Un tubo più un buco

di Monini Francesco

Mentre preparavamo in redazione il monografico per i cinquant’anni dalla morte di Lorenzo Milani, rileggendo la Lettera a una professoressa ho sbattuto il naso contro una frase. Una di quelle frasi apodittiche, rigorose, assolute, che segnano lo stile del priore di Barbiana e che gli hanno guadagnato fortuna critica come furiosi strali polemici.

Scrive Milani: «Ho imparato che il problema degli altri è equale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia». Una definizione precisa di cosa è, di cosa dovrebbe essere la politica: scegliere come orizzonte il destino collettivo – di tutti, a partire dagli ultimi della classe – invece della rincorsa individuale all’ascesa sociale.

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Non mi piace l’antipolitica. Né il nome, né le sue conseguenze. E non mi appassiona il ritornello contro gli stipendi, i vitalizi, le pensioni a tanti zeri di deputati e senatori. Nonàse li meritano? Certo che non se li meritano. Ma quando avremo dato a un deputato lo stipendio di un metalmeccanico in catena di montaggio, avremo risolto l’uno per mille dei nostri problemi.

Abbiamo bisogno di più politica, non di meno politica. Ma non di questa politica, di questa classe politica, di questi partiti in perenne propaganda elettorale. Abbiamo bisogno di beni comuni, di difesa dei diritti negati, di accoglienza. Di un’altra politica, quella che il maestro di Barbiana insegnava ai suoi ragazzi.

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Leggevo, qualche settimana fa, di uno sciopero mondiale – selvaggio? no, sacrosanto – delle centinaia di migliaia di ragazzi e ragazze dipendenti dei fast food. Non so come sia andata, quanti cioè – a Milano e a Bologna, e a Seul, Nuova Delhi, New York – abbiano aderito allo sciopero, ma ho pensato che forse saranno proprio queste le lotte del futuro prossimo venturo.

I sindacati, in Italia e altrove, sono rimasti drammaticamente indietro. Proteggono, e nemmeno tanto bene, quella frazione sempre più esigua di lavoratori garantiti. Tutti gli altri rimangono fuori. Senza diritti.

Il governo italiano rivendica «quasi un milione di nuovi posti di lavoro negli ultimi tre anni». Senza dire che per la grandissima parte si tratta di lavori a termine, precari, con paghe basse, zero diritti e a continuo rischio licenziamento. Senza dire delle decine di migliaia di giovani italiani che ogni anno scappano dall’Italia per cercare altrove un lavoro «dignitoso».

Lavoro «dignitoso»: perché non basta, anzi, è proprio una bugia, straparlare di lavoro senza preoccuparsi del suo necessario aggettivo. I sindacati, se vogliono sopravvivere, dovranno cambiare, ripartire dalla realtà, altrimenti faranno la fine degli spopolati partiti. Le nuove lotte per il «lavoro dignitoso», per i diritti sul lavoro, continueranno anche senza di loro.

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Poco più di un anno fa l’Austria, quasi 9 milioni di abitanti, votava un presidente «verde», aperto, dialogante, europeista. Lo scorso ottobre il quadro politico appare completamente ribaltato. Sebastian Kurz ha solo 31 anni, i capelli pettinati all’indietro e la faccia pulita del primo della classe (ma assomiglia un po’ a Draco Malfoy, il compagno cattivo di Harry Potter). Ha una «grande volontà di potere», ha bruciato le tappe e ha portato il suo partito a quasi il 32%. Il Partito Conservatore, rivitalizzato da Kurz, si colloca al centro-destra, ma ha posizioni ultranazionaliste, euroscettiche e anti-immigrati.

Alla sua destra c’è di peggio. Il partito estremista e apertamente xenofobo di Heinz-Christian Strache è cresciuto impetuosamente, superando il 25% dei voti. Con l’alleanza tra conservatori ed estremisti, il prossimo governo austriaco si tinge di nero.

Ma è tutta l’Europa dell’Est – i paesi dell’ex blocco sovietico – che sta virando verso l’anti-democrazia, il nazionalismo, il populismo, la chiusura xenofoba: Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Austria. La lista si allunga.

L’unico argine a una destra antiliberale e nazionalista sembra oggi costituito dalla Cancelliera di ferro e dal rigore della Bundesbank. Che è come dire che l’argine europeo non reggerà a lungo alla marea montante. Perché se vince questa destra dal sapore antico – remember gli anni venti e trenta del secolo scorso – non è un caso: è perché la sinistra non ha un’idea in testa (un tubo) e al centro non c’è niente (un buco). E un buco più un tubo sono destinati alla sconfitta.

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Kenya, decine e decine di morti negli scontri dopo il voto.

Somalia, due camion bomba e più di 200 morti nell’attentato jihadista.

Qualche foto, le notizie scorrono veloci e scompaiono.

Altre guerre, altri morti in vari paesi africani, non meglio identificati.

Non ne parla nessuno. Non c’è da preoccuparsi: è tutta roba africana.

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Non so voi, ma io per la ius soli ho digiunato. Senza staffetta, non avevo nessuno a portata di voce. Una mia amica mi ha criticato: al «digiuno a staffetta» – promosso da un gruppo di settecento insegnanti – hanno aderito più di cento parlamentari, compresiàpersonaggi come Delrio e Casini. I quali, a suo tempo, hanno votato il disastroso job act del precariato e via brutture elencando. Non ho nemmeno risposto all’obiezione. Mi sono solo cadute le braccia. Rispondo ora, per iscritto. A me non importa. Scelgo l’obiettivo, ma non ho la pretesa di scegliermi i compagni di strada. Il quale obiettivo, l’approvazione definitiva della ius soli – che in verità dovrebbe chiamarsi ius culturae – è tutt’altro che probabile. A dicembre? a gennaio? Renzi tentenna, Gentiloni promette: ma forse non si fa più in tempo, forse non è il momento giusto…

Più di 800.000 bambini e ragazzi stranieri «italiani come noi», che parlano la nostra lingua, frequentano le nostre scuole, tifano per le nostre squadre di calcio, stanno aspettando i calcoli elettorali dei partiti. Mi ha colpito ascoltare alcune interviste: molti di loro cascano letteralmente dalle nuvole, non sanno nemmeno di «non essere italiani».

Intanto le manifestazioni, gli incontri, le adesioni si moltiplicano. Ultima e gradita – molto più di Casini – Mikaela Neaze Silva, la nuova velina mulatta di Striscia la notizia. Brava, coraggiosa, e insultata dal solito popolo bue.

La XVII legislatura, oltre che con una ennesima pessima legge elettorale, rischia di chiudersi con un grande tradimento. Cari amici di madrugada, digiunate anche voi.