Salvate il mio piccolo calciatore

di Monini Francesco

Mentre scrivo incombono le elezioni europee. Mentre leggete, le elezioni saranno già passate da poco. Comunque sarà andata, non sarà successo granché. Non datemi del qualunquista. Non credo di esserlo. E ho argomenti incontrovertibili: da almeno vent’anni (ma possiamo andare più indietro) prima di ogni elezione (politiche, amministrative, europee, generali o parziali che fossero) ci hanno gridato nelle orecchie che quello era un appuntamento con la storia. Il nostro voto avrebbe impresso un nuovo corso alla politica italiana.

Non è solo la mia idiosincrasia verso il linguaggio dei politici, specie se impegnati «ventre a terra» in campagna elettorale. Il dato di fatto, lo dico con tristezza, è che il nostro voto non ha cambiato un bel niente. Per questo il partito dell’astensione è sempre il più votato. Per questo il successo del Grillo parlante, anzi, urlante, o la strenua resistenza della mummia di Arcore ci lasciano a bocca aperta. Stessa cosa il risultato così così del Renzino: sospeso a mezz’aria, esattamente come Bersani, Prodi, Veltroni, D’Alema, Occhetto.

Tutti diranno che hanno vinto. Come scelta di riserva, diranno di non aver perso. Terza possibilità, diranno che hanno perso meno degli altri. Italiani e politica hanno ormai preso due strade divergenti. Particolare e generale sono tornati a essere due pianeti distinti, con flora e fauna diversissime. Ogni tanto si incontrano alle elezioni, ma nemmeno si salutano.

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C’è chi pensa che possa essere Grillo la soluzione del problema, che sia lui il vero Unto del Signore (dopo il flop del Cavaliere), destinato a traghettarci in un mondo nuovo. Chi pensa o spera questo, per me ha rinunciato a pensare.

Non esiste Nazione, anzi, non esiste Comunità senza Politica. Senza un Governo del Bene Comune, senza una qualche sintesi tra Particolare e Generale. L’antipolitica di Grillo non produce nessuna sintesi. Distrugge tutto, in attesa della rigenerazione finale. Ma il programma di Grillo (probabile vincitore o stra-vincitore delle imminenti elezioni) è davvero una ben misera cosa: dare un calcio nel culo a tutti. Ma proprio a tutti: politici, funzionari, sindacati, banchieri, immigrati, ebrei. Qualche eccezione? Sì, a parte Grillo e Casaleggio.

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No, io non c’ero. Ma lo confesso, ho simpatizzato per l’eretico fra’ Dolcino che predicava l’avvento della Quarta Età, torturato, mutilato e ammazzato per ordine del Papa, per Francesco d’Assisi fatto santo ma tradito da un altro Papa e dai suoi stessi compagni, per Giovanni Huss bruciato a Costanza, per Thomas Müntzer e i suoi contadini trucidati dai principi tedeschi e da Lutero.

E continuo a parteggiare per Spartaco, primo eroe della lotta contro la schiavitù. E per la Lega Spartachista (un nome non a caso) della comunista (scusate la parolaccia) Rosa Luxemburg, rapita e assassinata nel 1919 dalle squadracce paramilitari.

E potrei sfogliare altri santini: Danilo Dolci, Aldo Capitini, Don Milani, Altiero Spinelli, Pier Paolo Pasolini. Ognuno con un Mondo Nuovo: nella testa, nel cuore e nelle mani.

Ma Grillo, nonostante il suo millenarismo, non entra nella lista. Il comico e comiziante genovese non solo è sprovvisto di una qualsiasi proposta realistica. Non solo ha immesso nell’agone politico la violenza verbale e l’insulto. La vera colpa di Grillo – il suo grande bluff – è che non ha nessun paradiso, nessuna terra promessa da indicare.

Quando, attraverso l’odio o per disperazione, saremo tutti con Grillo, tutti dietro le sue larghe spalle e la sua chioma biblica. Quando avremo bruciato parlamento e ministeri, e mandati al confino tutti gli sfruttatori, e ributtato a mare tutti i clandestini. Dopo tutto, quando la tabula sarà rasa che più rasa non si può, dopo che faremo, Grillo? Cosa viene dopo la vittoria? Cosa mai ci potrà venire in mente se per anni ci hai impedito di pensare con la nostra testa?

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Crozza, ci avete fatto caso?, non è più o non è più solo un attore di satira, il capocomico di un una spettacolare e affiatatissima compagnia di giro. Ormai Crozza è ubiquo: nelle mille repliche in televisione, su youtube, in podcast, nelle rimbalzanti citazioni in rete. E anche nelle chiacchiere in famiglia: «Ti ha fatto ridere il Renzino coi denti da castoro?», «Hai visto il Papa con il frigo sulla schiena?», «E Berlusconi tra i vecchietti?», «No, il numero uno è il mitico Razzi».

La cosa più notevole è che per i giovani e i giovanissimi – gli stessi che se ne stanno ben alla larga dai quotidiani e dai telegiornali – Crozza è, letteralmente, l’unico contattoàcon il mondo della politica. Ma c’è una cosa ancora più notevole. Il fatto che attraverso Crozza – e in barba ad Anno Uno, Ballarò o Matrix – giovani e giovanissimi capiscono tutto, ma proprio tutto, della politica italiana. Non serve altro.

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Confesso, quattro papi sono troppi anche per chi, come me, simpatizza con il primo papa Francesco della storia. Qualcuno glielo dovrà pur dire, fosse uno come me che non conta nulla.

Una, veramente, glielo avevo già detta, proprio su questo giornalino. E cioè che un papa «diverso», un «ricostruttore» dalle ceneri di un cristianesimo che sembra avere solo la voce dei focolarini (ne ho sentiti parecchi osannanti alla tivù), avrebbe dovuto fare una cosa molto semplice: abolire i santi. O, più prudentemente, decidere una moratoria delle santificazioni.

Sono cresciuto con il mito del papa buono, ma davvero non credevo fosse destinato a questa fine. Non credevo che Francesco ci riproponesse l’ennesima prova di efficienza organizzativa (un milione di bottigliette d’acqua distribuite ai pellegrini!) e di forza mediatica come sciroppo ricostituente a un popolo di Dio sempre più smarrito. Una Chiesa che piace a tutti (due miliardi di video ascoltatori), come se «piacere a tutti» c’entrasse qualcosa con la missione di Cristo.

Mentre aspettiamo che arrivi il turno di Paolo VI – è già in rampa di lancio – papa Francesco potrebbe occuparsi di alcune altre cosette. Che in Vaticano non prendono in considerazione, ma che sono sicuro sarebbe uno scoop planetario.

E non si tratta di robe complicate. Chiudere completamente e per sempre la banca vaticana. Vendere tutti i tesori della Chiesa. E distribuire il ricavato ai poveri. Più semplice di così…

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Salvate il mio piccolo calciatore.

Lui non si intende di ultrà, di curva sud e di curva nord. Di bombe carta, lacrimogeni, razzi paramilitari sparati sul campo di gioco. Di coltelli, sbarre di ferro e rivoltelle. Di violenze, cariche, aggressioni, omicidi sotto la bandiera di una squadra di calcio. Il mio piccolo calciatore non sa neppure che il football non è solo «il gioco più bello del mondo», ma anche «il gioco più marcio del mondo», gestito da affaristi, imbroglioni, riciclatori di denaro sporco.

In due parole: il mio piccolo calciatore «del calcio non sa niente di niente». Ma sa tutto: formazioni, calciatori, carriere, schemi di gioco. Perché Toto (senza accento; 13 anni appena raggiunti e superati) vive di calcio e per il calcio. Non gli frega molto di vincere; vuole correre, calciare, ridere con i compagni, guardare nel cielo la palla che arriva e cercare di raggiungerla.

Salvate il piccolo calciatore full-time Toto, che corre felice nei campetti di periferia. Il resto, compreso il grande imbroglio del Mondiale brasiliano, non è calcio, ma un parassita, un tumore cresciuto sopra la metafora più semplice e più bella: correre dietro a una palla.