’impossibile ‘restate a casa’, in Messico si sono rafforzate le organizzazioni come la Rete Alternativa Alimentaria promuovendo la vendita a chilometro zero fra produttori e consumatori; sono nati piccoli mercati locali nei quartieri o villaggi, dove vendere o scambiare le merci; si è estesa la rete di interscambio di conoscenze sulla medicina tradizionale (legata all’uso delle piante medicinali ancestrali) per diffondere preparati per rafforzare il sistema immune e affrontare il covid-19, sono nate ‘ollas comunes’, ovvero la preparazione di grandi pentoloni di cibo in piazze e quartieri, regalato a persone in situazioni precarie.
Il covid-19 proviene dalla distruzione della nostra relazione con la Madre Terra, dall’industrializzazione dell’agricoltura, dall’espansione incontrollata delle città, dalla commercializzazione di tutto. Se non c’è (subito) un cambio radicale del nostro modo di vivere, continueranno a comparire altre, nuove, pandemie.
Chiara Beltramello antropologa, vive a San Cristóbal de Las Casas (Messico) con il figlio Gandhi