Zingari, rom e sinti: la consapevolezza di essere un popolo

di Comitato di Redazione

Il professor Silvano ha aperto il registro e sta per interrogare. Maestro, oggi dobbiamo fare il giornale, dice Alì.
Lo so, dice il prof. Tu, intanto, Pietro, chiudi la finestra che fa corrente. La battuta fa spazio al controcorrente di Giuseppe Stoppiglia che, nell’articolo I piedi che fanno camminare la storia, annuncia il tema della festa nazionale e sollecita un cuore nuovo, ospitale.
Cosa avete preparato per il monografico? dice il professore. Si alza Ucenik: «Gli zingari, i rom e i sinti». Qualcuno protesta. Il prof, dolcemente, li richiama: questa è una scuola etnica. Leggi i titoli. Leggo, dice Ucenik: dentro al guscio, Anna Bellini, nel suo articolo Aroma di umanità, passa dal concetto di integrazione a una proposta di interazione, confronto alla pari. Francesca Gobbo, nell’articolo «INSETRom», propone nella scuola non una cultura per i rom, ma un programma in cui si intreccino le nostre storie e le loro. Chiude il monografico Carmine Bianchi, Fare chiesa con gli zingari, in cui riscopre, con Ghigo e Cesare, due zingari, il vero significato di chiesa, che noi abbiamo confuso con il tempio in muratura.
Iracema Quirino, gli occhi neri e i capelli crespi, presenta scritture a confronto, tema il dolore. Legge: Gianpaolo Anderlini per la tradizione ebraica scrive che la sofferenza è una strada propedeutica per superare l’orizzonte della vita terrena e scoprire la giustizia di Dio e la sua fedeltà.
Mohammed Khalid Rhazzali per il Corano scrive che il dolore deriva da una disposizione divina, però è lecito lamentare la propria e l’altrui sofferenza e tentare un rimedio al disagio. Elide Siviero dal Vangelo ricava che il dolore pone una domanda, cui Gesù non dà spiegazione ma si pone accanto a chi soffre e ne allieva la pena.
Dopo una breve pausa, segue l’angolo delle letture, che Kitano apre con il titolo Chi è l’America Latina, uno sguardo sul passato e un occhio sul presente per capire dinamiche e prospettive del subcontinente. Segue Di generazione in generazione di Ivo Lizzola, che denuncia la soluzione di continuità tra generazioni, propone la dimensione della gratuità e della fraternità. Terzo, Senza benessere sociale di Marco Ingrosso: scrive che il benessere non è solo un processo individuale (cura eccessiva del corpo e obesità), ma è anche un processo sociale e politico che parte dalle piccole comunità. Chiude il libro curato da Franco Riva, Ripensare la solidarietà, una parola da liberare e da riscrivere, per ridare senso a una società a «legame debole».
Il professore chiude la lezione. Albe apre la porta ed escono tutti.
Noi, perfezionisti, abbiamo aggiunto al giornale le rubriche. Nel pianoterra Giovanni Realdi con il titolo dello specchietto retrovisore Objects in the mirror… ci propone un modo diverso di vedere e di riflettere, senza fermarsi alla modalità naturale, passiva, di guardare e di pensare.
Ne il piccolo principe commento a due sciagure, attuali, ma forse già dimenticate, Rosarno e Haiti; ce ne scrive il nostro amato corrispondente Egidio Cardini con Di cento pentole, una. Riflessioni in merito ai fatti di Rosarno, cui segue Haiti e la filantropia da disastro.
L’esperto economista Fabrizio Panebianco riprende il discorso su Arance rosse: braccianti agricoli stranieri in rivolta per le condizioni di vita (uuuh scaandalo! E giù botte! Agli stranieri naturalmente!).
Conclude le rubriche Guido Turus che in Quanto costa il panda? si chiede quanto resti di vita a noi, se il panda è destinato a scomparire a causa del suo costo alimentare.
E passiamo al cronista immemore, che ci racconta l’anno che viene, mentre già scompare nell’ombra l’anno che fu, nella cronaca di Macondo e dintorni.
Scorrono intanto le ultime immagini del viaggio in Cambogia, che il Pelanda ci racconta con l’ausilio delle parole scritte di Gina Zanon.